Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.31 del 04/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. PAOLITTO Libero – Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – rel. Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8026/2013 proposto da:

G.F.G. rappresentato e difeso dall’Avv. Cristina Biella elettivamente domiciliato in Roma, Via Ruffini n. 2/A presso lo studio dell’Avv. Giuseppe Marino;

– ricorrente –

Agenzia Delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma Via Dei Portoghesi 12 presso l’Avvocatura Generale Dello Stato che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 92/12 depositata il 7 agosto 2012 della COMM.TRIB.REG., Lombardia;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 2/12/2021 dal Consigliere Dott. BALSAMO MILENA.

RITENUTO

che:

1. Con atto del 25 giugno 2007, G.A. e G.F.G. costituivano la società Immobiliare Abeliea srl., mediante il conferimento di un terreno gravato da ipoteca del valore netto di Euro 1.115.600,00, risultante dalla perizia di stima ex art. 2645 c.c., e sottoscrivevano la quota di capitale pari ad Euro 100.000, con sovrapprezzo di Euro 1.005.600, come attestato dal notaio rogante che, dedotte le passività ammontanti ad Euro 9.000.0000 assunte dalla costituenda società, accertava un valore netto dell’apporto di Euro 1.115.600; la società, con il medesimo atto notarile, si accollava il muto ipotecario gravante sul terreno sottoscritto il 13 giugno 2007. Ai fini della registrazione veniva applicata l’imposta di registro con l’aliquota dell’8% sulla base imponibile, pari al valore dei terreni al netto delle passività, tenuto conto del sovrapprezzo conferito dai due soci, giusta il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 50.

L’agenzia delle entrate notificava avviso di liquidazione alla società ed ai soci conferenti determinando il valore dei terreni da sottoporre all’imposta di registro in Euro 1.350.045,19, così disconoscendo le passività gravanti sugli stessi al momento del conferimento in considerazione del fatto che gli atti negoziali posti in essere in tempi diversi avevano una finalità elusiva, diretta ad ottenere l’applicazione del cit. art. 50. Ciò in quanto i negozi giuridici posti in essere dai signori G., avente ad oggetto uno il contratto di mutuo ipotecario e l’altro la costituzione di società con conferimento del terreno erano destinati allo scopo di ridurre artificiosamente la base imponibile della cessione dei cespiti alla costituenda società. Avverso l’avviso di liquidazione proponeva ricorso G.F.G..

La CTP di Milano respingeva il ricorso. Proposto appello dal contribuente, la CTR della Lombardia lo respingeva sul rilievo che, in applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, occorreva avere riguardo all’intrinseca natura e agli effetti giuridici dell’atto presentato per la registrazione e nella qualificazione del negozio si doveva attribuire rilievo preminente alla sua causa reale ed alla regolamentazione degli interessi effettivamente perseguiti dei contraenti anche se mediante una pluralità di pattuizioni non contestuali.

Avverso la sentenza n. 92/14/12, depositata il 7 agosto 2012, della CTR della Lombardia, il contribuente propone ricorso per cassazione affidato ad otto motivi, illustrati nelle successive memorie difensive. L’agenzia delle entrate si è costituita in giudizio con controricorso.

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo, si lamenta la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37-bis, commi 4 e 5, nonché degli artt. 3,24 e 111 Cost., in relazione alla mancanza preventiva audizione da parte dell’agenzia del contraddittorio con il contribuente ex art. 360 c.p.c., n. 3, rilevabile in ogni stato e grado. In particolare, si deduce che, avendo i giudici regionali fondato il rigetto dell’appello sul rilievo che il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 37-bis citato in rubrica, e l’art. 20, essi avrebbero dovuto rilevare l’omessa instaurazione del preventivo contraddittorio, previsto a pena di nullità, atteso che l’atto di accertamento notificato al contribuente aveva ad oggetto la contestazione di condotte elusive.

