LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –
Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –
Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –
Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –
Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 14520-2020 proposto da:
Z.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TOSCANA n. 1, presso lo studio dell’avvocato DANIELE TURCO, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
V.R., rappresentato e difeso dall’avv. LIBORIO CATALIOTTI e domiciliato presso la cancelleria della Corte di Cassazione;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2721/2019 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 02/10/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16/12/2021 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato il 16.10.2008 Z.F. evocava in giudizio innanzi il Tribunale di Reggio Emilia V.R., esponendo di aver sottoscritto con lo stesso un contratto preliminare di compravendita avente ad oggetto un immobile ed invocando l’emissione di sentenza tenente luogo del contratto definitivo non concluso e la condanna del convenuto al risarcimento del danno. Nelle more del giudizio di prime cure, la domanda veniva mutata in risoluzione per inadempimento della parte promittente venditrice.
Con sentenza n. 1050/2013, emessa nella resistenza del V., il Tribunale rigettava la domanda.
Interponeva appello avverso detta decisione lo Z. e la Corte di Appello di Bologna, con la sentenza impugnata, n. 2721/2019, emessa nella resistenza dell’appellato, rigettava il gravame.
Propone ricorso per la cassazione di detta decisione Z.F., affidandosi a quattro motivi.
Resiste con controricorso V.R..
La parte ricorrente ha depositato memoria in prossimità dell’adunanza camerale.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il Relatore ha avanzato la seguente proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c.: “PROPOSTA DI DEFINIZIONE EX ART. 380-BIS COD. PROC. CIV..
Inammissibilità del ricorso.
Z.F. evocava in giudizio innanzi il Tribunale di Reggio Emilia V.R., invocando la risoluzione del contratto preliminare di compravendita di un immobile per uso diverso dall’abitativo intercorso tra le parti per grave inadempimento del promittente venditore. L’attore deduceva, in particolare, che il convenuto non lo avesse informato che al bene compromesso in vendita si accedeva mediante una servitù di passaggio a carico di altro immobile, del quale il promittente venditore non era proprietario esclusivo ma solo comproprietario; che poi avesse concordato l’inserimento nella progettata compravendita anche di detto ulteriore bene, senza tuttavia consegnare al notaio incaricato del rogito la documentazione occorrente al suo trasferimento; che, infine, avesse dichiarato la risoluzione del contratto per inosservanza del termine originariamente fissato per la stipula, nonostante che nel frattempo il promissario acquirente gli avesse a sua volta inviato formale convocazione di fronte al notaio per la stipula del definitivo. Nella resistenza del convenuto, il Tribunale di Reggio Emilia rigettava la domanda. Con la sentenza impugnata, n. 2721/2019, la Corte di Appello di Bologna rigettava l’appello proposto dallo Z. avverso la decisione di prime cure.
Ricorre per la cassazione della decisione di seconde cure lo Z., affidandosi a quattro motivi.
Con il primo motivo di ricorso il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 83 c.p.c. e la nullità del giudizio di appello, per difetto di ius postulandi in capo al procuratore di parte appellata. Ad avviso del ricorrente, infatti, la procura conferita in prime cure non era estesa anche al grado di impugnazione. Il motivo è inammissibile, dovendosi ribadire il principio secondo cui “La procura speciale al difensore, rilasciata in primo grado “per il presente giudizio” (o processo, causa, lite etc.), senza alcuna indicazione delimitativa, esprime la volontà della parte di estendere il mandato all’appello, quale ulteriore grado in cui si articola il giudizio stesso, e, quindi, implica il superamento della presunzione di conferimento solo per detto primo grado, ai sensi dell’art. 83 c.p.c., u.c.” (Cass. Sez. U, Sentenza n. 5528 del 17/05/1991, Rv. 472215 ed altre successive conformi, tra cui, ex multis, Cass. Sez. L, Sentenza n. 24973 del 06/17/2016, Rv. 641984). A tale formula va parificata ogni altra espressione di significato equivalente (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 8806 del 28/06/2000, Rv. 538138), tra cui anche quella, utilizzata nel caso di specie, “nel giudizio di cui al presente atto… con ogni più ampia facoltà” (cfr. pag. 5 del ricorso), in applicazione dell’ulteriore principio secondo cui detta espressione “… è idonea, in base ad un’interpretazione costituzionalmente orientata della normativa processuale attuativa dei principi di economia processuale, di tutela del diritto di azione nonché di difesa della parte ex artt. 24 e 111 Cost. ad attribuire al difensore il potere di esperire tutte le iniziative atte a tutelare l’interesse del proprio assistito, ivi inclusa la chiamata del terzo in garanzia cd. impropria” (Cass. Sez. U, Sentenza n. 4909 del 14/03/2016, Rv. 639107; conf. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 20898 del 22/08/2018, Rv. 650438).
