LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Felice – Presidente –
Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –
Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –
Dott. ABETE Luigi – Consigliere –
Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 14663/2016 proposto dal:
FALLIMENTO ***** s.p.a., in persona del suo curatore Dott. C.A. (già ***** s.p.a. in persona del suo Presidente del Consiglio di Amministrazione e legale rappresentante p.t.) rappresentato e difeso dall’Avv. GIOVANNI ALDO SECHI, ed elettivamente domiciliato nello studio dell’Avv. Domenico Martino, in ROMA, Via LIVORNO 20;
– ricorrente –
contro
AZIENDA PER LA TUTELA DELLA SALUTE, (già AZIENDA SANITARIA LOCALE n. ***** SASSARI ex L.R. Sardegna n. 17 del 2016), in persona del legale rappresentante Commissario straordinario Dott. T.M., rappresentata e difesa dall’Avv. CATERINA COSSELLU, e domiciliata presso gli uffici dell’Area Affari Legali Sassari, in Sassari Via CATALOCCHINO 11;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 631/2016 della CORTE d’APPELLO di CAGLIARI –
sezione distaccata SASSARI, pubblicata in data 9.12.2016;
udita la relazione della causa svolta nella Pubblica Udienza camera di consiglio del 28/09/2021 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CERONI FRANCESCA, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso o, in subordine, per l’accoglimento;
udito l’Avv. ALDO SECHI GIOVANNI, per il ricorrente e l’Avv. CATERINA COSSELLU, per il controricorrente, i quali hanno ciascuno rispettivamente concluso come in atti.
FATTI DI CAUSA
Con decreto ingiuntivo n. 124/2012 dell’1.2.2012, il Tribunale di Sassari ordinava all’AZIENDA SANITARIA LOCALE N. ***** DI SASSARI il pagamento in favore del ***** S.P.A., struttura privata “convenzionata”, della somma di Euro 994.001,60, quale importo dovuto per prestazioni di assistenza ospedaliera extra budget erogate nel biennio 2007/2008.
Avverso il suddetto decreto proponeva opposizione la ASL n. 1 contestando che le prestazioni sanitarie fossero state eseguite e correttamente classificate nei DRG (Diagnosis Related Group-Raggruppamenti Omogenei di Diagnosi), e che le somme fossero state calcolate secondo i tariffari. Ammetteva di aver stipulato il contratto per dette prestazioni il 2.4.2007, in forza del quale il Policlinico si obbligava a rendere determinate prestazioni sanitarie (ricovero per acuti, riabilitazione e lungodegenza). Sosteneva la ASL che, sia per l’anno 2007 che per il 2008, era stato concordato (ex art. 6 del contratto e allegati nn. 1 e 2) “che la fornitura di ricoveri ordinari con riferimento agli interventi su articolazioni maggiori, spalla, gomito e piede (DRG nn. 209, 223, 225) non avrebbe dovuto superare contrattualmente i 45 ricoveri ordinari”. Le somme liquidate erano invece solo quelle comprese entro i limiti concordati per i DRG. Negli allegati nn. 1 e 2 del contratto era previsto che (con riferimento ai DRG in questione) potesse essere erogata un’ulteriore quota di tali DRG fuori budget, proporzionale all’eventuale recupero di mobilità extraregionale, oggi stimabile in 55 casi anno. Secondo l’opponente ASL l’erogazione della quota extra budget era una mera eventualità, legata all’effettiva riduzione della mobilità extraregionale passiva (residenti in Sardegna che decidono di ricevere le suddette prestazioni sanitarie in altre Regioni). Peraltro, dal 2005 in poi tale mobilità era aumentata (casi/anno: 50/2005; 147/2006; 194/2007; 212/2008; 170/2009). Non avendo il Policlinico diritto alle somme pretese monitoriamente, l’opponente concludeva per la revoca del decreto ingiuntivo.
