Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.246 del 05/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 12782/2016 proposto da:

Comune di Castrì di Lecce, nella persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso, in virtù di procura a margine del ricorso per cassazione, dall’Avv. Giovanni Greco;

– ricorrente –

contro

D.C. s.r.l., nella persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. Fabio Traldi, ed elettivamente domiciliato in Roma, alla via di Novella, n. 22, con procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di LECCE, n. 183/2016, pubblicata il 25 febbraio 2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24 novembre 2021 dal consigliere Dott. Lunella Caradonna.

RILEVATO

CHE:

1. Con sentenza del 25 febbraio 2016, la Corte d’appello di Lecce ha ritenuto fondato l’appello proposto dalla società D.C. s.r.l. avverso la sentenza del Tribunale di Lecce n. 994/2012 del 13 aprile 2012, accogliendo la domanda formulata con l’atto di citazione notificato in data 11 agosto 2006 e ha condannato il Comune di Castrì di Lecce a pagare la somma complessiva di Euro 51.599,14, oltre IVA e interessi moratori sulla somma capitale nella misura di legge sino al soddisfo.

2. La società D.C. s.a.s. aveva formulata la domanda di condanna al pagamento della somma di Euro 51.599,14, oltre interessi, a fronte di un credito derivante da obbligazioni scaturenti da n. 4 contratti di appalto di opere pubbliche che la D.C. s.a.s. (per il contratto n. 1/77 rep.) e la ditta individuale C.S. (per i contratti nn. 9/88, 10/86 e 33/89 rep.), entrambe danti causa della D.C. s.r.l., avevano concluso con l’Amministrazione comunale.

3. La Corte territoriale ha rigettato l’eccezione di difetto di legittimazione attiva, affermando che:

-la sentenza del Tribunale andava riformata in ordine all’asserito difetto di prova della trasformazione e della cessione del credito, tenuto conto degli atti notarili posti a fondamento della legittimazione attiva che erano stati, sia conosciuti dal Comune convenuto ben prima dell’inizio del giudizio, sia allegati nel fascicolo di primo grado ed anche esibiti in copia autentica, dai quali doveva ricavarsi la prova documentale della trasformazione della C. s.a.s. in C. s.r.l. e della cessione dell’azione individuale di C.S. alla C. s.r.l.;

-tutti i lavori oggetto di appalto erano stati ultimati prima dell’atto di trasformazione societaria avvenuta nel 1991 e prima dell’atto di cessione dei crediti dalla ditta individuale alla s.r.l. (7 aprile 1994) e che, ai fini della individuazione della data di ultimazione dei lavori, non rilevava la diversa data del collaudo e la non risultanza della stessa, essendo applicabile ratione temporis la L. 10 dicembre 1981, n. 741, art. 5;

-la disciplina sulla immodificabilità soggettiva dell’appaltatore non trovava applicazione perché la disciplina speciale sui pubblici appalti si riferiva alla diversa fattispecie degli appalti in corso, mentre nel caso in esame, si discuteva del pagamento di somme risultanti dai documenti contabili alla data di ultimazione dei lavori, come si ricavava dalla L. n. 55 del 1990, art. 18, comma 2; dall’art. 2558 c.c., dalla L. 11 febbraio 1994, n. 109, art. 35 e, in tema di cessione del credito, dalla L. 20 marzo 1865, n. 2248, art. 9;

– in presenza di contratti ultimati non sussisteva ragione per derogare al principio di cui all’art. 1260 c.c. della generale cedibilità dei crediti indipendentemente dal consenso del debitore, con la conseguenza che, allorché il contratto di appalto che era all’origine del credito ceduto, alla data della comunicazione della cessione, risultava completamente esaurito, non vi era necessità di accettazione del credito da parte dell’ente pubblico;

-nel caso in esame, erano stati inoltre rispettati i requisiti di forma della cessione mediante atto pubblico (R.D. n. 2440 del 1923, art. 69, comma 3), di cui il Comune era a conoscenza per la richiesta di pagamento del 7 agosto 2000 da parte del legale della C. s.r.l..

