LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FERRO Massimo – Presidente –
Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –
Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –
Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –
Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 810-2021 proposto da:
B.S., domiciliato presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA, rappresentato e difeso dall’avvocato MARCO CAVICCHIOLI;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende, ope legis;
– resistente-
contro
PROCURA GENERALE PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE;
– intimata –
avverso la sentenza n. 524/2020 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 18/5/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 28/9/2021 dal Consigliere Relatore Dott. PAZZI ALBERTO.
RILEVATO
che:
1. Il Tribunale di Torino, con ordinanza ex art. 702-bis c.p.c. del 17 dicembre 2018, rigettava il ricorso proposto da B.S., cittadino della Nigeria proveniente da Lagos, avverso il provvedimento emesso dalla locale Commissione territoriale di diniego di riconoscimento del suo status di rifugiato nonché del suo diritto alla protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex artt. 2 e 14 o a quella umanitaria ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6.
2. La Corte d’appello di Torino, a seguito dell’impugnazione del richiedente asilo, osservava – fra l’altro e per quanto qui di interesse -che egli non aveva assolutamente dimostrato di aver subito alcuna minaccia per il fatto di essere cristiano.
Rilevava, inoltre, l’inesistenza in Nigeria di una generale situazione di violenza indiscriminata da conflitto armato, in quanto il gruppo terroristico Boko Haram operava, prevalentemente, nel nord del paese. Riteneva, infine, che il minimo grado di radicamento e inserimento sociale del richiedente nel territorio italiano non costituisse ragione sufficiente per il riconoscimento della protezione umanitaria.
3. Per la cassazione della sentenza di rigetto dell’appello, pubblicata in data 18 maggio 2020, ha proposto ricorso B.S. prospettando quattro motivi di doglianza.
Il Ministero dell’Interno si è costituito al di fuori dei termini di cui all’art. 370 c.p.c. al fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa.
CONSIDERATO
che:
4. Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3,7 e 11 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, perché la Corte d’appello, nel rigettare la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato a causa della mancata dimostrazione del fatto di aver ricevuto minacce per la sua fede religiosa, non ha svolto alcuna verifica o accertamento d’ufficio in ordine alla sussistenza di persecuzioni o discriminazioni ai danni dei cristiani in Nigeria.
5. Il motivo è inammissibile.
La Corte d’appello ha rilevato che il B., nel sostenere di professare la religione cristiana, non aveva “assolutamente dimostrato di aver subito alcuna minaccia per il fatto di essere cristiano” e, di conseguenza, ha ritenuto che le argomentazioni svolte dall’appellante non fossero sufficienti a consentire di riconoscere lo status di rifugiato.
In tesi di parte ricorrente la Corte territoriale avrebbe dovuto, comunque, occuparsi di verificare se i cristiani in Nigeria fossero oggetto di persecuzioni o discriminazione.
Una simile istanza non può essere affatto condivisa.
Invero, la qualifica di rifugiato politico si caratterizza per la circostanza che il richiedente non può o non vuole fare ritorno nel paese di origine per il fondato timore di una persecuzione personale e diretta (per l’appartenenza ad un’etnia, associazione, credo politico o religioso, ovvero in ragione delle proprie tendenze o stili di vita).
Ne consegue che, ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato, la situazione socio-politica del Paese di provenienza è rilevante solo se correlata alla specifica posizione del richiedente (e, più precisamente, al suo fondato timore di una persecuzione personale e diretta, per l’appartenenza ad un’etnia, associazione, credo politico o religioso, ovvero in ragione delle proprie tendenze e stili di vita) e quindi alla personale esposizione al rischio di specifiche misure sanzionatorie a carico della sua integrità psico-fisica (Cass. 30105/2018, Cass. 10177/2011).
In assenza della dimostrazione di un fondato timore di una persecuzione personale e diretta non assumeva, perciò, alcun rilievo la situazione generale esistente nello Stato di provenienza, con la conseguente inammissibilità, per mancanza di decisività, della doglianza concernente il mancato accertamento dell’esistenza di persecuzioni o discriminazioni in Nigeria ai danni dei cristiani.
6. Il secondo motivo lamenta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, a causa del mancato esperimento di un’appropriata attività istruttoria in relazione alla domanda di riconoscimento della protezione sussidiaria.
In particolare, la Corte di merito ha escluso la sussistenza di una situazione di violenza generalizzata da conflitto armato senza curarsi di acquisire le informazioni elaborate dalla Commissione Nazionale per il diritto di asilo o dal Ministero degli Esteri e non riportando in sentenza il contenuto del rapporto internazionale citato, le cui conclusioni, peraltro, non erano più attuali.
7. Il motivo non è fondato.
Ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, in particolare ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), è dovere del giudice verificare, avvalendosi dei propri poteri officiosi di indagine e informazione di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, e tramite la consultazione di “fonti informative privilegiate” (vale a dire di informazioni tratte da fonte internazionale aggiornata, qualificata ed autorevole; Cass. 3357/2021), se la situazione di esposizione a pericolo per l’incolumità fisica indicata dal ricorrente, astrattamente riconducibile a una situazione tipizzata di rischio, sia effettivamente sussistente nel paese nel quale dovrebbe essere disposto il rimpatrio, sulla base di un accertamento che deve essere aggiornato al momento della decisione (Cass. 17075/2018).