Si costituiva in giudizio il ***** s.p.a., il quale deduceva: 1) che mai la ASL aveva contestato l’effettività delle prestazioni, che aveva contabilizzato e su cui aveva emesso, periodicamente, note di verifiche; 2) che veniva prodotto l’elenco dei pazienti trattati, con copia dei documenti di dimissione; 3) che, circa la non correttezza della classificazione dei DRG, la deduzione di controparte era ermetica e in violazione dell’onere di completezza; 4) che dovevano contestarsi i dati inerenti la mobilità regionale passiva evocati dalla ASL, di cui non era indicata la fonte; 5) che non poteva condividersi l’interpretazione data dall’opponente alla clausola contrattuale n. 6: le prestazioni dovevano essere erogate negli anni 2007 e 2008 e non si sarebbe potuto compiere alcuna verifica dell’avvenuto avveramento della condizione; 6) che non erano indicati nella clausola né criteri di quantificazione dell’incremento o decremento della mobilità passiva extraregionale, né un riferimento temporale cui rapportarla: ciò rendeva ancor più arduo configurarla come condizione; 7) che mai prima del giudizio era stato effettuato alcun richiamo al mancato avveramento della condizione; 8) che l’eventuale abbattimento della mobilità non rappresentava una condizione, ma una mera aspirazione della ASL. Concludeva per il rigetto dell’opposizione.
Istruita la causa con produzioni e richiesta di informazioni, con sentenza n. 230/2014 il Tribunale di Sassari accoglieva l’opposizione e revocava il decreto ingiuntivo, condannando il Policlinico alla rifusione delle spese processuali. Secondo il Giudice di primo grado la questione centrale riguardava l’interpretazione della clausola secondo cui la ASL avrebbe dovuto erogare “un’ulteriore quota dei DRG nn. 209 223 225 proporzionale all’eventuale recupero di mobilità extra regionale oggi stimabile in 55 casi/anno”. Ad avviso del Tribunale l’interpretazione del Policlinico (clausola come mera aspettativa dell’Azienda) avrebbe determinato lo svuotamento di significato della clausola in oggetto atteso che avrebbe avuto l’effetto di garantire comunque la liquidazione anche degli ulteriori 55 interventi, indipendentemente dall’andamento del MERP. Invece, per il Tribunale, la clausola in questione conteneva una vera e propria condizione sospensiva.
Avverso detta sentenza proponeva appello il Policlinico, cui resisteva l’Azienda Sanitaria.
Con sentenza n. 631/2016, depositata in data 9.12.2016, la Corte d’Appello di Cagliari-Sezione Distaccata di Sassari rigettava il gravame condannando l’appellante al pagamento delle spese di lite. La Corte territoriale, pur non concordando con la qualificazione della clausola contrattuale quale condizione sospensiva, così come fornita dal Tribunale, confermava la revoca del decreto ingiuntivo difettando la prova del presupposto credito (miglioramento del saldo fra mobilità extraregionale passiva e attiva). Sulla base della convenzione le parti avevano fissato un tetto di spesa, avente peraltro carattere non assoluto. Dalla clausola emergeva la previsione di erogazione di maggiore prestazione di DRG fuori budget, agganciata “in via proporzionale” all’eventuale recupero di mobilità extraregionale: maggiori interventi stimati, nell’aprile 2007 (data della convenzione), in 55 casi all’anno sia per il 2007 che per il 2008. In sostanza, all’epoca della convenzione, la ASL stimava che ulteriori 55 interventi DRG nn. 209, 223 e 225 potevano essere saldati fuori tetto massimo di spesa in forza della previsione di un proporzionale recupero di ricoveri ospedalieri extraregione.
Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione il ***** s.p.a. sulla scorta di sette motivi. Resiste la ASL ***** con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – Preliminarmente, va precisato che costituisce principio consolidato, quello secondo cui “al giudizio innanzi alla Corte di Cassazione, in considerazione della particolare struttura e della disciplina del procedimento di legittimità, non è applicabile l’istituto dell’interruzione del processo” (Cass. n. 8377 del 1992). In particolare, nello specifico, il fallimento di una delle parti che si verifichi nel giudizio di Cassazione non determina l’interruzione del processo ex art. 299 c.p.c. e ss., trattandosi di procedimento dominato dall’impulso di ufficio. Ne consegue che, una volta instauratosi il giudizio di Cassazione con la notifica ed il deposito del ricorso, il curatore del fallimento non è legittimato a stare in giudizio in luogo del fallito, essendo irrilevanti i mutamenti della capacità di stare in giudizio di una delle parti e non essendo ipotizzabili, nel giudizio di cassazione, gli adempimenti di cui all’art. 302 c.p.c. (Cass. n. 3630 del 2021; conf. Cass. n. 15928 del 2021).
