LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FERRO Massimo – Presidente –
Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –
Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –
Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –
Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 21026-2020 proposto da:
M.C.N., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MERULANA 234, presso lo studio dell’avvocato CRISTINA DELLA VALLE, rappresentato e difeso dall’avvocato MARCO POLITA;
– ricorrente –
contro
CURATORE DEL FALLIMENTO DELLA DITTA MA.FA.;
– intimato –
avverso il decreto n. cronol. 4715/2020 del TRIBUNALE di ANCONA, depositato il 10/7/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 5/10/2021 dal Consigliere Relatore Dott. ALBERTO PAZZI.
RILEVATO
che:
1. Il Giudice delegato al fallimento di Ma.Fa. non ammetteva al passivo della procedura il credito vantato da M.C.N. a titolo di trattamento di fine rapporto “atteso che dal CUD 2018 risulta l’intervenuta erogazione del TFR richiesto in questa sede”.
2. Il Tribunale di Ancona, a seguito dell’opposizione proposta dal M., confermava l’esclusione del credito dal novero del passivo, rilevando “come il pagamento del TFR debba considerarsi adeguatamente dimostrato dal CUD”.
3. Per la cassazione del decreto di rigetto dell’opposizione, pubblicato in data 10 luglio 2020, ha proposto ricorso M.C.N. prospettando due motivi di doglianza.
L’intimato fallimento di Ma.Fa. non ha svolto difese.
CONSIDERATO
che:
4. Il primo motivo di ricorso assume la nullità della decisione impugnata, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in relazione all’art. 112 c.p.c., in ragione dell’omessa pronuncia sul disconoscimento del CUD ai sensi dell’art. 214 c.p.c., effettuato dal lavoratore: il Tribunale – in tesi di parte ricorrente – ha completamente omesso di pronunciarsi sul disconoscimento del CUD compiuto dal procuratore speciale, ritenendo erroneamente che le risultanze del documento non fossero state contestate dal lavoratore.
5. Il motivo è inammissibile.
Invero secondo la giurisprudenza di questa Corte il mancato esame da parte del giudice, sollecitatone dalla parte, di una questione puramente processuale non può dar luogo a vizio di omessa pronunzia, il quale attiene al mancato esame delle sole domande di merito, e non può assurgere quindi a causa autonoma di nullità della sentenza, potendo profilarsi al riguardo una nullità (propria o derivata) della decisione, per la violazione di norme diverse dall’art. 112 c.p.c., in quanto sia errata la soluzione implicitamente data dal giudice alla questione sollevata dalla parte (Cass. n. 10073/2003, Cass. n. 14670/2001).
Ne’ è possibile sostenere che nel caso di specie sia errata la soluzione implicitamente data dal giudice alla questione sollevata dalla parte, poiché nel sistema previsto dall’art. 2702 c.c., e art. 214 c.p.c. e ss., l’efficacia probatoria privilegiata della scrittura privata opera esclusivamente nei confronti delle parti processuali che siano autrici della stessa (Cass. n. 398/1979).
In altri termini, l’efficacia di prova legale sussiste soltanto se la scrittura provenga da una delle parti in giudizio (e segnatamente dalla parte contro la quale la scrittura è prodotta) e non da un terzo.
Di conseguenza, il creditore opponente non aveva alcun interesse a disconoscere, ai sensi dell’art. 214 c.p.c. e ss., la scrittura in discorso, posto che la stessa non era stata da lui formata né riportava la sua sottoscrizione.
6. Il secondo motivo di ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, la falsa applicazione dell’art. 2967 c.c., e del principio dell’onere della prova, perché il CUD, come atto unilaterale proveniente dall’azienda, non prova in alcun modo – sottolinea il ricorrente – l’esistenza dei fatti estintivi del credito fatto valere dal lavoratore, soprattutto in caso di contestazioni da parte di quest’ultimo.
La curatela, pur essendo gravata della prova dei fatti estintivi del debito, ha perciò omesso di effettuare una produzione idonea a tale scopo.
7. Il motivo è inammissibile.
Il ricorrente sostiene che non vi era agli atti alcun documento che comprovasse l’avvenuta estinzione del suo credito, di modo che il provvedimento impugnato deve ritenersi “illegittimo per errata applicazione del principio dell’onere della prova ex art. 2697 c.c.”.
Ora, la violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c., censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non, invece, laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (sindacabile, quest’ultima, in sede di legittimità, entro i ristretti limiti dell’attuale testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5; Cass. n. 13395/2018, Cass. n. 18092/2020).
Nel caso di specie il collegio dell’opposizione non ha affatto attribuito al lavoratore oneri probatori che non gli competevano, in relazione all’estinzione del suo credito, ma, ben diversamente, ha valutato il materiale probatorio prodotto dalla curatela ai fini della dimostrazione della persistenza del credito di cui si domandava l’ammissione al passivo.
Si tratta di una valutazione di pertinenza del collegio dell’opposizione che non può essere rivista, nel merito, in questa sede.
8. In virtù delle ragioni sopra illustrate il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
La mancata costituzione in questa sede della procedura intimata esime il collegio dal provvedere alla regolazione delle spese di lite.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, il 5 ottobre 2021.
Depositato in Cancelleria il 5 gennaio 2022