LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –
Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –
Dott. ABETE Luigi – Consigliere –
Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –
Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 635-2017 proposto da:
V.R., rappresentata e difensa dagli avvocati GILBERTO PAGANI, ALDO TURCONI;
– ricorrente –
contro
C.V., rappresentato e difeso dall’avvocato MICHELE PARRAVICINI;
LAVEDO S.R.L., rappresentata e difesa dagli avvocati GIOVANNI CORBYONS, FRANCESCA SICA;
– controricorrenti –
nonché
sul ricorso proposto da:
LAVEDO S.R.L., rappresentata e difesa dagli avvocati GIOVANNI CORBYONS, FRANCESCA SICA;
– ricorrente incidentale –
contro
V.R., C.V.;
– intimati –
avverso la sentenza n. 2081/2016 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 27/05/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 09/11/2021 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA.
FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
1. V.R. ha proposto ricorso articolato in un unico motivo avverso la sentenza n. 2081/2016 della Corte d’appello di Milano, pubblicata il 27 maggio 2016.
2. Resistono con distinti controricorsi C.V. e la Lavedo s.r.l., la quale ha proposto altresì ricorso incidentale articolato in cinque motivi.
3. Con atto di citazione del 23 ottobre 2007, V.R. convenne innanzi al Tribunale di Como C.V. e la Lavedo s.r.l. per chiedere l’annullamento per errore del contratto di compravendita immobiliare stipulato in data 8 giugno 2005 con la società Lavedo s.r.l., avente ad oggetto un immobile antistante la villa di proprietà dell’attrice, nonché l’accertamento della responsabilità del perito C.V., della cui consulenza la venditrice si era avvalsa durante le trattative. L’errore essenziale inficiante l’accordo sarebbe consistito nella inidonea formulazione della clausola costitutiva di una servitus altius non tollendi, col limite di otto metri, inserita nel contratto, secondo l’attrice, al fine di preservare la vista sul lago di Como goduta dalla villa a monte di proprietà V., di ciò privata a seguito della costruzione di un edificio sul terreno compravenduto da parte dell’acquirente Lavedo s.r.l. L’attrice domandò anche il risarcimento del danno inerente al deprezzamento della villa a seguito della perdita della vista lago. Con sentenza del 23 gennaio 2014 il Tribunale di Como rigettò la domanda di annullamento del contratto, rilevando che l’errore dedotto verteva sul motivo del contratto stesso e che fosse comunque riconoscibile dalla V., la quale si era avvalsa della consulenza di un esperto. Il giudice di primo grado ritenne, invece, sussistente la responsabilità professionale del C., condannandolo al risarcimento.
La Corte d’appello di Milano ha poi accolto il gravame avanzato in via principale dal C. e ha respinto gli appelli incidentali di V.R. e dalla Lavedo s.r.l., quest’ultimo in ordine alla responsabilità ex art. 96 c.p.c. dell’attrice. La sentenza impugnata ha affermato che né il contratto preliminare né il contratto definitivo facessero cenno alla volontà delle parti di preservare la “vista lago” dalla villa a monte di proprietà V. (la quale comunque conservava una importante veduta panoramica), pattuendosi soltanto una clausola altius non tollendi a carico dell’acquirente pari ad otto metri lineari dal piano di calpestio del terreno, ovvero dalla quota dello stesso in prossimità di *****. Non sussistendo perciò l’errore essenziale ipotizzato dalla venditrice V., neppure poteva rispondere per inadempimento il C., non essendo sostenibile che questi “non poteva non essere a conoscenza” della volontà della stessa V. di preservare la “vista lago”. La Corte d’appello di Milano ha esaminato anche le deposizioni rese dai testi S., M., Va.Pi. e Va.Ma., affermando che parimenti non risultava provato che durante le trattative si fosse parlato d preservare la “vista lago”. In particolare, quanto all’appello incidentale di V.R., la Corte d’appello ha confermato quanto asserito dal Tribunale circa la mancanza dei requisiti di essenzialità e riconoscibilità dell’errore, considerando che né nelle bozze del preliminare, né nel rogito, né nella lettera di contestazioni inoltrata il 28 agosto 2007 si faceva cenno alla “vista lago”. Ne’, ad avviso della sentenza impugnata, una siffatta volontà della venditrice di preservarsi la “vista lago” poteva desumersi in via interpretativa dalla clausola che introduceva la servitus altius non tollendi per il limite di altezza di otto metri lineari. Quanto all’appello incidentale della Lavedo s.r.l., circa la domanda ex art. 96 c.p.c. spiegata nei confronti della V., la Corte di Milano ha affermato che la complessità della vicenda, che ha richiesto un’ampia istruttoria, mediante espletamento di prove testimoniali e di una CTU, induceva ad escludere la mala fede, colpa grave o scarsa prudenza dell’attrice. In punto di quantum, la sentenza impugnata ha comunque negato che la Levedo s.r.l. avesse dimostrato il pregiudizio derivato dalla trascrizione della domanda.
