LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –
Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –
Dott. RUBINO Lina – Consigliere –
Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –
Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 38260/2019 proposto da:
D.M., elettivamente domiciliato in Roma Via Ippolito Nievo 61 presso lo studio dell’avvocato De Angelis Rossella, rappresentato e difeso dall’avvocato Dalla Bona Roberto;
– ricorrente –
contro
Ministero Dell’interno, in persona del Ministro p.t. elettivamente domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi 12 presso l’Avvocatura Generale dello Stato da cui è difeso per legge;
– resistente con atto di costituzione –
nonché contro Commissione Territoriale Per Il Riconoscimento Della Protezione Internazionale Milano;
– intimata –
avverso il decreto del TRIBUNALE di MILANO, depositata il 04/10/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29/10/2021 da Dott. PELLECCHIA ANTONELLA.
RILEVATO
che:
1. D.M., proveniente dal *****, chiese alla competente commissione territoriale il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4 ed in particolare:
(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.;
(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;
(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6, (nel testo applicabile ratione temporis).
La Commissione territoriale rigettò l’istanza.
2. Avverso tale provvedimento D.M. propose ricorso dinanzi il Tribunale di Milano che con decreto n. 7840 del 4 ottobre 2019, rigettò il reclamo.
3. Il decreto è stato impugnato per cassazione da D.M. con ricorso fondato su 4 motivi.
Il Ministero dell’Interno si costituisce per resistere al ricorso senza spiegare alcuna difesa.
CONSIDERATO
che:
4.1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta la nullità del decreto impugnato per abnormità e per violazione di norme processuali generali e delle norme speciali che disciplinano l’assegnazione degli affari all’organo giudicante all’interno della sezione specializzata.
4.2 Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente lamenta error in procedendo art. 360 c.p.c., n. 4. Nullità del decreto impugnato per violazione delle norme speciali che disciplinano la formazione della prova nel giudizio di protezione internazionale (uso delle Coi).
4.3 Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente solleva l’eccezione di legittimità costituzionale dell’art. 24 Cost. in quanto le norme speciali che consentono la trasmissione dalla commissione territoriale al Tribunale di prove raccolte in assenza di contraddittorio-difesa tecnica da parte del richiedente asili) interessato dal provvedimento negativo.
4.4 Con il quarto motivo di ricorso il ricorrente censura la violazione e falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4 per non avere il tribunale esaminato la ricorrenza dei requisiti per la protezione umanitaria, ritenendo erroneamente che l’assenza delle ragioni per il riconoscimento delle misure maggiori escludesse l’accesso a quella residuale.
5. Deve premettersi che la decisione viene assunta sulla base del principio della “ragione più liquida” (cfr. Cass. SU 9936/2014; Cass. SU 26242/2014; Cass. 26243/2014; Cass. 12002/2014; Cass. 11458/2018; Cass. 363/2019), prescindendo cioè dalle conseguenze derivanti dai controlli preliminari relativi alla procura speciale rilasciata al difensore del ricorrente, in relazione alla quale, assente la certificazione della data in cui essa è stata conferita al difensore, sarebbe stato necessario un rinvio a nuovo ruolo in attesa della decisione della Corte Costituzionale conseguente alla recente ordinanza di rimessione Cass. 17970/2021.
In relazione al principio sopra richiamato, tuttavia, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile in quanto non rispetta il requisito della esposizione sommaria dei fatti, prescritto a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, che, essendo considerato dalla norma come uno specifico requisito di contenuto-forma del ricorso, deve consistere in una esposizione che deve garantire alla Corte di cassazione, di avere una chiara e completa cognizione del fatto sostanziale che ha originato la controversia e del fatto processuale, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti in suo possesso, compresa la stessa sentenza impugnata (Cass. sez. un. 11653 del 2006). La prescrizione del requisito risponde non ad un’esigenza di mero formalismo, ma a quella di consentire una conoscenza chiara e completa dei fatti di causa, sostanziali e o processuali, che permetta di bene intendere il significato e la portata delle censure rivolte al provvedimento impugnato (Cass. sez. un. 2602 del 2003). Stante tale funzione, per soddisfare il requisito imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3 è necessario che il ricorso per cassazione contenga, sia pure in modo non analitico o particolareggiato, l’indicazione sommaria delle reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le hanno giustificate, delle eccezioni, delle difese e delle deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, dello svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni e, dunque, delle argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si è fondata la sentenza di primo grado, delle difese svolte dalle parti in appello, ed in fine del tenore della sentenza impugnata.
Nel caso di specie nell’esposizione del fatto i riferimenti al fatto sostanziale e processuale sono del tutto inesistenti. I motivi, inoltre, non centrano la ratio decidendi della sentenza e sono generici.
6. L’indefensio degli intimati non richiede la condanna alle spese.
7. Infine, poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, sussistono i presupposti processuali tanto limitandosi la declaratoria di questa Corte: Cass. Sez. U. 20/02/2020, n. 4315) per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il comma 1-quater al testo unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 (e mancando la possibilità di valutazioni discrezionali: tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra le innumerevoli altre successive: Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) – della sussistenza dell’obbligo di versamento, in capo a parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per la stessa impugnazione.
PQM
la Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte suprema di Cassazione, il 29 ottobre 2021.
Depositato in Cancelleria il 5 gennaio 2022