2. – Con il primo motivo, il Policlinico lamenta, ex “Art. 360 c.p.c., n. 4 in relazione all’art. 132 c.p.c., n. 4 e art. 156 c.p.c., comma 2: (la) nullità della sentenza per difetto assoluto di motivazione sotto il profilo della mera apparenza della stessa, incoerenza e illogicità manifesta”, là dove la Corte d’Appello perveniva una nuova ricostruzione della clausola contrattuale (rispetto a quella fornita dal Tribunale) con motivazione meramente apparente. In tal modo il Giudice superava il dato letterale della clausola in oggetto, ritenendo che l’evento a cui rapportare in misura proporzionale l’erogazione e la remunerazione delle prestazioni extra budget non corrisponda all’abbattimento della mobilità extraregionale passiva, ma, diversamente, al miglioramento del saldo fra quest’ultima e la mobilità extraregionale attiva. Tale ricostruzione sarebbe immotivata, non trovando alcun riscontro, sia nel tenore letterale della singola clausola oggetto di interpretazione, sia nel testo della convenzione; né rilevando alcun passo della motivazione in cui la Corte tenti di fornire la benché minima argomentazione volta a giustificare tale ricostruzione.
2.1. – Il motivo non è fondato.
2.2. – Nella specie, il Policlinico ricorrente osservava che la Corte di merito (dopo aver dichiarato di non condividere la qualificazione della clausola, attribuita dal Tribunale, della clausola in termini di condizione sospensiva), in asserita contraddizione con tale assunto, finiva per attribuire alla stessa un significato sostanzialmente corrispondente, là dove riteneva che l’erogazione e la remunerazione delle prestazioni oltre il budget fosse ancorata a un dato futuro e incerto – l’eventuale miglioramento del saldo tra mobilità extraregionale attiva e passiva meramente stimato dalla ASL all’epoca della stipulazione del contratto e destinato a essere verificato solo a conclusione del periodo contrattuale (sentenza impugnata pag. 5).
Orbene, va rimarcato che il potere-dovere del giudice di inquadrare nella esatta disciplina giuridica i fatti e gli atti che formano oggetto della contestazione incontra il limite del rispetto del petitum e della causa petendi, sostanziandosi nel divieto di introduzione di nuovi elementi di fatto nel tema controverso, sicché il vizio di ultra o extra petizione ricorre quando il giudice di merito, alterando gli elementi obiettivi dell’azione (petitum o causa petendi), emetta un provvedimento diverso da quello richiesto (petitum immediato), oppure attribuisca o neghi un bene della vita diverso da quello conteso (petitum mediato), così pronunciando oltre i limiti delle pretese o delle eccezioni fatte valere dai contraddittori (Cass. n. 18868 del 2015; conf. Cass. n. 9002 del 2018; Cass. n. 8048 del 2019).
Ad avviso del Tribunale, la riferita clausola rappresentava una condizione sospensiva non verificatasi, con conseguente assenza di alcun credito maturato a favore del Policlinico. Viceversa, secondo la Corte di appello, sulla base della convenzione era indubbio che le parti avessero fissato un tetto di spesa avente carattere non assoluto; e proprio tale previsione aveva indotto il giudice del gravame a non condividere le ragioni del primo giudice e la sua decisione.
2.3. – E’ del tutto naturale che nella evoluzione del giudizio di merito le opinioni dei giudicanti possano divergere tra loro; ed è altrettanto normale che, come nella specie, sia la parte ricorrente a contestare la sussistenza del contrasto tra le decisioni. Ma non per questo può essere affermata la configurabilità del lamentato difetto assoluto di motivazione; tantomeno sotto il profilo della mera apparenza della stessa, incoerenza e illogicità manifesta, che dall’esame degli atti non è dato evincere, e che non si correla con il parametro evocato.