3. La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma dell’art. 375 c.p.c., comma 2 e art. 380 bis.1 c.p.c. Le parti hanno depositato memorie.
4.L’unico motivo del ricorso di V.R. deduce l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, per aver la Corte d’appello mancato di valutare il contenuto del fax spedito in data 30 agosto 2007 dalla Lavedo s.r.l. a C.V.. In tale missiva la Lavedo s.r.l., dopo aver ricevuto una raccomandata dalla V., si rivolgeva al C. dimostrando di conoscere l’intenzione della venditrice di preservare in sede di contratto la “vista lago” e che l’inadeguatezza del limite di otto metri definito dalla medesima parte venditrice non avrebbe potuto imputarsi ad essa compratrice. Questo fax, secondo la ricorrente principale, avrebbe consentito alla Corte d’appello di dedurre che la volontà di preservare la “vista lago” da parte della venditrice aveva costituito non un “motivo interiore” della medesima, quanto una volontà esplicitata e nota a tutte le parti (anche al C., che era stato incaricato in tal senso), di talché l’errore si rivelava, oltre che essenziale, addirittura riconosciuto e non semplicemente riconoscibile e sussisteva la responsabilità del professionista.
4.1. Il motivo di ricorso principale è palesemente infondato.
4.2. L’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che l’omesso esame di elementi istruttori (come nella specie, di un documento) non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa (nella specie, la sussistenza di una distorta rappresentazione della realtà in capo alla venditrice, determinante ai fini della conclusione della vendita negozio e riconoscibile dalla compratrice con l’uso della normale diligenza), sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. (Cass. Sez. Un. 07/04/2014, n. 8053).
4.3. La Corte d’appello di Milano, nell’ambito delle attività riservate al giudice di merito ed incensurabili in cassazione ove, come nella specie, sorrette da compiuta motivazione: 1) ha dapprima interpretato il contenuto delle dichiarazioni negoziali inserite nel contratto di compravendita immobiliare stipulato in data 8 giugno 2005 tra V.R. e la società Lavedo s.r.l., intese come costitutive di una servitù di “altius non tollendi”, limitativa dello “ius aedificandi” a carico del fondo alienato per il limite di altezza di otto metri (Cass. Sez. 2, 19/02/2002, n. 2396; Cass. Sez. 2, 14/05/1962, n. 1009); 2) ha quindi negato che la venditrice avesse proceduto alla stipula del contratto in base ad una distorta rappresentazione della realtà, determinante ai fini della conclusione del negozio, ed altresì negato che tale errore fosse riconoscibile (e tanto meno effettivamente conosciuto) dalla compratrice in relazione alle circostanze concrete della negoziazione (Cass. Sez. Un., 01/07/1997, n. 5900); 3) ha comunque considerato che l’intenzione di preservare la “vista lago” a vantaggio della residua proprietà V. non emergeva dall’oggetto dei contratti preliminare e definitivo (soggetti peraltro alla forma scritta “ad substantiam” ex artt. 1350 e 1351 c.c.), in forza di esplicita indicazione del peso e dell’utilitas costituenti il contenuto della servitù, sicché tale intenzione doveva dirsi rimasta nella sfera delle valutazioni motivazionali della venditrice, e quindi non poteva assumere rilievo a fini di invalidità del consenso prestato; 4) ha peraltro esaminato la “missiva di contestazione, a distanza di anni (in data 28.08.07)…”, sottolineando che anch’essa lamentava un asserito mancato rispetto del rogito, senza accennare alla “vista lago”.
4.4. Quanto alle censure portate dal ricorso di V.R. contro la Lavedo s.r.l., potrebbe operare in via pregiudiziale la previsione d’inammissibilità, di cui all’art. 348 ter c.p.c., comma 5, che esclude che possa essere impugnata ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la sentenza di appello “che conferma la decisione di primo grado” e che, risulti fondata sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della sentenza di primo grado (cd. doppia conforme).