2. Con la seconda censura si lamenta l’omessa motivazione della pronuncia in relazione alla nullità dell’avviso D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 37 bis, ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5; per avere i giudici regionali del tutto omesso di rilevare ex officio, nel momento in cui facevano applicazione del cit. art. 37 bis, la carenza della previa instaurazione del contraddittorio.

3. Con il terzo motivo il contribuente deduce la violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis, e l’omessa e insufficiente motivazione della pronuncia con riguardo alla natura elusiva dell’operazione contestata ex art. 360 c.p.c., n. 5; per avere i giudici territoriali omesso di argomentare le ragioni per le quali hanno ritenuto la sussistenza di una operazione elusiva, trascurando di esaminarne i presupposti quali l’aggiramento dei obblighi e divieti, il conseguimento di vantaggi tributari altrimenti indebiti, l’inesistenza di valide ragioni economiche, atteso che l’avviso opposto si fondava sulla mera circostanza che i due negozi, di contrazione del mutuo ipotecario e quello di costituzione della società e di conferimento del capitale con contestuale sottoscrizione di quote, erano correlati da nesso di collegamento, in considerazione della cronologia della stipula degli atti in questione.

4. Con il quarto motivo si deduce la violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, per aver la CTR fatto applicazione di principi affermati dalla Corte di Cassazione con riguardo ad una questione diversa mentre nel caso di specie le parti non avevano perseguito alcun intento elusivo. Sostiene altresì il ricorrente che ogni atto presentato per la registrazione è autonomo e come tale va trattato ai fini dell’imposta di registro, essendo onere dell’Agenzia valutare gli atti sottoposti a registrazione non in base al nomen iuris che le parti utilizzano, ma all’effettiva sostanza che emerge dagli atti, senza poter considerare dati extratestuali.

5. Con il quinto motivo si prospetta violazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 50, ex art. 360 c.p.c., n. 3, nonché insufficiente motivazione della pronuncia ex art. 360 c.p.c., n. 5, sostenendo che legittimamente doveva detrarsi dal valore dei beni conferiti in società la passività derivante dal mutuo ipotecario acceso sul cespite che la società aveva deliberato di accollarsi, 6. Con il sesto mezzo, si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 23,41,53 e 97 Cost., nonché della L. n. 212 del 2000, art. 10, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3); per avere l’Ufficio travalicato i poteri di indagine attribuendo una qualificazione agli atti giuridici diversa da quella desumibile dall’atto medesimo. Assume che in tal modo, l’Agenzia avrebbe violato il principio che tutela l’iniziativa economica privata, e la riserva di legge in ordine alla imposizione fiscale.

7. Con il settimo mezzo, si prospetta l’omessa e contraddittoria motivazione della pronuncia ex art. 360 c.p.c., n. 5, con riferimento alla motivazione per relationem, nonché la violazione dell’art. 132 c.p.c., ex art. 360 c.p.c., n. 4, per avere i giudici di appello omesso di pronunciarsi in merito a tutte le censure proposte con il gravame e di esplicare l’iter argomentativo sotteso alla decisione.

8. Con l’ultimo mezzo, la ricorrente lamenta l’omessa motivazione in ordine all’eccepita violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, della sentenza di primo grado ex art. 360 c.p.c., n. 5, nonché violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, per avere i giudici di secondo grado omesso di pronunciarsi sulla dedotta nullità della sentenza di prime cure, la quale mancava dello svolgimento del processo e della succinta esposizione delle ragioni di diritto.

9. Il quarto motivo è fondato, ancorché per ragioni diverse da quelle esplicitate dalla ricorrente, con assorbimento degli altri motivi, ad eccezione della quinta censura.

Si osserva che, in tema d’imposta di registro, ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, come modificato dalla L. n. 205 del 2017, art. 1, comma 87, e dalla L. n. 145 del 2018, art. 1, comma 1084, nella parte in cui prevede che, ai fini dell’imposta di registro, l’interpretazione degli atti presentati alla registrazione debba avvenire solo in base al loro contenuto, senza fare riferimento ad atti collegati o ad elementi extratestuali, l’Amministrazione finanziaria non può travalicare lo schema negoziale tipico in cui l’atto risulta inquadrabile.

