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Status di rifugiato per l'omosessuale che rischia il carcere in patria

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.28019 del 26/09/2022

Un cittadino extracomunitario omosessuale, che in caso di rimpatrio rischia il carcere poiché l'omosessualità costituisce reato nel proprio paese d'origine, può ottenere la protezione internazionale e umanitaria in Italia?

Sulla questione torna la Cassazione con l'ordinanza n. 28019 del 26 settembre 2022, richiamando i principi già espressi della Corte di giustizia, secondo cui: 

  • l'orientamento sessuale di una persona costituisce una caratteristica così fondamentale per la sua identità che essa non dovrebbe essere costretta a rinunciarvi;
  • l'esistenza di una legislazione penale che riguarda in modo specifico le persone omosessuali, consente di affermare che tali persone costituiscono un gruppo a parte che è percepito dalla società circostante come diverso;
  • la previsione di una pena detentiva che sanziona gli atti omosessuali e che effettivamente trova applicazione nel paese d'origine  dev'essere considerata una sanzione sproporzionata o discriminatoria e costituisce pertanto un atto di persecuzione.

Ne consegue che, quando le persone di orientamento omosessuale sono costrette a violare la legge penale del loro Paese e ad esporsi a gravi sanzioni per poter vivere liberamente la propria sessualità, hanno il diritto a ottenere il riconoscimento dello "status" di rifugiato.

Nel caso di specie, un cittadino senegalese, allontanatosi dal paese di origine per il timore di essere denunciato in quanto scoperto intrattenere una relazione omosessuale, condotta punita con pena detentiva in Senegal, aveva richiesto la domanda di protezione internazionale e umanitaria in Italia.

Vedi anche:

Protezione internazionale, orientamento sessuale del richiedente, situazione oggettiva di persecuzione, riconoscimento dello "status" di rifugiato

In tema di protezione internazionale, l'orientamento sessuale del richiedente costituisce fattore di individuazione del "particolare gruppo sociale" la cui appartenenza, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8, comma 1, lett. d), integra una situazione oggettiva di persecuzione idonea a fondare il riconoscimento dello "status" di rifugiato, sussistendo tale situazione quando le persone di orientamento omosessuale sono costrette a violare la legge penale del loro Paese e ad esporsi a gravi sanzioni per poter vivere liberamente la propria sessualità, ciò che costituisce una grave ingerenza nella vita privata di dette persone che ne compromette la libertà personale e li pone in una situazione di oggettivo pericolo che deve essere verificata, anche d'ufficio, dal giudice di merito.

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Corte di Cassazione, sez. Lavoro Civile, Ordinanza n. 28019 del 26/09/2022

RILEVATO IN FATTO

CHE:

1. il Tribunale di Reggio Calabria ha respinto la domanda di protezione internazionale e umanitaria proposta dall'odierno ricorrente, cittadino del Senegal;

2. dal provvedimento impugnato atti si ricava che il richiedente aveva motivato l'allontanamento dal paese di origine per il timore di essere denunciato in quanto scoperto intrattenere una relazione omosessuale, condotta punita con pena detentiva in Senegal;

3. il Tribunale ha ritenuto non coerente il narrato e mancanti le prove (quali un ordine di arresto) della persecuzione denunciata; ha ritenuto non sussistenti i presupposti di legge per il riconoscimento delle forme di protezione richieste;

4. per la cassazione della decisione ha proposto ricorso l'originario ricorrente; il Ministero dell'Interno ha depositato atto di costituzione al solo fine dell'eventuale partecipazione all'udienza di discussione della causa;

CONSIDERATO IN DIRITTO

CHE:

Parte ricorrente deduce:

1. con il primo motivo (art. 360 c.p.c., n. 5) violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 14, e dell'art. 5, comma 6, TUI, per mancato esame dei documenti addotti e delle dichiarazioni rese e per mancata cooperazione istruttoria;

2. con il secondo (art. 360 c.p.c., n. 5) motivazione omessa, insufficiente e contraddittoria su fatti o questioni controverse e decisive ai fini del giudizio, e motivazione carente sulla inattendibilità delle dichiarazioni del richiedente;

3. i motivi di ricorso, da trattare congiuntamente in quanto connessi, sono fondati per quanto di ragione;

4. con riferimento alla operata valutazione di (non) credibilità, deve ribadirsi che l'esame e l'accertamento giudiziale delle domande nell'ambito del settore della protezione internazionale sono caratterizzati dal dovere di cooperazione del giudice e dal principio di attenuazione dell'onere della prova (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8); in tale quadro normativo, in tema di protezione internazionale e umanitaria, la valutazione di credibilità delle dichiarazioni del richiedente non è affidata alla mera opinione del giudice ma è il risultato di una procedimentalizzazione legale della decisione, da compiere non sulla base della mera mancanza di riscontri oggettivi, ma alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, e, inoltre, tenendo conto "della situazione individuale e della circostanze personali del richiedente" (di cui all'art. 5, comma 3, lett. c, del D.Lgs. cit.), con riguardo alla sua condizione sociale e all'età, non potendo darsi rilievo a mere discordanze o contraddizioni su aspetti secondari o isolati quando si ritiene sussistente l'accadimento, sicché è compito dell'autorità amministrativa e del giudice dell'impugnazione di decisioni negative della Commissione territoriale, svolgere un ruolo attivo nell'istruzione della domanda, disancorandosi dal principio dispositivo proprio del giudizio civile ordinario, mediante l'esercizio di poteri-doveri d'indagine officiosi e l'acquisizione di informazioni aggiornate sul paese di origine del richiedente, al fine di accertarne la situazione reale (Cass. n. 26921/2017; Cass. n. 7456/2020; Cass. n. 17748/2020);