Il giudice è tenuto, nell’assolvimento di questo obbligo di cooperazione istruttoria, a compiere tutti gli accertamenti ufficiosi finalizzati ad acclarare l’effettiva condizione del paese di origine del richiedente nonché ad indicare, nel provvedimento conclusivo, le fonti utilizzate e il loro aggiornamento e può ben trarre – non rivestendo l’elencazione delle fonti contenuta nel citato D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, carattere esclusivo da concorrenti canali di informazione, anche via web, le informazioni sulla situazione del paese estero, le quali, per la capillarità della loro diffusione e la facile accessibilità da parte dei consociati, vanno considerate alla stregua del fatto notorio (Cass. 28349/2020, Cass. 14682/2021).
La Corte di merito si è ispirata a simili criteri, prendendo in esame informazioni sulla situazione esistente in Nigeria tratte da una fonte espressamente indicata e risalenti a poco meno di quattro anni prima della propria pronuncia.
Rispetto al mancato aggiornamento delle informazioni raccolte è sufficiente osservare che il motivo di ricorso per cassazione che miri a contrastare l’apprezzamento del giudice di merito a questo proposito non può limitarsi a sostenere che le fonti consultate dal giudice di merito ed espressamente indicate mancassero di aderenza alla situazione attuale, ma deve evidenziare anche, mediante riscontri precisi ed univoci (rilievo che l’odierno ricorrente non ha compiuto), che le informazioni sulla cui base è stata assunta la decisione erano superate da altre più aggiornate e decisive fonti qualificate, sicché la loro consultazione non costituisce un puntuale adempimento del cd. dovere di collaborazione istruttoria (Cass. 4037/2020).
8. Il terzo motivo di ricorso assume la violazione dell’art. 183 c.p.c., comma 8, e art. 115 c.p.c., a causa della mancanza di contraddittorio in ordine alle fonti internazionali utilizzate dalla Corte d’appello e per la mancata indicazione del loro contenuto.
9. Il motivo non è fondato.
Il ricorrente non ha allegato, con la necessaria autosufficienza, di aver esplicitamente indicato specifiche fonti internazionali che suffragassero i propri assunti in merito all’esistenza di una condizione di violenza generalizzata e diffusa a Lagos, dove aveva vissuto fino al momento del suo espatrio.
Ne discende che l’omessa sottoposizione al contraddittorio delle country of origin information assunte d’ufficio dal giudice ad integrazione del racconto del richiedente non lede il diritto di difesa di quest’ultimo, poiché l’attività di cooperazione istruttoria è stata integrativa dell’inerzia della parte e non ne ha diminuito le garanzie processuali (Cass. 29056/2019).
Ne’ era necessario riportare all’interno della decisione l’espresso contenuto della fonte consultata, posto che il giudice di merito è tenuto soltanto a rendere palese nella motivazione a quali informazioni abbia fatto riferimento, al fine di consentirne l’eventuale critica in sede di impugnazione.
10. Il quarto motivo di ricorso prospetta la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, e art. 32, comma 3 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e l’omessa valutazione di fatti decisivi e discussi fra le parti, in quanto la Corte di merito ha trascurato di considerare, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, tanto la vulnerabilità correlata all’appartenenza alla minoranza cristiana, quanto la situazione di degrado sociale e violenza generalizzata presente in Nigeria.
11. Il motivo è inammissibile.
Benché il giudizio di non credibilità della narrazione del richiedente non precludesse di per sé la valutazione di diverse circostanze implicanti una situazione di vulnerabilità (Cass. 10922/2019), occorre tuttavia rilevare che a tal fine non erano sufficienti le allegazioni sulla sola situazione generale esistente nel paese di origine, in termini di persecuzione delle persone di fede cristiana (dato che il richiedente non aveva riferito di persecuzioni o pregiudizi di sorta di carattere personale), di degrado sociale ovvero di situazione di violenza generalizzata presente nell’intero paese.
Invero il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, quale misura atipica e residuale, è il frutto della valutazione della specifica condizione personale di particolare vulnerabilità del richiedente.
Ne consegue che, a tal fine, non è sufficiente la mera allegazione delle condizioni generali del paese di origine a cui non si accompagni l’indicazione di come siffatta situazione influisca sulle condizioni personali del richiedente asilo provocando una particolare condizione di vulnerabilità.
Le allegazioni compiute dal migrante, trascurando questo profilo individuale, erano prive di alcuna rilevanza ai fini dell’accoglimento della domanda di protezione umanitaria, sicché la loro mancata considerazione non si presta a essere denunciata in questa sede per mancanza di decisività.
12. Per tutto quanto sopra esposto il ricorso deve essere rigettato.
La costituzione dell’amministrazione intimata al di fuori dei termini previsti dall’art. 370 c.p.c. ed al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione, non celebrata, esime il collegio dal provvedere alla regolazione delle spese di lite.
PQM
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, il 28 settembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 5 gennaio 2022