Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.255 del 05/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rosanna – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 956-2017 proposto da:

NORD-EST GROUP S.R.L., rappresentata e difesa dall’Avvocato ANTONIO BERTOLI, per procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

IMMOBILIARE VOLTA S.P.A. IN LIQUIDAZIONE IN COCORDATO PREVENTIVO, (già IMMOBILIARE VOLTA S.R.L.);

– intimata –

avverso la sentenza n. 2424/2016 della CORTE D’APPELLO DI VENEZIA, depositata il 25/10/2016;

udita la relazione della causa svolta nell’adunanza non partecipata del 21/9/2021 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DONGIACOMO.

FATTI DI CAUSA

1.1. La Nord-est Group s.r.l., con atto di citazione notificato il 24/3/2005, ha agito in giudizio, ai sensi dell’art. 2932 c.c., al fine di ottenere una sentenza che le trasferisse la proprietà di un miniappartamento con garage in Padova che le era stato promesso in vendita con preliminare del 20/10/2003 dalla Immobiliare Volta s.r.l..

1.2. Quest’ultima, quale promittente venditrice, si è costituita ed ha chiesto l’annullamento del preliminare, perché sottoscritto C.S. in conflitto d’interessi in quanto all’epoca dei fatti legale rappresentante di entrambe le società, nonché la declaratoria di nullità del contratto, avendo per oggetto un bene costruito in parte su terreno di proprietà di terzi.

2.1. Il tribunale, con sentenza del 28/10/2014, ritenendo che dovesse essere applicato l’art. 1394 c.c., ha rigettato la domanda della società attrice ed ha annullato il contratto preliminare.

2.2. La Nord-est Group s.r.l. ha proposto appello sostenendo, per un verso, che il tribunale aveva trascurato di considerare la delibera con la quale, in data 15/9/2004, la Immobiliare Volta aveva ratificato l’operato del C., e, per altro verso, che il tribunale, ai fini dell’applicazione dell’art. 2391 c.c., aveva esaminato il profilo del danno subito dalla promittente venditrice pur trattandosi di un aspetto dedotto solo con la memoria prevista dall’art. 184 c.p.c. e, quindi, tardivamente.

2.3. La società convenuta ha chiesto il rigetto dell’appello deducendo che nessuna ratifica vi era stata dell’operato del C. e che l’eccezione afferente al conflitto d’interessi era stata sollevata tempestivamente sin dalla memoria prevista dall’art. 180 c.p.c., nella versione in vigore ratione temporis.

3.1. La corte d’appello, con la sentenza in epigrafe, ha rigettato l’appello ed ha, per l’effetto, confermato la sentenza impugnata.

3.2. La corte, in particolare, per quanto ancora rileva, ha ritenuto, innanzitutto, che il documento del 15/9/2004, oltre a non essere inserito nel registro delle delibere assembleari della promittente venditrice, è di data successiva al preliminare e, tenuto conto del suo “tenore testuale”, prevede, per il futuro, che determinati atti debbano essere sottoscritti non solo dal legale rappresentante delle società ma anche da un altro componente del consiglio di amministrazione: “non vi è traccia alcuna di una ratifica dell’operato del signor C., in relazione al preliminare 20.10.2003, cosicché, il fatto che quest’ultimo sia stato sottoscritto non solo dal legale rappresentante della società Immobiliare Volta, ma anche da un altro membro del consiglio di amministrazione, appare irrilevante, posto che, comunque, C.S., all’epoca, era al tempo stesso legale rappresentante sia della promissaria acquirente che della promittente venditrice”.

3.3. La corte, inoltre, ha evidenziato che l’immobile era stato promesso in vendita ad un prezzo corrispondente a circa la metà del valore stimato in sede di consulenza tecnica d’ufficio e che la natura pregiudizievole dell’affare era stata eccepita dalla promittente venditrice fin dalla comparsa di risposta, lì dove la stessa, per sostenere la sussistenza del conflitto d’interessi, rilevante ai fini dell’applicabilità dell’art. 1394 c.c., aveva richiamato numerosi precedenti giurisprudenziali che ne ammettono la sussistenza anche quando il pregiudizio sia solo astratto o potenziale. Peraltro, ha aggiunto la corte, pur a voler ritenere che l’ipotesi prevista dall’art. 1394 c.c. è configurabile solo se il rappresentante sia portatore in concreto di un interesse proprio o di terzi incompatibile con quello del rappresentato, nella fattispecie in esame la natura pregiudizievole dell’atto doveva essere ravvisata non solo in relazione al fatto che, nel contatto di compravendita, la parte acquirente e la parte venditrice sono portatrici di interessi contrapposti in relazione alla determinazione del prezzo, ma anche perché, in concreto, il prezzo pattuito corrisponde alla metà del valore del bene, e ciò, ha concluso la corte, non lascia adito a dubbi in merito al danno che sarebbe stato conseguito in capo alla venditrice qualora le parti fossero addivenute alla stipula del contratto definitivo.