5. con la sentenza 7.11.2013 (nelle cause riunite da C-199/12 a C-201/12), la Corte di Giustizia UE ha chiarito che "l'orientamento sessuale di una persona costituisce una caratteristica così fondamentale per la sua identità che essa non dovrebbe essere costretta a rinunciarvi...tale interpretazione è confermata dall'art. 10, paragrafo 1, lett. d), comma 2, della direttiva (2004/83/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, recante norme minime sull'attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta), da cui risulta che, in funzione delle circostanze esistenti nel paese d'origine, un particolare gruppo sociale può essere un gruppo i cui membri hanno come caratteristica comune un determinato orientamento sessuale... l'esistenza di una legislazione penale che riguarda in modo specifico le persone omosessuali, consente di affermare che tali persone costituiscono un gruppo a parte che è percepito dalla società circostante come diverso... l'esistenza di una legislazione penale... che riguarda in modo specifico le persone omosessuali, consente di affermare che tali persone devono essere considerate costituire un determinato gruppo sociale... il mero fatto di qualificare come reato gli atti omosessuali non costituisce, di per sé, un atto di persecuzione. Invece, una pena detentiva che sanzioni taluni atti omosessuali e che effettivamente trovi applicazione nel paese d'origine che ha adottato una siffatta legislazione dev'essere considerata una sanzione sproporzionata o discriminatoria e costituisce pertanto un atto di persecuzione";

6. questa Corte ha chiarito (Cass. n. 9815/2020) che l'appartenenza ad un determinato gruppo sociale del richiedente protezione internazionale non può essere esclusa dal rilievo che le dichiarazioni della parte non ne forniscano la prova, dal momento che il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, dispone che tali dichiarazioni, se coerenti con i requisiti di cui alle lettere da a) ad e) della norma, possono da sole essere considerate veritiere pur se non suffragate da prova, ove comparate con COI aggiornate, e la Corte di Giustizia (sentenza 25/1/2018 in causa C-473/16, alla luce dell'art. 13, par. 3, lett. a), della Direttiva 2005/85 e dell'art. 15 par. 3, lett. a), della Direttiva 2013/32, ha evidenziato che, in relazione all'omosessualità, il colloquio deve essere svolto da un intervistatore competente, che si deve tenere conto della situazione personale e generale in cui s'inseriscono le dichiarazioni, ed in particolare dell'orientamento sessuale, che la valutazione di credibilità non può fondarsi su nozioni stereotipate associate all'omosessualità ed in particolare sulla mancata risposta a domande relative a tali nozioni;

7. è stato, inoltre, chiarito (Cass. n. 7438/2020) che, in tema di protezione internazionale, l'orientamento sessuale del richiedente costituisce fattore di individuazione del "particolare gruppo sociale" la cui appartenenza, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8, comma 1, lett. d), integra una situazione oggettiva di persecuzione idonea a fondare il riconoscimento dello "status" di rifugiato, sussistendo tale situazione quando le persone di orientamento omosessuale sono costrette a violare la legge penale del loro Paese e ad esporsi a gravi sanzioni per poter vivere liberamente la propria sessualità, ciò che costituisce una grave ingerenza nella vita privata di dette persone che ne compromette la libertà personale e li pone in una situazione di oggettivo pericolo che deve essere verificata, anche d'ufficio, dal giudice di merito (cfr. anche Cass. n. 849/2022; Cass. n. 40909/2021; Cass. n. 24397/2021; Cass. n. 10532/2021; Cass. n. 7778/2021; Cass.n. 20385/2020; Cass. n. 11172/2020);

8. il decreto impugnato non si è attenuto ai suddetti principi di procedimentalizzazione legale (e non di valutazione soggettiva) del giudizio di credibilità nella materia in esame e di obbligo di verifica, anche officiosa, delle conseguenze che la scoperta di una relazione omosessuale può determinare alla stregua della legislazione del Paese di provenienza, tenuto conto che la punizione dell'omosessualità come reato, da parte di un ordinamento giuridico, è suscettibile di determinare una grave ingerenza nella vita privata dei cittadini, che ne compromette la libertà personale e li pone in una situazione di oggettivo pericolo; deve pertanto essere cassato con rinvio come indicato in dispositivo; al Tribunale di rinvio è demandato altresì il regolamento delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa il provvedimento impugnato e rinvia al Tribunale di Reggio Calabria, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 9 giugno 2022.

Depositato in Cancelleria il 26 settembre 2022.

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