Avvisi di recupero di crediti di imposta illegittimamente compensati, funzione, volontà impositiva da parte dello Stato

Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.23289 del 26/07/2022

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Avvisi di recupero di crediti di imposta illegittimamente compensati, funzione, volontà impositiva da parte dello Stato

Gli avvisi di recupero di crediti di imposta illegittimamente compensati, oltre ad avere una funzione informativa dell'insorgenza del debito tributario, costituiscono manifestazioni della volontà impositiva da parte dello Stato, al pari degli avvisi di accertamento o di liquidazione.

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Cassazione civile, sez. VI, ordinanza 26/07/2022, (ud. 10/05/2022) n. 23289

RITENUTO IN FATTO


1. La Agricola C. s.r.l. impugnava davanti alla Commissione Tributaria Provinciale di Napoli la cartella di pagamento notificata, ai sensi della L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 422, a seguito di atto di recupero per credito IVA (oggetto di autonomo ricorso) emesso dal Centro Operativo di Venezia per indebite compensazioni effettuate nell'anno 2011.

2. La Commissione Tributaria Provinciale accoglieva il ricorso.

3. La sentenza veniva impugnata dall'Agenzia delle Entrate e la Commissione Tributaria Regionale della Campania rigettava l'appello, rilevando che, essendo l'avviso di recupero crediti previsto dalla L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 422, assimilabile all'avviso di accertamento, trovava applicazione il regime dell'iscrizione a ruolo frazionato in pendenza del giudizio sull'atto prodromico previsto dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 15 e D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 68, commi 1 e 2.

4. Avverso la sentenza della CTR l'Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione, articolando due motivi. Il contribuente ha resistito con controricorso, mentre l'Agenzia delle Entrate-Riscossioni non ha svolto difese.

5. Sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del novellato art. 380 bis c.p.c. risulta regolarmente costituito il contraddittorio.

In prossimità della camera di consiglio l'Agenzia ha depositato memoria illustrativa.

RITENUTO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo di impugnazione l'Agenzia delle Entrate denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 311 del 2004, art. 1, commi 421 e 422, del D.P.R. n. 602 del 1973, artt. 14 e 15 e D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 68 in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; si sostiene che la CTR abbia errato ad equiparare, ai fini del frazionamento della riscossione in pendenza di giudizio davanti alle Commissioni Tributarie, l'avviso di recupero del credito all'avviso di accertamento.

2. Con il secondo motivo viene dedotta la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 1 e 7 e art. 112 c.p.c., in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3, per aver la CTR, con il rigetto dell'appello, disposto l'annullamento totale dell'atto, anziché ordinare all'Amministrazione Finanziaria la rideterminazione degli importi iscritti a ruolo o, comunque, di annullare parzialmente la cartella.

3. Il primo motivo è infondato.

La tesi della difesa erariale secondo cui all'avviso di recupero di credito d'imposta non sarebbe applicabile la disciplina della gradualità dell'iscrizione a ruolo di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 15, si basa sull'assunto che tale avviso - avendo ad oggetto il disconoscimento di agevolazioni indebitamente fruite (con contestuale richiesta delle somme illegittimamente compensate) e non l'accertamento di un maggior imponibile - non potrebbe essere considerato alla stregua di un provvedimento impositivo.

Tale assunto confligge con il consolidato orientamento di questa Corte, cui il giudice territoriale si è uniformato, il quale ha chiarito che gli avvisi di recupero di crediti di imposta illegittimamente compensati, oltre ad avere una funzione informativa dell'insorgenza del debito tributario, costituiscono manifestazioni della volontà impositiva da parte dello Stato, al pari degli avvisi di accertamento o di liquidazione (cfr. Cass. nn. 4968/2009, 22322/2010, 8033/11, 8479/2017, 9437/2020).

In particolare, si precisato come "l'avviso di recupero risulti in sostanza costituito da una comunicazione della motivazione del recupero e da una liquidazione delle somme accertate come dovute a tal titolo dal contribuente. Tale atto ha dunque, in primo luogo, la funzione di diniego o di revoca del credito di imposta, con la relativa motivazione, e, in secondo luogo, la funzione di liquidazione delle somme portate a recupero, con il relativo riepilogo di quanto complessivamente dovuto dal contribuente per imposte, interessi e sanzioni. Ciò induce ad attribuire a tale atto la funzione di un atto di accertamento tributario, dovendo per tale intendersi "ogni atto o provvedimento dell'amministrazione finanziaria, che, a prescindere dalla sua denominazione, spieghi efficacia nei confronti del soggetto passivo del tributo, accertando o dichiarando il debito" (così già Cass. 6262/80). Se è vero che il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 15, si riferisce letteralmente a imposte, contributi e premi "corrispondenti agli imponibili accertati dall'ufficio ma non ancora definitivi", mentre nel caso del recupero di credito di imposta non si discute dell'entità dell'imponibile - è tuttavia innegabile che la norma che accorda un credito di imposta contribuisce a definire l'entità della somma concretamente dovuta dal contribuente, cosicché il diniego o la revoca del credito implicano anch'essi accertamento della debenza del tributo. Con la conseguenza che la ratio sottesa alla disposizione di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 15 - ossia il contemperamento delle contrapposte esigenze del Fisco, di celere riscossione dei tributi, e del contribuente, di non anticipare il pagamento di somme che all'esito del giudizio tributario potrebbero risultare non dovute - non può che operare sia con riferimento agli atti di accertamento di imponibile che con riferimento agli atti di diniego o revoca di un credito di imposta e che pertanto il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 15, va interpretato estensivamente, includendo nel relativo ambito di applicazione anche la riscossione degli avvisi di recupero del credito di imposta..." (cfr. Cass. 3838/2013).

4. Il secondo motivo è inammissibile, in quanto, come eccepito dalla contribuente, la ricorrente ha sollevato solo nel giudizio di Cassazione la questione dei poteri sostitutivi del giudice tributario ove si ritenga invalido l'avviso di accertamento per motivi non formali, ma di carattere sostanziale.

Dalla lettura degli atti relativi ai procedimenti di merito prodotti dall'Agenzia delle Entrate si evince che la Commissione Tributaria Provinciale, accogliendo le richieste della contribuente, ha annullato tout court la cartella senza procedere alla rideterminazione degli importi dovuti tenuto conto del frazionamento previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 15 e D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 68, comma 1, lett. a).

L'Agenzia delle Entrate non ha mosso alcuna censura su tale punto della sentenza; solo con il ricorso per Cassazione è stato introdotto il thema decidendum relativo ai poteri del giudice correlati alla caducazione dell'atto impositivo per ragioni sostanziali.

E' principio assolutamente pacifico in giurisprudenza (cfr., tra le tante, Cass. n. 1477/2018 e 907/2018) che "I motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena di inammissibilità, questioni che siano già comprese nel giudizio d'appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili d'ufficio".

5. Il ricorso va, quindi rigettato.

Le spese seguono, nei rapporti con la resistente, la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Vanno, invece, dichiarate irripetibili le spese sostenute dalla ricorrente nei rapporti con l'Agenzia delle Entrate-Riscossioni, non avendo quest'ultima svolto difese.

Rilevato che risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, non si applica il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, (Cass. Sez. 6 - Ordinanza n. 1778 del 29/01/2016).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso;

condanna la ricorrente al rimborso delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 5.600,00 per compensi, oltre rimborso forfettario ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 10 maggio 2022.

Depositato in Cancelleria il 26 luglio 2022.

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