4.1. La Nord-est Group s.r.1.4, con ricorso notificato in data 23/12/2016, ha chiesto, per due motivi, la cassazione della sentenza della corte d’appello.

4.2. La Immobiliare Volta s.p.a. in liquidazione e Concordato Preventivo, già Immobiliare Volta s.r.l., è rimasta intimata.

4.3. La ricorrente ha depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

5.1. Con il primo motivo, la società ricorrente, lamentando la violazione degli artt. 1394 e 2391 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha ritenuto che la delibera del consiglio di amministrazione del 15/9/2004 non avesse ratificato l’operato del rappresentante C.S. senza, tuttavia, considerare che, durante la riunione del 15/9/2004, gli amministratori avevano previsto che, onde garantire la correttezza dell’operato del presidente, i preliminari di acquisto avrebbero dovuto essere sottoscritti, oltre che da questo, anche da un altro consigliere, come, in effetti, è accaduto in occasione della stipula del preliminare del 20/10/2003, il quale reca, oltre alla firma del C., anche quella di un altro amministratore della Immobiliare Volta. Non ha, dunque, rilievo che la delibera in questione sia successiva alla stipula del preliminare, poiché la stessa è stata solamente ricognitiva della volontà dei soci e della prassi già invalsa nella società, che gli stessi hanno inteso formalmente avallare e ratificare. Attraverso la delibera, pertanto, il consiglio di amministrazione ha ratificato e fatto propria l’attività, e cioè la stipula del preliminare, precedentemente compiuta secondo le modalità indicate nella stessa.

5.2. Con il secondo motivo, la ricorrente, lamentando la violazione degli artt. 112,115,180 e 184 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha ritenuto che la convenuta avesse tempestivamente allegato il danno asseritamente subito dalla società appellata senza, tuttavia, considerare che, in realtà, la differenza tra il prezzo pattuito ed il prezzo di mercato del bene è stata eccepita tardivamente eccepita dalla controparte solo nella memoria prevista dall’art. 184 c.p.c., vecchio testo. D’altra parte, ha aggiunto la ricorrente, non risulta la sussistenza di una differenza sostanziale tra il prezzo pattuito ed il valore di mercato del bene, così come determinato dal consulente tecnico d’ufficio, il quale, infatti, non ha tenuto conto dell’effettivo e concreto standard qualitativo e funzionale del bene, come la sua mancata ultimazione, la difficoltà di accesso al garage e l’iscrizione sullo stesso di un’ipoteca.

6.1. I motivi, da esaminare congiuntamente, sono infondati. La ricorrente, in effetti, ad onta del vizio di violazione di legge invocato, ha finito, in sostanza, per lamentare l’apprezzamento, asseritamente errato, che la corte d’appello ha fatto, in ordine alla sussistenza della ratifica e del danno arrecato dal contratto impugnato, delle prove raccolte in giudizio, incorrendo, così, nell’equivoco di ritenere che la falsa applicazione delle norme di legge sostanziale e processuale dipendano o siano ad ogni modo dimostrate dall’erronea valutazione del materiale istruttorio raccolto in giudizio. La valutazione delle prove raccolte, invece, costituisce, com’e’ noto, un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione se non per il vizio (nei caso in esame neppure invocato come tale) consistito, come stabilito dall’art. 360 c.p.c., n. 5, nell’avere del tutto omesso, in sede di accertamento della fattispecie concreta, l’esame di uno o più fatti storici, principali o secondari, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbiano costituito oggetto di discussione tra le parti e abbiano carattere decisivo, vale a dire che, se esaminati, avrebbero determinato un esito diverso della controversia.