Non senza dimenticare che questa Corte, allorquando debba accertare se il giudice di merito sia incorso in error in procedendo, è anche giudice del fatto ed ha il potere di esaminare direttamente gli atti di causa; tuttavia, non essendo il predetto vizio rilevabile ex officio, né potendo la Corte ricercare e verificare autonomamente i documenti interessati dall’accertamento, sarebbe stato necessario che la parte ricorrente non solo avesse indicato gli elementi individuanti e caratterizzanti il “fatto processuale” di cui richiedere il riesame, ma anche che avesse illustrato la corretta soluzione rispetto a quella erronea praticata dai giudici di merito, in modo da consentire alla Corte investita della questione, secondo la prospettazione alternativa del ricorrente, la verifica della sua esistenza e l’emenda dell’errore denunciato (Cass. sez. un. 20181 del 2019).
E’, d’altro canto, consolidato il principio secondo cui l’apprezzamento del giudice di merito, nel porre a fondamento della propria decisione una precisa argomentazione, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e le circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (ex plurimis, Cass. n. 9275 del 2018; Cass. n. 5939 del 2018; Cass. n. 16056 del 2016; Cass. n. 15927 del 2016). Ne consegue che anche tale accertamento è censurabile in sede di legittimità unicamente nel caso in cui (contrariamente a quanto risulta nella presente fattispecie) la motivazione oggetto di esame risulti talmente inadeguata da non consentire di ricostruire l’iter logico seguito dal giudice per attribuire al rapporto negoziale un determinato contenuto, oppure nel caso di violazione delle norme ermeneutiche; con la precisazione che nessuna di tali censure può risolversi in una critica del risultato interpretativo raggiunto dal giudice, che si sostanzi nella mera contrapposizione di una differente interpretazione (tra le tante, Cass. n. 26683 del 2006; Cass. n. 18375 del 2006; Cass. n. 1754 del 2006).
Come più volte sottolineato, compito della Cassazione non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, né quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dal giudice del merito (cfr. Cass. n. 3267 del 2008), dovendo invece il giudice di legittimità limitarsi a controllare se costui abbia dato conto delle ragioni della sua decisione e se il ragionamento probatorio, da esso reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto entro i limiti del ragionevole e del plausibile; ciò che nel caso di specie è dato riscontrare (cfr. Cass. n. 9275 del 2018), giacché la valutazione del materiale probatorio operata dalla Corte d’appello è sorretta da argomentazioni logiche e coerenti tra loro, con motivazione sufficiente e non contraddittoria.
Il controllo affidato a questa Corte non equivale, dunque, alla revisione del ragionamento decisorio, ossia della opinione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che ciò si tradurrebbe in una nuova formulazione del giudizio di fatto, in contrasto con la funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimità (Cass. n. 20012 del 2014; richiamata anche dal Cass. n. 25332 del 2014).
3. – Con il secondo motivo, il Policlinico deduce la “Violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3: violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale relativi alla portata letterale del testo della clausola di cui all’art. 12 e agli all. 1 e 2 della convenzione, nonché alla ricerca della comune intenzione delle parti riguardo al loro comportamento complessivo anche posteriore alla conclusione del contratto”. Secondo la Corte di merito la previsione di erogazione di ulteriori 55 casi annui sarebbe “agganciata all’eventuale miglioramento del saldo tra la mobilità extraregionale attiva e passiva” (pag. 6 sentenza). Tale ricostruzione, per il ricorrente, trascendeva dal dato letterale della clausola e implica sostanzialmente il condizionamento all’evento futuro incerto del saldo tra mobilità attiva e passiva. Inoltre, nella sentenza impugnata non si rinviene alcun riferimento al contegno tenuto dalle parti dopo la conclusione del contratto.
3.1. – Il motivo è infondato.
