Corte di Cassazione, sez. V Civile, Sentenza n.3 del 04/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – rel. Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A. P. – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 5830/2015 R.G., proposto da:

B.L., rappresentato e difeso dall’avv.to Vincenzo Alessio, elettivamente domiciliato in Roma, Via Dei Dardanelli n. 146, presso lo studio dell’avv.to Maurizio Spinella, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

Avverso la sentenza n. 3762/14 della Commissione tributaria Regionale della Lombardia (di seguito, CTR), depositata in data 09/07/2014 e non notificata;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa D’Angiolella Rosita nella camera di consiglio del 15 ottobre 2021;

viste le conclusioni del sostituto procuratore generale, Dott. Basile Tommaso, D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, ex art. 23, comma 8 bis, con. conv. con mod. in L. 18 dicembre 2020, n. 176, di rigetto del ricorso.

FATTI DI CAUSA

1. Con la sentenza in epigrafe, la CTR del Lazio ha rigettato l’appello del contribuente, B.L., avverso la sentenza della CTP di Pavia n. 129/1/13, che aveva accolto in parte il ricorso del contribuente, avverso l’avviso di accertamento, per l’anno 2006, con il quale l’Ufficio aveva rideterminato, con metodo sintetico, ai fini IRPEF e relative addizionali, un maggior reddito imponibile rispetto a quello dichiarato dal contribuente.

2. Avverso la sentenza della CTR di cui in epigrafe, ha proposto ricorso per cassazione B.L., affidato a due motivi.

3. L’Agenzia delle entrate ha resistito con controricorso.

4. Il sostituto procuratore generale, Dott. Basile Tommaso, ha presentato conclusioni scritte in forma di memoria chiedendo il rigetto del ricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con un unico motivo di ricorso, articolato in due profili di censura, il ricorrente censura la sentenza impugnata, per essere incorsa in violazione di legge, e segnatamente del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, e in vizio del procedimento, con conseguente nullità della sentenza, per aver considerato, nella determinazione del reddito di B.L., per l’anno 2006, l’immobile acquistato dalla di lui figlia B.S. con atto notarile del 16 gennaio 2009, nonostante quest’ultima già da ottobre 2008 fosse uscita dal nucleo familiare e godesse di redditi propri sin dal 2007 e ancor prima per lavori occasionali. Il duplice errore consisterebbe, da un lato (error in iudicando), nel non aver valutato la complessiva posizione reddituale dei componenti il nucleo familiare per verificare se gli indicatori della capacità contributiva rilevanti potessero trovare giustificazione nei redditi degli altri componenti il nucleo, dall’altro (error in procedendo), nel non aver ascoltato in contraddittorio B.S. per escludere che il reddito del padre fosse determinabile nonostante i redditi detenuti dalla figlia.

2. Il mezzo è inammissibile.

3. L’esposizione del motivo di ricorso sfugge del tutto all’onere di specificità dei motivi di impugnazione di cui art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, formulandosi, con un unico motivo, una duplicità di profili tra loro confusi e inestricabilmente combinati, non collegabili alle fattispecie di vizio enucleate dal codice di rito e denunciate dal ricorrente. Il ricorrente, nel censurare la sentenza impugnata per error in procedendo (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) e per error in iudicando (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), avrebbe dovuto indicare la rubrica per ciascuna delle censure, compiere una puntuale esposizione delle ragioni per le quali il relativo è mezzo è stato proposto, nonché illustrare gli argomenti posti a sostegno della sentenza impugnata e precisare analiticamente le considerazioni che, in relazione al motivo, indicato nella rubrica, comporterebbero la cassazione della pronunzia (Cass., 14/05/2018, n. 11603; Cass., 18/08/2020, n. 17224; Cass., 13/01/2021, n. 342).

3.1. A conferma di tale genericità valgono gli argomenti spesi dal ricorrente a sostegno delle doglianze proposte, che sfuggono completamente alla possibilità di individuazione e di qualificazione di un’erronea ricognizione della fattispecie da parte della CTR tale da determinare la dedotta violazione del citato D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, e delle regole del procedimento. E difatti, l’unico argomento posto a fondamento della duplice censura riguarda il “fatto” che l’Ufficio prima e la CTR poi, per determinare il reddito del B., abbiano considerato come incremento patrimoniale imputabile al B., l’acquisto di un immobile acquistato da sua figlia B.S. che, a dire del ricorrente, aveva trasferito, dalla casa familiare, la propria residenza anagrafica già nell’ottobre del 2008 e quindi prima dello spostamento formale (8 maggio 2009), nonché produceva redditi di lavoro dipendente già dall’anno 2007 e, ancor prima, per lavori occasionali.