6.2. D’altra parte – ed escluso ogni rilievo alla deduzione asseritamente intempestiva della sussistenza del danno arrecato dall’atto, che, quale elemento costitutivo (inequivocamente ritenuto tale dalla corte d’appello, con statuizione incensurata) della fattispecie prevista dall’art. 1394 c.c., e’, come tale, suscettibile di accertamento ufficioso da parte del giudice di merito – rileva la Corte che, in tema di ricorso per cassazione, per infirmare la motivazione della sentenza che recepisca le conclusioni di una relazione di consulenza tecnica d’ufficio di cui il giudice dichiari di condividere il merito, è necessario che la parte alleghi di avere rivolto critiche alla consulenza stessa già dinanzi al giudice a quo, e ne trascriva, poi, per specificità dei motivi, almeno i punti salienti onde consentirne la valutazione in termini di decisività e di rilevanza, atteso che, diversamente, una mera disamina dei vari passaggi dell’elaborato peritale, corredata da notazioni critiche, si risolverebbe nella prospettazione di un sindacato di merito inammissibile in sede di legittimità (cfr. Cass. n. 11482 del 2016; Cass. n. 19427 del 2017). E non solo: in tema di impugnazioni civili, le conclusioni assunte dal consulente tecnico sono impugnabili con ricorso per cassazione solamente qualora le censure ad esse relative siano state tempestivamente prospettate avanti al giudice del merito, alla stregua di quanto si evinca dalla sentenza impugnata ovvero dell’atto del procedimento di merito – da specificamente indicarsi da parte del ricorrente – ove le stesse risultino essere state formulate, e vengano espressamente indicate nel motivo di ricorso, in modo che al giudice di legittimità risultino consentito il controllo ex actis della relativa veridicità nonché la valutazione della decisività della questione (Cass. n. 12532 del 2011; Cass. n. 20636 del 2013, per la quale “le contestazioni difensive della consulenza tecnica d’ufficio…devono essere sollevate nella prima udienza successiva al deposito della relazione…”). Nel caso in esame, invece, la ricorrente non ha riprodotto, nel ricorso per cassazione, le censure che, nel giudizio di merito, avrebbe formulato alle conclusioni della consulenza tecnica relativa al valore del bene promesso in vendita e, dunque, alla sussistenza del danno.

6.3. Del resto, l’esistenza di una pluralità di amministratori non è di ostacolo all’applicazione della disciplina dettata dall’art. 1394 c.c., ponendo in evidenza che quest’ultima norma è certamente applicabile nel caso in cui, pur essendovi il consiglio di amministrazione, l’operazione da compiere sia devoluta alla specifica competenza di uno soltanto dei suoi componenti (l’amministratore delegato) che abbia il potere di agire con gli stessi poteri che competono all’amministratore unico e, quindi, senza necessità di un intervento del consiglio. Ed a conclusioni non diverse deve pervenirsi quando il singolo amministratore ponga in essere, in mancanza di una delibera del consiglio di amministrazione, un atto che rientri, invece, nella competenza di tale organo. Invero, nell’ipotesi prefigurata dall’art. 2391 c.c. il conflitto emerge in sede deliberativa e, quindi, in un momento anteriore a quello in cui l’atto viene posto in essere, in nome della società, nei confronti del terzo, e tocca, pertanto, l’esercizio (non già del potere rappresentativo, che si puntualizza nella spendita del nome della società verso i terzi) ma del potere di gestione, il cui esercizio, data la struttura dell’organo amministrativo, si estrinseca in deliberazioni collegiali. E’, pertanto, evidente che, se, come nel caso in esame, il compimento dell’atto posto in essere dal singolo amministratore con il terzo non è stato preceduto da una fase procedimentale che si sia concretata nell’adozione di una delibera consiliare, tale disposizione non può ricevere applicazione, a nulla rilevando che l’atto sia eventualmente ricompreso, sotto il profilo gestorio, nella competenza del consiglio di amministrazione. Non essendo, quindi, ravvisabili le condizioni per il ricorso alla disciplina dettata dal citato art. 2391 c.c., l’incidenza del conflitto d’interessi sulla validità del negozio posto in essere con il terzo deve essere quindi regolata sulla base di principi diversi che, in mancanza di altri indici normativi, vanno identificati in quelli fissati, in via generale, dall’art. 1394 c.c. (Cass. n. 1525 del 2006; Cass. n. 3501 del 2013). E a tal ultimo riguardo, va ribadito il principio secondo cui il conflitto d’interessi idoneo, ai sensi dell’art. 1394 c.c., a produrre l’annullabilità del contratto, richiede l’accertamento dell’esistenza di un rapporto d’incompatibilità tra gli interessi del rappresentato e quelli del rappresentante, da dimostrare non in modo astratto od ipotetico ma con riferimento al singolo atto o negozio che, per le sue intrinseche caratteristiche, consenta la creazione (come, appunto, accertato, a mezzo di consulenza tecnica d’ufficio, dalla sentenza impugnata, attraverso il riscontro in fatto di una rilevante differenza tra il valore di mercato del bene ed il prezzo pattuito per la sua vendita nel contratto preliminare) dell’utile di un soggetto mediante il sacrificio dell’altro (Cass. n. 2529 del 2017).

7. Il ricorso dev’essere, quindi, rigettato.

8. Nulla per le spese, in difetto di controricorso.

9. La Corte dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

PQM

La Corte così provvede: rigetta il ricorso; dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 21 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 5 gennaio 2022

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