Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.241 del 05/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29878/2020 proposto da:

E.E., elettivamente domiciliato in Roma Via Ippolito Nievo 61, presso lo studio dell’avvocato De Angelis Rossella, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Dalla Bona Roberto, come da procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza n. 93/2020 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 13/01/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 05/11/2021 da Dott. FALABELLA MASSIMO.

FATTI DI CAUSA

1. – E’ impugnata per cassazione la sentenza della Corte di appello di Milano, pubblicata il 13 gennaio 2020, con cui è stato dichiarato inammissibile il gravame proposto da E.E. nei confronti del decreto pronunciato dal Tribunale del capoluogo lombardo. La nominata Corte ha osservato che il decreto del Tribunale non era appellabile a norma del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis come modificato dal D.L. n. 13 del 2017, convertito in L. n. 46 del 2017, ma ricorribile per cassazione.

2. – Il ricorso per cassazione si fonda su di un motivo articolato in più censure. Il Ministero dell’interno, intimato, non ha notificato controricorso, ma ha depositato un “atto di costituzione” in cui non è svolta alcuna difesa. Il ricorrente ha depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il ricorrente denuncia la motivazione assente o perplessa, la violazione dell’art. 12 preleggi, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 e 35 bis degli artt. 112,113 e 115 c.p.c., del D.L. n. 13 del 2017, art. 3, comma 3, convertito in L. n. 46 del 2017 e dell’art. 40 c.p.c., comma 3. Deduce, in sintesi, che la domanda di protezione umanitaria, nel caso di suo cumulo con quella di protezione internazionale, dovrebbe essere dichiarata inammissibile o separata dalla seconda. Il fatto che sia stata proposta impugnazione per la sola domanda di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari non implicherebbe, ad avviso dell’istante, che la domanda non possa essere decisa autonomamente, che la stessa sia soggetta al rito speciale di cui all’art. 35 bis cit.. e che il decreto del Tribunale sia impugnabile solo mediante ricorso per cassazione. Lamenta, inoltre: che la Corte di appello sia venuto meno al dovere di individuare il contenuto e la portata delle domande delle eccezioni proposte; che il giudice del gravame abbia il dovere di ricerca delle fonti normative necessarie per la decisione della causa; che, infine, la pronuncia impugnata risulterebbe affetta da apparenza di motivazione.

2. – Il motivo è infondato.

2.1. – Non ricorre l’omessa pronuncia, visto che la Corte di merito ha definito il giudizio dichiarando inammissibile il gravame. E’ escluso che si configuri una violazione dell’art. 113 c.p.c., avendo la Corte di appello deciso secondo diritto. Non può farsi nemmeno questione di vizio motivazionale, dal momento che la sentenza impugnata ha deciso, in modo corretto, una questione di diritto: ed è noto che una ipotetica mancanza di motivazione su questione di diritto deve ritenersi irrilevante, ai fini della cassazione della sentenza (Cass. Sez. U. 2 febbraio 2017, n. 2731).

2.2. – La quaestio iuris oggetto del contendere, di cui il Collegio si deve quindi occupare, a prescindere dalle denunciate carenze motivazionali, ha ad oggetto l’individuazione del rito applicabile alle controversie in materia di protezione umanitaria in base al D.L. n. 113 del 2018, art. 3 – convertito, con modificazioni, dalla L. n. 132 del 2018 – nel periodo anteriore alle modificazioni apportate a tale articolo dal D.L. n. 113 del 2018, art. 1 che è stato pure convertito con modificazioni, ad opera della L. n. 132 stesso anno.

Nella sua versione originaria, il cit. art. 3, comma 4 bis aggiunto, in sede di conversione, dalla L. n. 46 del 2017, art. 1, comma 1, dispone che “(l)e controversie in materia di riconoscimento della protezione internazionale di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 35, e quelle aventi ad oggetto l’impugnazione dei provvedimenti adottati dall’autorità preposta alla determinazione dello Stato competente all’esame della domanda di protezione internazionale sono decise dal tribunale in composizione collegiale”, precisando, poi, che per la trattazione della controversia “e’ designato dal presidente della sezione specializzata un componente del collegio” e che “(il collegio decide in camera di consiglio sul merito della controversia quando ritiene che non sia necessaria ulteriore istruzione”. Tale formulazione ha indotto una parte della giurisprudenza di questa Corte a ritenere che il modulo processuale descritto dal D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 35 bis e dal D.L. n. 13 del 2017, art. 3, comma 4 bis, non riguardi le domande di protezione umanitaria.