3.2. – In tema di interpretazione del contratto, l’accertamento, anche in base al significato letterale delle parole, della volontà degli stipulanti, in relazione al contenuto del negozio (cfr. Cass. n. 18509 del 2008), si traduce in un’indagine di fatto affidata in via esclusiva al giudice di merito. Ne consegue che tale accertamento è censurabile in sede di legittimità soltanto nel caso in cui (contrariamente alla presente fattispecie) la motivazione risulti talmente inadeguata da non consentire di ricostruire l’iter logico seguito dal giudice per attribuire all’atto negoziale un determinato contenuto, oppure nel caso di violazione delle norme ermeneutiche; con la precisazione che nessuna di tali censure può risolversi in una critica del risultato interpretativo raggiunto dal giudice, che si sostanzi nella mera contrapposizione di una differente interpretazione (tra le tante, Cass. n. 26683 del 2006; Cass. n. 18375 del 2006; Cass. n. 1754 del 2006). Per sottrarsi al sindacato di legittimità, infatti, quella data dal giudice del merito al contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili e plausibili interpretazioni, sì che quando di una clausola contrattuale siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto la interpretazione poi disattesa dal giudice del merito, dolersi in sede di legittimità che sia stata privilegiata l’altra (Cass. n. 8909 del 2013; Cass. n. 24539 del 2009; Cass. n. 15604 del 2007; Cass. n. 4178 del 2007; Cass. n. 17248 del 2003).
A ciò, va altresì rilevato che “il ricorrente per cassazione, al fine di far valere la violazione dei canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 c.c. e ss., non solo deve fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione, mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti non potendo, invece, la censura risolversi nella mera contrapposizione dell’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata” (Cass. n. 9461 del 2021). Laddove, in tema di interpretazione di una clausola contrattuale controversa “solo la lettura dell’intero testo contrattuale consente una corretta comprensione della convenzione e suo tramite della comune intenzione delle parti, mentre l’enucleazione di singole parole può comportare lo stravolgimento del significato della clausola con particolare riferimento alle pattuizioni limitative dell’efficacia del negozio che, in presenza di un processo ermeneutico frammentato, possono amplificare o ridurre la portata dell’accordo” (Cass. n. 2945 del 2021).
Non può essere pertanto ritenuto che (quanto alla dedotta omissione da parte del giudice di appello di un comportamento delle parti che, ove correttamente valutato, avrebbe dovuto portarlo ad escludere che il dato in contestazione dovesse essere verificato e accertato in un momento successivo), tale omissione avrebbe potuto essere ancor più grave, giacché la Corte aveva fondato la propria decisione sulla base di un ragionamento che nessuna delle parti le aveva sottoposto, introducendo d’ufficio un’interpretazione della clausola differente da quella dalle stesse fornitale.
Ciò in quanto tali assunti si fondano sulla rilevazione di condotte meramente omissive e non provate da parte del giudice di appello (v. sentenza impugnata pag. 5).
4. – Con il terzo motivo, il Policlinico rileva, ex “Art. 360 c.p.c., n. 5: (l’)omesso esame circa un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti, costituito dal comportamento tenuto dalle stesse durante e dopo l’esecuzione delle prestazioni oggetto del contratto”; giacché il comportamento tenuto dalla ASL risultava del tutto incompatibile con un futuro accertamento, per cui, se il Giudice avesse correttamente valutato tale fatto, la domanda del Policlinico avrebbe dovuto essere accolta.
4.1. – Il motivo è inammissibile.
4.2. – Quanto poi al profilo attinente alle censure riferite alla violazione del parametro di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, costituisce principio consolidato di questa Corte che il novellato paradigma (applicabile ratione temporis nella formulazione adottata dal D.L. n. 83 del 2012, convertito dalla L. n. 134 del 2012) consente di denunciare in cassazione – oltre all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, e cioè, in definitiva, quando tale anomalia si esaurisca nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione – solo il vizio dell’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, ove esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (Cass. sez. un. 8053 del 2014; cfr. Cass. n. 14014 del 2017; Cass. n. 9253 del 2017).
Nel rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente incidentale avrebbe dunque dovuto specificamente e contestualmente indicare oltre al “fatto storico” il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” (Cass. n. 14014 e n. 9253 del 2017). Ma, nei motivi in esame, della enucleazione e della configurazione della sussistenza (e compresenza) di siffatti presupposti (sostanziali e non meramente formali), onde potersi ritualmente riferire al parametro di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 non v’e’ alcuna idonea e specifica indicazione.