Con il secondo, terzo e quarto motivo, suscettibili di trattazione congiunta, il ricorrente denuncia, rispettivamente, l’omesso esame di fatti decisivi e la violazione o falsa applicazione degli artt. 1218,1453 e 2897 c.c. (secondo motivo), la violazione dell’art. 1455 c.c. (terzo motivo), l’omesso esame del motivo di appello con il quale si censurava la mancata ammissione delle istanze istruttorie formulate in prime cure (quarto motivo), nonché, con tutti i motivi in esame, l’apparenza e la perplessità della motivazione.
Le censure sono inammissibili: la C.A. ha rigettato il gravame affermando che “… il Tribunale ha ben evidenziato che “non è stata raggiunta alcuna prova che esistessero accordi nel senso che il contratto definitivo dovesse estendere il proprio oggetto rispetto a quello preliminare”, tanto che nemmeno nella missiva, datata 15 settembre, spedita il 16 e ricevuta il 19, con cui lo Z. convoca la controparte dinanzi al notaio, si fa cenno alcuno a problemi inerenti la servitù: al contrario, se quello fosse stato il motivo del ritardo nella stipula del definitivo, l’appellante avrebbe avuto modo di eccepirlo al venditore dimostrando, così, che nessun inadempimento poteva essere imputato a sua colpa” (cfr. pag. 3 della sentenza impugnata). Tale decisivo passaggio della motivazione, non scalfito dalle censure proposte dal ricorrente, evidenzia che, nel caso di specie, il giudice di merito ha ritenuto non conseguita la prova dell’esistenza dell’obbligazione della quale lo Z. aveva contestato al V. l’inadempimento. I tre motivi, invero, concernono piuttosto la valutazione della gravità dell’inadempimento, senza attingere la reale ratio del rigetto della domanda proposta dallo Z. in sede di merito.
Il quarto motivo, inoltre, è inammissibile anche perché in esso il ricorrente si limita a lamentare l’omessa pronuncia della Corte felsinea sul motivo di appello con cui l’odierno ricorrente aveva riproposto le istanze istruttorie non accolte in prime cure, senza aver cura di precisare la specificità della censura proposta in appello, né di accennare al contenuto delle istanze non ammesse dal giudice di merito, così non consentendo al collegio di verificarne la decisività in relazione alla ratio decidendi emergente dalla sentenza impugnata.
Da quanto precede deriva che le tre censure in esame si risolvono in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790)”.
Il Collegio condivide la proposta del relatore.
La memoria depositata da parte ricorrente non offre argomenti ulteriori rispetto ai motivi di ricorso, essendo meramente riproduttiva degli stessi. In particolare, in relazione al primo motivo di ricorso, non può essere condiviso l’assunto (contenuto alle pagg. 2 e 3 della memoria) secondo cui l’uso dell’espressione “giudizio di cui al presente atto” nel mandato conferito per il primo grado di giudizio sarebbe eccessivamente generica e non idonea a dimostrare l’effettivo conferimento dello ius postulandi anche per grado di appello. Non e’, infatti, contestato che la procura fosse stata conferita, in prime cure, a margine dell’atto di costituzione in giudizio (cfr. pag. 5 del ricorso), con il quale, dunque, era materialmente unita: elemento, questo, certamente sufficiente a dimostrare il collegamento del negozio di conferimento del mandato con lo specifico giudizio, e dunque con tutte le sue fasi e gradi, incluso l’appello.
In definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile.
Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Ricorrono i presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater per il raddoppio del versamento del contributo unificato, se dovuto.
PQM
La Corte Suprema di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 6.200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre rimborso delle spese generali nella misura del 15%, iva, cassa avvocati ed accessori tutti come per legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sesta Sezione Civile, il 16 dicembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 7 gennaio 2022
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