Occorre premettere che non è in gioco l’inclusione, nella competenza delle sezioni specializzate in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea, delle controversie in cui la domanda dello straniero abbia ad oggetto il riconoscimento della protezione umanitaria: tale competenza è incontrovertibile, a mente del D.L. n. 13 del 2017, art. 3, lett. d). Viene piuttosto in questione l’applicazione, a dette controversie, della coordinata disciplina di cui ai citt. art. 35 bis e art. 3, comma 4 bis, connotata da un termine perentorio per ricorrere, dalla composizione collegiale della sezione specializzata decidente, dalla procedura camerale e dalla non impugnabilità del decreto.

2.3. – Una parte della giurisprudenza – si diceva – ha ritenuto che ai sensi del cit. art. 3, comma 4 bis, siano soggette al rito camerale speciale solo le controversie di cui al comma 1, lett. c) cit. articolo (concernente le controversie in materia di protezione internazionale di cui all’art. 35), dal momento che il comma 4 bis non contiene alcun richiamo alle controversie di cui alla lett. d), il quale concerne “le controversie in materia di riconoscimento della protezione umanitaria nei casi di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 32, comma 3”. Secondo tale indirizzo, quindi, ove sia proposta esclusivamente la domanda di protezione umanitaria, il giudizio, per cui è pur sempre competente la sezione specializzata, si svolge avanti al tribunale in composizione monocratica, il quale giudica secondo il rito ordinario ex art. 281 bis c.p.c. e ss. o, ricorrendone i presupposti, secondo il procedimento sommario di cognizione ex art. 702 bis c.p.c. e ss. e pronuncia sentenza o ordinanza impugnabile in appello (in tal senso: Cass. 19 giugno 2019, n. 16458; Cass. 13 febbraio 2020, n. 3668; Cass. 30 settembre 2020, n. 20888). Tale orientamento è stato in seguito circostanziato nel senso che ove, però, il ricorrente, per sua scelta, abbia cumulato la domanda di protezione umanitaria con quelle aventi per oggetto lo status di rifugiato o la protezione sussidiaria, assoggettate allo speciale rito camerale di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 35 bis, egli non può dolersi della mancata pronuncia di inammissibilità della domanda di protezione umanitaria, in applicazione del divieto di venire contra factum proprium di cui all’art. 157 c.p.c., comma 3, secondo il quale la nullità non può mai essere opposta dalla parte che vi ha dato causa (Cass. 30 gennaio 2020, n. 2120; Cass. 2 novembre 2020, n. 24185).

2.4. – Il Collegio nutre perplessità riguardo a tale soluzione ricostruttiva e reputa, in conformità di altre pronunce della Corte (Cass. 7 febbraio 2020, n. 9179 e Cass. 14 agosto 2020, n. 17139, non massimate in CED), che la proposta differenziazione del regime processuale delle domande di protezione umanitaria rispetto a quelle di riconoscimento dello status di rifugiato, di protezione sussidiaria e di impugnazione dei provvedimenti adottati dall’Unità Dublino non abbia una persuasiva ragion d’essere.