5. – Con il quarto motivo, il Policlinico lamenta, ex “Art. 360 c.p.c., n. 4: in relazione all’art. 112, nonché agli artt. 101,153 e 345 c.p.c.: (la) nullità del procedimento e della sentenza per violazione dei principi di corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato e del contraddittorio, avendo il Giudice rilevato d’ufficio il fatto che le prestazioni erogabili del Policlinico in virtù della clausola contrattuale di cui agli allegati 1 e 2 della convenzione fossero subordinate al miglioramento del saldo tra mobilità extraregionale attiva e passiva, senza invitare le parti a contraddire sul punto”. La Corte avrebbe così introdotto un argomento (quello del saldo) del tutto nuovo e sul quale mai le parti avevano contraddetto. Inoltre, la Corte avrebbe omesso di assegnare alle parti un termine nel quale esprimersi sul punto, depositando eventualmente osservazioni e memorie”.
5.1. – Il motivo non è fondato.
5.2. – La sentenza impugnata si pronunciava su entrambi i motivi di appello, ovvero sulla corretta interpretazione e applicazione della clausola contrattuale relativa alla remunerazione eventuale delle prestazioni extra budget e sulla mancata prova dell’avverarsi del fatto cui era subordinata la liquidazione delle prestazioni suddette. Secondo la ASL controricorrente la sentenza d’appello argomentava diffusamente sul concetto di saldo della mobilità extraregionale, ma ciò, lungi dall’integrare introduzione di un elemento nuovo nell’interpretazione del contratto, integrava solo una specificazione in termini di corretto approfondimento dell’indagine ermeneutica richiesta. Dalla specificazione del concetto di recupero della mobilità extraregionale derivava la specificazione ulteriore della ripartizione degli oneri probatori, atteso che correttamente il Giudice d’appello evidenziava la mancata allegazione e prova dei due parametri in base ai quali dimostrare il verificarsi della richiamata riduzione della mobilità, che, alla stregua degli ordinari principi sull’onere della prova, gravava sul Policlinico.
6 – Con il quinto motivo, il ricorrente deduce, ai sensi dell'”Art. 360 c.p.c., n. 4: (la) nullità della sentenza per violazione del giudicato interno ex art. 324 c.p.c. sull’onere della prova del dato della mobilità extraregionale già posto dal Giudice di primo grado in capo alla ASL n. *****”” Il Tribunale affermava la sussistenza dell’onere probatorio del dato della mobilità extraregionale in capo alla ASL e ne valutava l’assolvimento da parte di quest’ultima. La ASL nel giudizio di appello non ha contestato la decisione sul punto, per cui, ai sensi dell’art. 324 c.p.c., si è formato il giudicato interno sull’attribuzione dell’onere della prova in capo alla ASL. Ove la Corte di merito avesse rispettato il giudicato sul punto, avrebbe dovuto accogliere la domanda del ricorrente.
6.1. – Il motivo è fondato.
6.2. – Costituisce affermazione consolidata che “la Corte di cassazione, allorquando debba accertare se il giudice di merito sia incorso in error in procedendo, è anche giudice del fatto ed ha il potere di esaminare direttamente gli atti di causa; (e che) tuttavia, non essendo il predetto vizio rilevabile ex officio né potendo la Corte ricercare e verificare autonomamente i documenti interessati dall’accertamento, è necessario che la parte ricorrente non solo indichi gli elementi individuanti e caratterizzanti il “fatto processuale” di cui richiede il riesame, ma anche che illustri la corretta soluzione rispetto a quella erronea praticata dai giudici di merito, in modo da consentire alla Corte investita della questione, secondo la prospettazione alternativa del ricorrente, la verifica della sua esistenza e l’emenda dell’errore denunciato” (Cass. sez. un. 20181 del 2019).
Ciò premesso, va rilevato che nel corso del giudizio di primo grado le parti avevano contraddetto in ordine all’attribuzione in capo alla Asl o al Policlinico dell’onere della prova del dato della mobilità extraregionale. Per la ASL era onere del Policlinico convenuto offrire in giudizio la prova dei fatti costitutivi del proprio diritto e dell’esigibilità della pretesa quindi anche delle circostanze che integravano l’avveramento della condizione sospensiva (memoria ASL ex art. 183 c.p.c., comma 6, n. 2 del 6.11.2012 – allegato j al presente ricorso pag. 2; v. su comparsa di conclusionale primo grado Policlinico 20.11.2013 – All. k al presente al ricorso, pag. 11; nonché memoria Policlinico; All. I al presente ricorso, pag. 5).