3.2. Tali argomenti censori appaiono presentare, piuttosto, una diversa ipotesi di valutazione di fatti, considerato che non rientra nell’ambito applicativo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, essendo tale ricognizione esterna al tipico vizio di sussunzione di cui allo specifico parametro di censura invocato inerendo, in realtà, ad una valutazione del giudice di merito sottratta al sindacato di legittimità (Cass. Sez. 6 -3, 04/04/2017, n. 8758).

3.3. D’altro canto, la CTR è pervenuta alla decisione di rigetto dell’appello compiendo una specifica indagine fattuale – come riportata, supra, al paragrafo 2 della parte narrativa – al fine di verificare la ricorrenza dei presupposti per la determinazione sintetica del reddito, verifica che, in quanto basata sui precisi elementi circostanziali (v. par. 2, parte narrativa) risulta incensurabile in questa sede.

4. Il ragionamento seguito dalla CTR risulta corretto, anche in relazione alla presunta violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38.

4.1. Il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38 disciplina, tra l’altro, il metodo di accertamento sintetico del reddito e, nel testo vigente ratione temporis (cioè tra la L. n. 413 del 1991 e il D.L. n. 78 del 2010, convertito in L. n. 122 del 2010), applicabile alla fattispecie riguardante avviso di accertamento per l’anno 2006, prevede, al comma 5, le “spese per incrementi patrimoniali”, cioè delle spese sostenute per l’acquisto di beni destinati ad incrementare durevolmente il patrimonio del contribuente (5. “Qualora l’ufficio determini sinteticamente il reddito complessivo netto in relazione alla spesa per incrementi patrimoniali, la stessa si presume sostenuta, salvo prova contraria, con redditi conseguiti, in quote costanti, nell’anno in cui è stata effettuata e nei quattro precedenti”). Ai sensi del citato D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 6, resta salva per il contribuente la prova contraria, consistente nella dimostrazione documentale della sussistenza e del possesso, da parte del contribuente, di redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta o, più in generale, nella prova che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore (6. “Il contribuente ha facoltà di dimostrare, anche prima della notificazione dell’accertamento, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta”).

4.2. La giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che la prova documentale contraria ammessa per il contribuente non riguarda la sola disponibilità di redditi esenti o di redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, ma anche l’entità di tali redditi e la durata del loro possesso, che costituiscono circostanze sintomatiche del fatto che la spesa contestata sia stata sostenuta proprio con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta (Cass., 26/11/2014, n. 25104; Cass., 20/03/2009, n. 6813; per i redditi risultanti da finanziamenti, v. Cass., 30/05/2018, n. 13602).

4.3. Ove il contribuente deduca che la spesa sia il frutto di liberalità o di altra provenienza, la relativa prova deve essere fornita con la produzione di documenti, dai quali emerga non solo la disponibilità all’interno del nucleo familiare di tali redditi, ma anche l’entità degli stessi e la durata del possesso in capo al contribuente interessato dall’accertamento, pur non essendo lo stesso tenuto, altresì, a dimostrare l’impiego di detti redditi per l’effettuazione delle spese contestate, attesa la fungibilità delle diverse fonti di provvista economica (v. Sez. 6-5, 28/03/2018, n. 7757; id. Sez. 5, 21/11/2019, n. 30355, secondo cui la presunzione del concorso del dei partecipanti al familiare convivente alla produzione del reddito trova fondamento nel vincolo che li lega; Sez. 6 -5, 26/01/2016, n. 1332).

4.4. La decisione della CTR risulta conforme a tali principi, laddove ha ravvisato l’incremento patrimoniale derivante dall’atto di acquisto da parte di B.S. dell’immobile del 16 gennaio 2009, per presumere la disponibilità dei redditi, non esenti, in capo a B.L.; ciò in quanto, non solo, è emerso ex actis che B.S., fino al maggio 2009 (data di spostamento della residenza anagrafica) apparteneva al nucleo famigliare di B.L., ma anche che non aveva una disponibilità reddituale propria, distinta da quella del nucleo familiare (la CTR ha rimarcato il dato “non controverso” dell’assenza di reddito di B.S. nel 2006 e la percezione di reddito di soli 11.000 C nel 2007); inoltre, evidenziando la carenza di prova da parte del B. che gli esborsi effettuati per l’acquisto dell’immobile potessero essere giustificati con le disponibilità finanziarie proprie della figlia e non sue la CTR, in realtà, ha posto a base della sua decisione la carenza di prova documentale contraria della disponibilità, all’interno del nucleo familiare, di tali redditi, dell’entità degli stessi e della durata del possesso in capo ad egli contribuente.

5. Le spese di giudizio si pongono a carico della parte soccombente e si liquidano come dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna B.L. al pagamento delle spese del presente giudizio in favore dell’Agenzia delle entrate che liquida in Euro 2.300,00 (duemilatrecento/00), oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Quinta sezione civile, il 15 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 4 gennaio 2022

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