LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –
Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –
Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –
Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –
Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 30739/2020 proposto da:
D.K., elettivamente domiciliato in Roma Via della Giuiana 32, presso lo studio dell’avvocato Antonio Gregorace che lo rappresenta e difende come da procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore;
– intimato –
avverso la sentenza n. 204/2020 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 13/02/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 05/11/2021 da Dott. FALABELLA MASSIMO.
FATTI DI CAUSA
1. – E’ impugnata per cassazione la sentenza della Corte di appello di Catanzaro, pubblicata il 13 febbraio 2020, con cui è stato respinto il gravame proposto da D.K. nei confronti del decreto D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, ex art. 35 bis del Tribunale del capoluogo calabro. La nominata Corte ha escluso che il ricorrente potesse essere ammesso alla protezione sussidiaria e a quella umanitaria.
2. – Il ricorso per cassazione si fonda su quattro motivi. Il Ministero dell’interno, intimato, non ha notificato controricorso, ma ha depositato un “atto di costituzione” in cui non è svolta alcuna difesa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – Il primo motivo lamenta la violazione o falsa applicazione di norme di diritto in relazione al mancato riconoscimento della protezione internazionale. Viene dedotto che il giudice di appello non avrebbe enunciato i motivi per i quali non poteva essere concessa la protezione internazionale, ritenendo che sul punto si fosse formato il giudicato in assenza di specifici motivi di impugnazione.
Col secondo motivo è lamentato l’omesso esame delle dichiarazioni rese dal ricorrente alla Commissione territoriale e “delle allegazioni portate in giudizio per la valutazione delle condizioni del paese di origine del ricorrente”. Viene spiegato che le fonti utilizzate dagli organi giudiziari per fondare il loro convincimento risulterebbero “smentite dalle notizie pubblicate sui maggiori organi e siti web, dal sito ufficiale del Ministero degli esteri, nonché dalla costante giurisprudenza di merito”.
Il terzo mezzo denuncia la mancata concessione della protezione sussidiaria e la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14. Rileva l’istante che nella fattispecie ricorrerebbe l’ipotesi di cui al cit. art. 14, lett. c stanti le attuali preoccupanti condizioni della regione della ***** in *****, in cui la guerra si stava propagando con sempre maggiore insistenza.
Col quarto motivo è lamentata l’erronea applicazione del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6, in relazione alla mancata concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari. Ci si duole non sia stato preso in considerazione il grado di integrazione sociale del ricorrente, il quale aveva prodotto “attestati di frequenza scolastica, di volontariato e religiosa a dimostrazione dell’alto grado di inserimento sociale (…) che, unitamente alle precarie condizioni sociopolitiche del paese di provenienza, dovevano indurre i giudici al riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari”.
1. – Il ricorso è inammissibile.
Il primo motivo non coglie la ratio decidendi della pronuncia impugnata: con riferimento alla protezione sussidiaria (l’unica forma di protezione “maggiore” di cui si sia dibattuto in appello: cfr. pag. 3 della sentenza della Corte di merito) il giudice del gravame ha rilevato, da un lato, che il racconto del richiedente risultava essere non credibile e, dall’altro, che il ***** – segnatamente la regione di provenienza dell’istante – non era teatro di una situazione di violenza indiscriminata.
Il secondo mezzo risulta diretto a provocare una non consentita revisione del giudizio di fatto riservato al giudice del merito. D’altro canto, ove si faccia questione del vizio di omesso esame di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, il ricorrente ha l’onere, nella specie non assolto, di indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”: fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8054).
Con riferimento alla protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c), non appare ammissibile nemmeno la censura di violazione o falsa applicazione di cui al terzo motivo. Infatti, il vizio di violazione o falsa applicazione di norma di diritto, ex art. 360 c.p.c., n. 3, ricorre (o non ricorre) a prescindere dalla motivazione posta dal giudice a fondamento della decisione (e, cioè, del processo di sussunzione), rilevando solo che, in relazione al fatto accertato, la norma non sia stata applicata quando doveva esserlo, ovvero che lo sia stata quando non si doveva applicarla, ovvero che sia stata male applicata, dovendo il ricorrente, in ogni caso, prospettare l’erronea interpretazione di una norma da parte del giudice che ha emesso la sentenza impugnata ed indicare, a pena d’inammissibilità ex art. 366 c.p.c., n. 4, i motivi per i quali chiede la cassazione (Cass. 15 dicembre 2014, n. 26307; Cass. 24 ottobre 2007 n. 22348).
Il quarto motivo omette, poi, di confrontarsi con l’affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, per cui col ricorso introduttivo del giudizio non era stata allegata nessuna specifica situazione di vulnerabilità del richiedente asilo (e sul punto va rammentato che la proposizione del ricorso al tribunale nella materia della protezione internazionale dello straniero non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo, sicché il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio: Cass. 28 settembre 2015, n. 19197; in senso conforme: Cass. 29 ottobre 2018, n. 27336; Cass. 31 gennaio 2019, n. 3016). Del resto, il ricorso denota un chiaro difetto di autosufficienza, giacché non fornisce indicazioni puntuali quanto alle deduzioni svolte dall’istante nel giudizio di merito con riferimento al tema dell’integrazione sociale; né, a ben vedere, lo stesso ricorrente spiega per quale ragione la frequenza scolastica, l’attività di volontariato e la non meglio chiarita partecipazione ad attività religiose potessero giustificare il riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria in assenza di fattori di vulnerabilità incidenti sulla propria sfera personale in caso di rimpatrio.
3. – Nulla è da statuire in punto di spese processuali, stante la mancata resistenza del Ministero.
PQM
La Corte:
dichiara inammissibile il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 5 novembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 5 gennaio 2022
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