La L. n. 205 del 2017, art. 1, comma 87, invero, prevede: “Al testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro, di cui al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, sono apportate le seguenti modificazioni: a) all’art. 20, comma 1: 1) le parole: “degli atti presentati ” sono sostituite dalle seguenti: “dell’atto presentato”; 2) dopo la parola: “apparente” sono aggiunte le seguenti: “sulla base degli elementi desumibili dall’atto medesimo, prescindendo da quelli extratestuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi”;…” La L. n. 145 del 2018, art. 1, comma 1084, prevede: “La L. 27 dicembre 2017, n. 205, art. 1, comma 87, lett. a), costituisce interpretazione autentica del testo unico di cui al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 20, comma 1. “Il Legislatore, con la denunciata norma, ha inteso riaffermare la natura di “imposta d’atto” dell’imposta di registro, precisando l’oggetto dell’imposizione in coerenza con la struttura di un prelievo sugli effetti giuridici dell’atto presentato per la registrazione. Per altro verso un’interpretazione della norma in chiave antielusiva provocherebbe incoerenze nell’ordinamento, quantomeno a partire dall’introduzione della L. n. 212 del 2000, art. 10-bis, consentendo all’Amministrazione di operare in funzione antielusiva senza applicare la garanzia del contraddittorio endo-procedimentale e di svincolarsi da ogni riscontro di indebiti vantaggi fiscali e di operazioni prive di sostanza economica, precludendo di fatto al contribuente ogni legittima pianificazione fiscale. Ne consegue che nel caso di specie l’amministrazione finanziaria non aveva facoltà di riqualificare come atto di compravendita il conferimento degli immobili alla società, discononscendone le passività accollate dall’ente.

La Corte Costituzionale, con sentenza n. 158 del 21/07/2020 ha statuito che non è fondata la questione di legittimità costituzionale, posta in relazione agli artt. 3 e 53 Cost., al D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, come modificato dalla L. n. 205 del 2017, art. 1, comma 87, e dalla L. n. 145 del 2018, art. 1, comma 1084, nella parte in cui prevede che, ai fini dell’imposta di registro, l’interpretazione degli atti presentati alla registrazione debba avvenire solo in base al loro contenuto, senza fare riferimento ad atti collegati o ad elementi extratestuali. Detta pronuncia è stata poi ribadita dalla medesima Corte con sentenza n. 39/2021, con la quale ha affermato che le questioni inerenti alla violazione degli artt. 3 e 53 Cost., sono manifestamente infondate, poiché prive di argomenti sostanzialmente nuovi rispetto a quelle già sollevate con la menzionata ordinanza del giudice di legittimità e dichiarate non fondate con sentenza n. 158 del 2020.

10. Ciò nonostante, osserva la Corte che il disposto dell’art. 50 cit., è stato correttamente applicato dalla Regionale.

Con riferimento alla violazione dell’art. 50, l’amministrazione finanziaria assume che la norma citata dispone che qualora siano conferiti in società immobili, diritti reali immobiliari o aziende, la base di imponibile “per la parte relativa a tali conferimenti, è costituita dal valore dei beni, diritti o aziende al netto di passività o oneri”. Tale norma, che traspone nell’ordinamento italiano la Dir. CEE n. 335/69, – secondo cui l’imposta è liquidata sul valore reale dei beni di qualsiasi natura conferiti o da conferire dai soci, previa deduzione delle obbligazioni assunte e degli oneri sopportati dalla società a causa di ciascun conferimento (art. 5) impone la deduzione delle passività ed oneri dai beni e diritti conferiti, a condizione tuttavia che tali passività ed oneri siano inerenti all’oggetto del trasferimento stesso, con esclusione, quindi di passività od oneri che, anche se gravanti sul conferente ed assunti dalla società cessionaria, non possono dirsi collegati all’oggetto del trasferimento. Ed invero proprio il riferimento alla “causa di ciascun conferimento” contenuto nella Direttiva CEE, art. 5, è di ostacolo ad una deduzione indiscriminata delle passività ed oneri gravanti sui beni conferiti ed impone una verifica circa la sussistenza del “collegamento” tra la passività e l’acquisizione del bene da parte del cedente e del cessionario, evitando che diano luogo a una riduzione dell’imposta di registro i mutui ipotecari costituiti in funzione di elusione del carico tributario.

