Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.26 del 04/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI IASI Camilla – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – rel. Consigliere –

Dott. MELE Maria Elena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24661-2015 proposto da:

LANKOS ITALY S.r.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, presso lo studio dell’Avvocato STEFANO PUCCI, che la rappresenta e difende giusta procura speciale estesa in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;

– resistente –

avverso la sentenza n. 1466/14/2015 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE del LAZIO, depositata l’11/3/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 16/11/2021 dal Consigliere Relatore Dott. ssa ANTONELLA DELL’ORFANO.

RILEVATO

che:

Lankos Italy S.r.L. propone ricorso, affidato a quattro motivi, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con cui la Commissione Tributaria Regionale del Lazio aveva parzialmente accolto l’appello erariale avverso la sentenza n. 510/21/2013 della Commissione Tributaria Provinciale di Roma in accoglimento del ricorso proposto avverso avviso di rettifica e liquidazione di imposta ipocatastale relativamente ad immobile ceduto dalla società ricorrente con atto notarile registrato in data *****;

l’Agenzia delle entrate si è costituita al solo scopo di partecipare all’udienza di discussione.

CONSIDERATO

che:

1.1. con il primo motivo la società ricorrente denuncia violazione di norme di diritto (artt. 115 e 116 c.p.c., art. 2697 c.c., D.P.R. n. 131 del 1986, art. 51, comma 3), e lamenta che la Commissione Tributaria Regionale abbia erroneamente ritenuto la legittimità dell’atto impugnato solo sulla base di valutazioni UTE, offerte dall’Ufficio;

1.2. con il secondo motivo parte ricorrente denuncia violazione di norme di diritto (L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 1, D.P.R. n. 131 del 1986, art. 51, comma 3, art. 52, commi 2 e 2 bis,) e lamenta che la Commissione Tributaria Regionale abbia omesso di dar conto del confronto con altri immobili, dalle analoghe caratteristiche e condizioni, trasferiti entro un triennio;

1.3. con il terzo motivo la società ricorrente denuncia vizio di ultrapetizione della sentenza impugnata per avere, la Commissione Tributaria Regionale, non solo riformato la sentenza impugnata, come richiesto dall’appellante, ma anche provveduto a determinare un valore intermedio dell’immobile tra quelli indicati dalla contribuente e dall’Amministrazione finanziaria;

1.4. con il quarto motivo la ricorrente denuncia violazione di norme di diritto (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42,L. n. 241 del 1990, art. 21 septies), lamentando, come ulteriore vizio dell’atto impositivo impugnato, la mancanza di sottoscrizione apposta da impiegato della carriera direttiva;

2.1. il primo ed il secondo motivo, da esaminare congiuntamente, vanno disattesi;

2.2. va premesso che in tema di determinazione dell’imposta di registro, l’avviso di rettifica del valore dichiarato può fondarsi, oltre che sul parametro comparativo e su quello del reddito, anche su “altri elementi di valutazione” ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 51, comma 3, (cfr. Cass. n. 29143/2018);

2.5. ciò posto, questa Corte, con indirizzo condiviso, ha precisato che “in tema di accertamento dei redditi di impresa, in seguito alla sostituzione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, ad opera della L. n. 88 del 2009, art. 24, comma 5, che, con effetto retroattivo, stante la sua finalità di adeguamento al diritto dell’Unione Europea, ha eliminato la presunzione legale relativa (introdotta dal D.L. n. 223 del 2006, art. 35, comma 3, conv., con modif., dalla L. n. 248 del 2006), di corrispondenza del corrispettivo della cessione di beni immobili al valore normale degli stessi (così ripristinando il precedente quadro normativo in base al quale, in generale, l’esistenza di attività non dichiarate può essere desunta “anche sulla base di presunzioni semplici, purché siano gravi, precise e concordanti”), l’accertamento di un maggior reddito derivante dalla predetta cessione di beni immobili non può essere fondato soltanto sulla sussistenza di uno scostamento tra il corrispettivo dichiarato nell’atto di compravendita ed il valore normale del bene quale risulta dalle quotazioni OMI, ma richiede la sussistenza di ulteriori elementi indiziari gravi, precisi e concordanti” (cfr. Cass. nn. 2155 del 2019, 9474/2017);

2.6. il principio è applicabile anche all’imposta di registro, con effetto retroattivo, stante la finalità di adeguamento al diritto dell’Unione Europea (cfr. Cass. n. 11439/2018);