4.5. E’ in ogni modo evidentemente privo di decisività, agli effetti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, e cioè di idoneità a determinare un esito diverso della controversia, il fax spedito il 30 agosto 2007 (e dunque oltre due anni dopo dalla stipula del rogito) dalla Lavedo s.r.l. a C.V., nel quale la stessa società mostrava di conoscere l’intenzione della V. di preservare la “vista lago”, in quanto la valutazione di riconoscibilità dell’errore, ai sensi dell’art. 1431 c.c., va compiuta al momento del contratto e così, rispetto ad un errore che non fosse comunque riconoscibile dall’altro contraente all’atto della stipula, rimane del tutto irrilevante ogni indagine sulla successiva effettiva conoscenza dell’errore medesimo (Cass. Sez. 2, 05/05/1977, n. 1706).
4.6. Parimenti il documento in questione non rivela decisività contraria all’accertamento di merito compiuto dalla Corte d’appello quanto al contenuto dell’incarico conferito al geometra C. per le verifiche preliminari alla compravendita, non potendosi dire provato che lo stesso fosse debitore del risultato utile, avuto di mira dalla cliente, consistente nel preservare la “vista lago” alla villa posta a monte della *****.
5. Il primo motivo del ricorso incidentale della Lavedo s.r.l. denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 96 c.p.c., comma 1. Si sostiene che V.R. fosse pienamente consapevole che qualsiasi intervento edificatorio avrebbe avuto effetto negativo sulla vista lago, che mancasse una espressa pattuizione al riguardo e che perciò l’attrice avesse domandato l’annullamento del contratto pur sapendo bene di non essere incorsa in alcun errore.
Il secondo motivo del ricorso incidentale allega la violazione o falsa applicazione dell’art. 96 c.p.c., comma 2, per il grave pregiudizio derivato alla Lavedo s.r.l. dalla trascrizione della domanda; sussisterebbe la carenza della normale prudenza, rilevante ex art. 96 c.p.c., comma 2, in ragione delle modalità con cui la V. ebbe ad esercitare l’azione.
Il terzo motivo del ricorso incidentale si duole dell’omesso esame di un fatto decisivo per avere la V. agito in giudizio con colpa grave, essendo la soluzione della vertenza di natura documentale. Si riprendono in questa censura le considerazioni già svolte nel primo motivo di ricorso incidentale.
Il quarto motivo del ricorso incidentale si duole dell’omesso esame del comportamento della V. per aver trascritto la domanda giudiziale.
Il quinto motivo del ricorso incidentale denuncia la “omessa pronuncia sulle istanze istruttorie di Lavedo s.r.l.”, dedotte a dimostrazione del concreto pregiudizio subito in conseguenza della trascrizione della domanda da parte dell’attrice.
5.1. I cinque motivi del ricorso incidentale vanno esaminati congiuntamente, per l’evidente connessione che rivela anche la ripetitività dei contenuti delle doglianze. La Corte d’appello di Milano ha innanzitutto escluso la sussistenza dei presupposti per la condanna ex art. 96 c.p.c. dell’attrice V.R., ovvero la mala fede, colpa grave o scarsa prudenza della stessa, in ragione della complessità della vicenda, che ha richiesto un’ampia istruttoria, mediante espletamento di prove testimoniali e di una CTU.
E’ agevole perciò ribadire il costante orientamento giurisprudenziale secondo cui l’accertamento, ai fini della condanna al risarcimento dei danni da responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c., dei requisiti dell’aver agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave (comma 1) ovvero del difetto della normale prudenza (comma 2) implica un apprezzamento di fatto non censurabile in sede di legittimità se la sua motivazione in ordine alla sussistenza o meno dell’elemento soggettivo (nonché all'”an” ed al “quantum” dei danni di cui è chiesto il risarcimento) risponde, come nella specie, ad esatti criteri logico-giuridici (ex multis, Cass. Sez. 2, 12/01/2010, n. 327).
6. Consegue il rigetto sia del ricorso principale che del ricorso incidentale.
Le spese del giudizio di cassazione vengono regolate con la compensazione delle stesse nei rapporti fra la ricorrente principale V.R. e la ricorrente incidentale Lavedo s.r.l., in ragione della reciproca soccombenza; nonché con la condanna della ricorrente principale V.R. a rimborsare le spese, nell’importo liquidato in dispositivo, al controricorrente C.V..
Non deve provvedersi al riguardo per gli altri intimati che non hanno svolto attività difensive.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater – da parte delle ricorrenti principale ed incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per le rispettive impugnazioni, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale ed il ricorso incidentale; compensa le spese del giudizio di cassazione nei rapporti fra la ricorrente principale e la ricorrente incidentale; condanna la ricorrente principale V.R. a rimborsare al controricorrente C.V. le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 5.800.00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti principale ed incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile della Corte suprema di cassazione, il 9 novembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 5 gennaio 2022
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