4. I giudici di secondo grado, nel merito:

– hanno rigettato l’eccezione di prescrizione del termine decennale in ragione degli atti interruttivi posti in essere dalla parte attrice;

hanno rigettato l’eccezione di intervenuta rinuncia agli interessi moratori contenuta nella scrittura privata allegata al contratto, L. 10 dicembre 1981, n. 741, ex art. 4;

hanno ritenuto fondata la domanda di restituzione delle somme trattenute a garanzie con riferimento al contratto n. 10-86 (credito ex C.S.) ai sensi della L. n. 741 del 1981, art. 5 che prevedeva il diritto di ottenere dette somme se il certificato d collaudo o di regolare esecuzione non fossero stati approvati entro due mesi dalla scadenza dei termini, salvo che ciò non dipendesse da fatto imputabile all’impresa;

– hanno accertato il diritto al pagamento richiesto per lavori extra contratto nella misura di Euro 6.057,20 con riferimento al contratto n. 9 del 5 luglio 1988, avendo il consulente tecnico d’ufficio accertato l’effettiva esecuzione dei detti lavori inseriti nella perizia di variante e suppletiva;

– hanno determinato le somme dovute, a seguito di consulenza tecnica d’ufficio, fatta eccezione per la rivalutazione monetaria (pure conteggiata dal consulente d’ufficio), in quanto riconosciuta come non dovute dallo stesso appellante, in applicazione del D.P.R. n. 1063 del 1962, artt. 35 e 36 e successive modifiche.

5. Il Comune di Castri di Lecce, avverso la sentenza impugnata, ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.

6. La società D.C. s.r.l. ha depositato controricorso.

CONSIDERATO

CHE:

1. Con il primo motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione di norme di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione alla L. n. 55 del 1990, art. 18, comma 2, nonché dell’art. 2558 c.c. e alla L. n. 109 del 1999, art. 35 (carenza di legittimazione di D.C. s.r.l., in virtù del principio di immodificabilità soggettiva del soggetto contraente nei contratti di appalto pubblico): la Corte d’appello aveva disapplicato al caso di specie la disciplina relativa alla immodificabilità del soggetto aggiudicatario del contratto di appalto, compiendo una illegittima applicazione della L. n. 55 del 1990, art. 18, comma 2, nonché dell’art. 2558 c.c. e dell’art. 109/1994 e ciò perché l’esecuzione delle opere e il pagamento di tutti gli stati di avanzamento imponevano di ritenere definito il rapporto ed ingiustificabile la cessione ai sensi della L. n. 55 del 1990, art. 18, comma 2.

2. Con il secondo motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione di norme di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione all’art. 2946 c.c. (relativo al termine di prescrizione decennale che la sentenza viola dopo avere omesso una circostanza di fatto dalla stessa pacificamente accertata): la Corte avrebbe errato, prendendo come riferimento la data di ultimazione dei lavori indicata nella stessa sentenza, le lettere di messa in mora, con riferimento al contratto n. 1/77, i cui lavori erano termini il 16 ottobre 1978.

3. Con il terzo motivo si lamenta la violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione all’art. 11 disp. gen. ed alla L. n. 471 del 1981, art. 4 (Retroattività della legge, legittimità della clausola di rinuncia agli interessi moratori sottoscritta dalle parti contraenti): la Corte per il contratto n. 1/77 ha violato l’art. 11 disp. gen. in base al quale la legge non dispone che per l’avvenire, avendo applicato la L. n. 741 del 1981, art. 4 entrata in vigore successivamente all’accordo ed anche alla conclusione dell’appalto e così facendo ha ritenuto nullo l’accordo espressamente sottoscritto “di non avanzare pretese di alcun genere nei confronti di questa Amministrazione per eventuali ritardi nel pagamento di singoli stati di avanzamento dei lavori stessi”.

4. Con il quarto motivo si lamenta la violazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione all’art. 1659 c.c. relativo all’esecuzione delle opere extracontratto: la Corte di appello ha riconosciuto l’importo di Euro 6.057,20 per un lavoro non previsto nel contratto, limitandosi ad un mero richiamo alla consulenza tecnica d’ufficio ed al fatto che tali lavori sarebbero stati contabilizzati ed inseriti in una perizia di variante; il consulente tecnico d’ufficio aveva riferito anche di lavori per Euro 8.612,95 extracontratto non contabilizzati non inseriti in alcuna perizia di variante e dei quali la Corte ha omesso di riferire pur considerandoli nel quantum del dovuto da parte del Comune.

5. Con atto di rinuncia pervenuto in Cancelleria, il Comune ricorrente ha dichiarato di avere raggiunto un accordo transattivo, di non avere più interesse alla prosecuzione del giudizio e di rinunciare agli atti della causa in oggetto; tale atto risulta firmato telematicamente dall’Avv. Fabio Traldi, difensore della società controricorrente.

6. Ne consegue l’estinzione del processo di cassazione per rinuncia al ricorso (art. 391 c.p.c., comma 1).

La declaratoria di estinzione del giudizio esclude l’applicabilità del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, relativo all’obbligo della parte impugnante non vittoriosa di versare una somma pari al contributo unificato già versato all’atto della proposizione dell’impugnazione (Cass., 12 ottobre 2018, n. 25485).

P.Q.M.

La Corte dichiara estinto il processo di cassazione per rinuncia al ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 24 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 5 gennaio 2022

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