2.7. le quotazioni OMI, risultanti dal sito web dell’Agenzia delle entrate, non costituiscono una fonte tipica di prova del valore venale in comune commercio del bene oggetto di accertamento, ai fini dell’imposta di registro, ipotecaria e catastale, essendo idonee a condurre ad indicazioni di valore di larga massima (cfr. Cass. n. 25707/2015);

2.8. il riferimento alle stime effettuato sulla base dei valori OMI, per aree edificabili del medesimo comune, non è quindi idoneo e sufficiente a rettificare il valore dell’immobile, tenuto conto che il valore dello stesso può variare in funzione di molteplici parametri quali l’ubicazione, la superficie, la collocazione nello strumento urbanistico, nonché lo stato delle opere di urbanizzazione (cfr. Cass. n. 21813/2018, n. 11439/2018, n. 18651/2016);

2.9. ne consegue che un avviso di liquidazione fondato esclusivamente sui valori OMI non può ritenersi fondato sotto il profilo motivazionale e, in difetto di ulteriori elementi forniti dall’Agenzia delle entrate, non può indicare congruamente il valore venale in comune commercio del bene;

2.10. nel caso che occupa, la CTR ha ritenuto correttamente motivato l’avviso di accertamento sulla base di una stima effettuata dall’UTE, ai fini dell’accertamento del valore, mediante utilizzo dei valori OMI e del criterio sintetico-comparativo, statuendo che esso conteneva altresì riferimenti a “tre compravendite immobiliari di edifici industriali simili, nella stessa zona e nel medesimo periodo”, evidenziando altresì che “per quanto riguarda le tre compravendite, le descrizioni non…(erano)… generiche ma atten(evano)… ad edifici e terreni industriali ben delineati”;

2.11. come dianzi illustrato, le stime dell’OMI, meri valori presuntivi ed indiziari inidonei da soli a determinare un maggiore valore, non sono idonee a fondare il differente accertamento del valore effettuato dall’Ufficio e avrebbero dovuto essere integrate da altri elementi probatori, per essere considerate ragionevolmente attendibili e, nell’ambito dei processi estimativi, le OMI non possono intendersi sostitutive della stima puntuale, in quanto forniscono indicazioni di valore di larga massima;

2.12. è onere dell’Amministrazione finanziaria provare, anche in giudizio, l’effettiva sussistenza dei presupposti applicativi del criterio di rettifica indicato nell’avviso di liquidazione (cfr. Cass. n. 6914 del 2011; Cass. n. 11560 del 2016; Cass. n. 11270 del 2017) e, in tale prospettiva, ai fini dell’assolvimento dell’onere della prova a carico dell’Agenzia, non è sufficiente il semplice riferimento ai valori OMI, poiché questi rappresentano, come si è detto, solo valori di massima e non la prova della pretesa erariale (Cass. n. 14117 del 2018), dovendosi dare rilievo, ad integrazione, ad ulteriori indizi utili a determinare il valore del bene oggetto di accertamento;

2.13. va altresì ribadito che in tema di imposta di registro, poiché dinanzi al giudice tributario l’amministrazione finanziaria è sullo stesso piano del contribuente, la relazione di stima di un immobile, redatta dall’Ufficio tecnico erariale, prodotta dall’amministrazione finanziaria costituisce una semplice perizia di parte, alla quale, pertanto, può essere attribuito il valore di atto pubblico soltanto per quel che concerne la provenienza, ma non anche per quel che riguarda il contenuto; tuttavia, nel processo tributario, nel quale esiste un maggiore spazio per le prove cosiddette atipiche, anche la perizia di parte può costituire fonte di convincimento del giudice, che può elevarla a fondamento della decisione a condizione che spieghi le ragioni per le quali la ritenga corretta e convincente (cfr. Cass. n. 2193/2015, n. 11418/2014).

2.14. nel caso in esame, l’avviso di rettifica del valore dichiarato risulta fondato sul parametro comparativo, oltre che sullo scostamento tra il corrispettivo dichiarato nell’atto di compravendita ed il valore del bene risultante delle quotazioni OMI pubblicate sul sito web dell’Agenzia delle entrate;

2.15. la Commissione Tributaria ha, dunque, fatto corretta applicazione del suindicato criterio di giudizio, avendo richiamato la stima dell’Ute, allegata all’avviso di rettifica, e affermato che la stessa si era basata sul parametro comparativo oltre che sullo scostamento tra il corrispettivo dichiarato nell’atto di compravendita ed il valore del bene risultante delle quotazioni OMI;