Il giudice di primo grado, aveva affermato la sussistenza dell’onere probatorio in capo alla Asl e ne valutava l’assolvimento da parte di questa (come si legge a pag. 5 penultimo capoverso della sentenza di primo grado del tribunale di Sassari).
Al presente ricorso era condivisibile il richiamo della società convenuta al principio di vicinanza della prova ma doveva escludersi che detto principio non fosse stato tenuto ben presente essendo appunto chiesto per un verso dalla Asl numero ***** di provare il superamento della soglia e per altro verso alla regione autonoma della Sardegna di dare conto dell’attendibilità dei dati a suo tempo dalla stessa R.A.S. forniti ed avendo la regione reso più che adeguate spiegazioni in proposito. In tale situazione avrebbe dovuto essere onere della Asl, soccombente teorico, sottoporre espressamente e tempestivamente al giudice dell’appello la relativa questione, mediante apposita impugnazione incidentale, secondo il più recente orientamento di Cass. sez. un. 11799 del 2017, o quantomeno mediante riproposizione ex art. 346 c.p.c.
Viceversa, la ASL, tanto nell’atto di costituzione in appello (All. g, al presente ricorso), quanto nell’ulteriore corso del giudizio, non ha in alcun modo contestato la decisione sul punto, né riformulato espressamente la relativa questione. Pertanto ai sensi dell’art. 324 c.p.c. s’e’ formato un giudicato interno sull’attribuzione dell’onere della prova in capo alla Asl.
In tema di impugnazioni, qualora un’eccezione di merito sia stata respinta in primo grado, in modo espresso o attraverso un’enunciazione indiretta che ne sottenda, chiaramente ed inequivocamente, la valutazione di infondatezza, la devoluzione al giudice d’appello della sua cognizione, da parte del convenuto rimasto vittorioso quanto all’esito finale della lite, esige la proposizione del gravame incidentale, non essendone, altrimenti, possibile il rilievo officioso ex art. 345 c.p.c., comma 2, (per il giudicato interno formatosi ai sensi dell’art. 329 c.p.c., comma 2), né sufficiente la mera riproposizione, utilizzabile, invece, e da effettuarsi in modo espresso, ove quella eccezione non sia stata oggetto di alcun esame, diretto o indiretto, ad opera del giudice di prime cure, chiarendosi, altresì, che, in tal caso, la mancanza di detta riproposizione rende irrilevante in appello l’eccezione, se il potere di sua rilevazione è riservato solo alla parte, mentre, se competa anche al giudice, non ne impedisce a quest’ultimo l’esercizio ex art. 345 c.p.c., comma 2 (Cass. sez. un. 11799 del 2017; conf. Cass. n. 24658 del 2017; Cass. n. 21264 del 2018).
7. – Con il sesto motivo, il ricorrente lamenta la “Violazione dell’art. 2697 c.c. e art. 24 Cost. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere il Giudice di secondo grado addossato l’onere probatorio del dato della mobilità extraregionale in capo al ***** s.p.a. piuttosto che alla ASL n. *****”.
8. – Con il settimo motivo, il ricorrente deduce la “Violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4: nullità della sentenza per omesso esame dei motivi di appello volti a criticare la sentenza di primo grado nella parte in cui: a) aveva ritenuto che la clausola contrattuale di cui agli allegati 1 e 2 della convenzione contenesse una vera e propria condizione sospensiva; b) data per assunta tale interpretazione, aveva ritenuto adeguatamente provata la mancata verificazione dell’evento dedotto in condizione, consistente nella riduzione della mobilità extraregionale passiva”.
9. – Rigettati i primi quattro motivi, va accolto il quinto motivo di ricorso, con assorbimento del sesto e del settimo; la sentenza impugnata va cassata e rinviata alla Corte d’appello di Cagliari-sez.dist. Sassari, altra sezione, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte rigetta i primi quattro motivo; accoglie il quinto motivo, con assorbimento del sesto e settimo; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Cagliari – sez. dist. Sassari, altra sezione, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile della Corte Suprema di Cassazione, il 8 aprile 2019.
Depositato in Cancelleria il 5 gennaio 2022
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