Nel caso specifico, adduce l’ente finanziario che in mancanza di prova relativa alla inerenza dell’obbligazione assunta dalla società (accollo dell’obbligazione alla restituzione della somma data a mutuo), la diminuzione del valore del bene conferito non corrisponde all’ammontare del debito a garanzia del quale il bene è stato ipotecato.

Questa Corte ha già avuto modo di valutare operazioni analoghe a quelle qui richiamate e di esprimersi sulla valenza del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 50, statuendo che tale norma, interpretata alta luce della disciplina comunitaria (Dir. CEE n. 335/69) impone che, qualora siano conferiti in società immobili, diritti reali immobiliari o aziende, sono deducibili, ai fini della determinazione della base imponibile, le sole passività ed oneri inerenti al bene o diritto trasferito, con esclusione di quelli che, anche se gravanti sul conferente ed accollati alla società, non sono collegati all’oggetto del trasferimento. E’ stato pertanto già affermato che l’imposta di registro è liquidata sul valore reale del bene di qualsiasi natura conferito o da conferire dai soci, previa deduzione delle obbligazioni assunte e degli oneri sopportati dalla società a causa di ciascun conferimento; non è quindi consentito alla norma nazionale la deduzione indiscriminata delle passività e degli oneri gravanti sul bene o sul diritto conferito, essendo al contrario necessaria un’attenta verifica, onde accertare la sussistenza di un collegamento fra le passività ed i beni conferiti, anche al fine di evitare mutui ipotecari costituiti in funzione di elusione del carico tributario (cfr. Cass. n. 23234 del 2015; Cass. n. 29403 del 2020, in motiv.).

Con particolare riferimento al conferimento di immobili in società, ove i conferenti siano persone fisiche, la base imponibile non può quindi essere depurata delle passività connesse ad ipoteche che, come nel caso in esame, pur se gravanti sull’immobile conferito nella società, sono state accese dai conferenti per ottenere il mutuo, accendendo ipoteca sui cespiti da acquistare, in epoca anteriore al conferimento dell’immobile in società. (Cass. n. 9209 del 2019).

La giurisprudenza di legittimità, in altri termini, è concorde nel ritenere che, in caso di conferimento in una società di beni immobili, diritti immobiliari od aziende, la base imponibile ai fini dell’applicazione dell’imposta di registro vada determinata deducendo dai beni e diritti conferiti solo ed unicamente le passività e gli oneri inerenti all’oggetto del trasferimento stesso e non anche le passività e gli oneri che, pur gravanti sull’immobile conferito, non possono dirsi assunte dalla società conferitaria per finalità connesse al perseguimento del proprio oggetto sociale (cfr. Cass. n. 475 del 2018; Cass. n. 9580 del 2013; Cass. n. 3444 del 2014).

Il ricorso deve essere, pertanto, accolto con riferimento al quarto motivo, assorbiti gli altri e respinto il quinto.

In conclusione, ricorso deve essere respinto, con aggravio di spese.

PQM

Rigetta il ricorso;

condanna la contribuente al pagamento delle spese del presente giudizio in favore dell’amministrazione finanziaria liquidate in Euro 8.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale della quinta sezione civile della Corte di cassazione, tenuta da remoto, il 2 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 4 gennaio 2022

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