2.16. quanto alle doglianze secondo cui la Commissione Tributaria Regionale avrebbe erroneamente ritenuto legittimo l’atto impositivo trascurando l’elemento di valutazione costituito dal valore di cessione del medesimo immobile, intervenuto entro il triennio, si osserva che in tema di imposta di registro, i plurimi criteri di stima individuati dal D.P.R. n. 131 del 1986, art. 51, comma 3, ai fini del controllo del valore dichiarato dalle parti per i trasferimenti immobiliari, sono assolutamente “pariordinati”, sicché l’avviso di accertamento in rettifica del valore dichiarato può legittimamente fondarsi, oltre che sul parametro comparativo e su quello del reddito, anche su “altri elementi di valutazione”, purché questi ultimi non siano elencati in modo meramente generico e di stile, onde consentire al contribuente l’esercizio del diritto di difesa (cfr. Cass. n. 18103/2021, n. 1961/2018);

2.17. ne consegue che l’avere l’Ufficio fondato l’accertamento di maggior valore sulla stima effettuata dall’Agenzia del Territorio e su atti comparativi relativi a trasferimenti, non anteriori al triennio, di immobili con analoghe caratteristiche e condizioni non invalida l’atto accertativo poiché si tratta di criteri, quelli elencati dal D.P.R. n. 131 del 1986, art. 51, comma 3, pari ordinati, ben potendo l’Amministrazione, nell’accertamento di valore, seguire uno qualsiasi dei criteri di cui al succitato comma 3;

2.18. sono inoltre inammissibili, in quanto erroneamente formulate come violazione di legge e non come vizio motivazionale, le censure con le quali la ricorrente lamenta che la Commissione Tributaria Regionale non abbia esaminato il contenuto delle prove documentali offerte dalla contribuente circa il presunto minor valore dell’immobile, dovendo peraltro altresì rilevarsi che le doglianze violano anche il principio di specificità del ricorso in cassazione, avendo la ricorrente omesso di indicare, ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, novellato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, specificamente, a pena di inammissibilità, oltre al luogo in cui è avvenuta la produzione documentale, gli atti processuali ed i documenti su cui il ricorso è fondato mediante la riproduzione diretta del contenuto che sorregge la censura oppure attraverso la riproduzione indiretta di esso con specificazione della parte del documento cui corrisponde l’indiretta riproduzione (cfr. Cass. n. 4980/2014; n. 14784/2015; n. 23575/2015; n. 19150/2016; n. 23452/2017; n. 27475/2017; n. 5478/2018);

3.1. va respinto anche il terzo motivo di ricorso con cui la ricorrente lamenta che la Commissione Tributaria Regionale abbia determinato il valore dell’immobile, ritenuto congruo, in misura intermedia tra le opposte valutazioni delle parti;

3.2. l’impugnazione davanti al giudice tributario attribuisce, infatti, a quest’ultimo la cognizione non solo dell’atto, come nelle ipotesi di “impugnazione-annullamento”, orientate unicamente all’eliminazione dell’atto, ma anche del rapporto tributario, trattandosi di una cd. “impugnazione-merito”, perché diretta alla pronuncia di una decisione di merito sostitutiva (nella specie) dell’accertamento dell’amministrazione finanziaria, implicante per esso giudice di quantificare la pretesa tributaria entro i limiti posti dalle domande di parte, al che consegue che il giudice che ritenga invalido l’avviso di accertamento non per motivi formali, ma di carattere sostanziale (nella specie, parziale incongruenza dei dati posti a base della pretesa dell’ufficio), non deve limitarsi ad annullare l’atto impositivo, ma deve esaminare nel merito la pretesa tributaria, e, operando una motivata valutazione sostitutiva, eventualmente ricondurla alla corretta misura, entro i limiti posti dalle domande di parte, come nella specie (cfr. Cass. nn. 25760/2018, 19750/2014, 614/2006, 3309/2004);

4. è infine inammissibile l’ultima censura, formulata con il quarto motivo di ricorso, per difetto di specificità, non avendo parte ricorrente – nel silenzio, sul punto, della impugnata sentenza – trascritto in ricorso se, come e quando la questione circa il difetto di sottoscrizione dell’atto impugnato fu posta in prime cure e poi, quale motivo di gravame, in appello (arg. da Cass., n. 3845/2018);

5. sulla scorta di quanto sin qui illustrato il ricorso va integralmente respinto;

6. nulla sulle spese stante la mancanza di attività difensiva dell’Agenzia resistente.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, tenutasi in modalità da remoto, della Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, il 16 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 4 gennaio 2022

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