Il D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 35 proclama, in termini generali, che avverso la decisione della commissione territoriale e la decisione della Commissione nazionale sulla revoca o sulla cessazione dello status di rifugiato o di persona cui è accordata la protezione sussidiaria è ammesso ricorso dinanzi all’autorità giudiziaria ordinaria. La norma fa generale riferimento, dunque, e per quanto qui rileva, alle pronunce della commissione territoriale, senza operare distinzioni quanto all’oggetto delle decisioni adottate da tale organo. L’art. 35 bis regolamenta, poi, tutte le “controversie aventi ad oggetto l’impugnazione dei provvedimenti previsti dall’art. 35”, sicché esiste piena sovrapponibilità tra le ipotesi prese in considerazione dalle due norme. L’art. 35 bis, comma 1, nel testo modificato dal D.L. n. 113 del 2018, art. 1, comma 2, lett. b), convertito, con modificazioni, dalla L. n. 132 de 2018, n. 132, contempla, per vero, un preciso riferimento alle impugnazioni “anche per mancato riconoscimento dei presupposti per la protezione speciale a norma dell’art. 32, comma 3”: ma tale argomento non vale, di per sé, a far ritenere che, nella sua precedente versione (quella applicabile alla fattispecie che qui interessa), l’art. 35 bis fosse inapplicabile alla domanda giurisdizionale di protezione umanitaria proposta a seguito del provvedimento reiettivo della commissione territoriale; non esistono, a fronte dell’ampia formulazione dell’art. 35, di cui si è detto, indici normativi rivelatori della volontà legislativa di escludere detta forma di protezione, successivamente abolita, dalla disciplina dell’art. 35 bis. Del resto, nella sua originaria formulazione, il cit. art. 35 bis, comma 1, recava un incipit del tutto coincidente con quello presente nel D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 19, comma 1, il quale assoggettava “le controversie di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 al rito sommario di cognizione: ebbene, la disciplina del cit. art. 19 era ritenuta pacificamente applicabile alle domande di protezione umanitaria.

Se il significato da attribuire all’art. 35 è quello che si è indicato, l’argomento fondato sulla peculiare disciplina del D.L. n. 13 del 2017, art. 3, comma 4 bis, non può che uscirne seriamente ridimensionato: per coerenza di sistema, infatti, il richiamo contenuto nel comma suddetto deve intendersi esteso a tutti i ricorsi avverso le decisioni della commissione territoriale, ivi compresi quelli che si dirigono contro i provvedimenti che, in sede amministrativa, escludono il riconoscimento della protezione umanitaria. In tal senso, la mancata esplicita menzione, nel cit. art. 3, comma 4 bis, delle “controversie in materia di riconoscimento della protezione umanitaria nei casi di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 32, comma 3” contemplate dall’art. 3, comma 1, lett. d), è da addebitare a un mero difetto di coordinamento del testo legislativo: difetto di coordinamento che il legislatore, in un’ottica di chiarificazione, ha poi superato intervenendo (col D.L. n. 113 del 2018) sull’art. 3, comma 4 bis (attraverso la precisazione che la relativa disciplina si applica anche al mancato riconoscimento dei presupposti per la protezione speciale prevista dal D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 32, comma 3), oltre che sul testo dell’art. 35 bis, comma 1, di cui si è detto in precedenza.

D’altro canto, ove si escluda l’applicabilità alle domande di protezione umanitaria dell’art. 35 bis, si perverrebbe ad esiti poco ragionevoli, difficilmente giustificabili sul piano della legittimità costituzionale della disciplina che andrebbe riservata a tali domande. Dovrebbe infatti anzitutto escludersi che, a fronte del provvedimento reiettivo della commissione territoriale, lo straniero sia tenuto, a pena di inammissibilità, a proporre il ricorso nei termini perentori indicati dall’art. 35 bis, comma 2 (termini che non si avrebbe ragione di applicare, in difetto di una norma ad hoc): il che sarebbe foriero di una ingiustificata disparità di trattamento tra chi proporne domanda per una delle protezioni maggiori e chi intende invece ottenere il riconoscimento della protezione umanitaria. E analoga illogica sperequazione si determinerebbe sul versante delle impugnazioni: giacché chi ha agito per l’accertamento dello status di rifugiato e per l’ottenimento della protezione sussidiaria si vedrebbe precluso l’accesso al rimedio dell’appello, che invece spetterebbe a chi ha invocato la protezione c.d. minore.

2.5. – In conclusione, dunque, deve ritenersi che, in tema di protezione internazionale, nella vigenza del D.L. n. 13 del 2017, art. 3 convertito con modificazioni, dalla L. n. 46 del 2017, prima della modifica introdotta dal D.L. n. 113 del 2018, art. 1 convertito con modificazioni dalla L. n. 132 del 2018, sulla domanda di protezione umanitaria dello straniero la competente sezione specializzata del tribunale giudica in composizione collegiale secondo il rito speciale di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 35 bis, pronunciando decreto non impugnabile, ma ricorribile per cassazione.

3. – Il ricorso è respinto.

3. – Non vi sono spese processuali da liquidare.

P.Q.M.

La Corte:

rigetta il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 5 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 5 gennaio 2022

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