In caso di danno permanente alla persona in quali casi il giudice può liquidare il danno sotto forma di una rendita vitalizia?
Risponde al quesito la Cassazione con la sentenza n. 31574 depositata il 25 ottobre 2022.
La scelta del giudice. La Suprema Corte ricorda che, ai sensi dell'art. 2057 Cc, la scelta della forma di liquidazione del danno permanente alla persona è rimessa al prudente apprezzamento del giudice, perché capitale e rendita si equivalgono per l'ordinamento civilistico.
I giudici di legittimità forniscono comunque delle indicazioni.
Danno grave alla persona. L'ipotesi del grave danno alla persona dovrebbe rappresentare il terreno d'elezione per un risarcimento in forma di rendita poichè permette di considerare adeguatamente, sotto molteplici aspetti (tra cui quello dell'effettività della tutela e della giustizia della decisione) l'evoluzione diacronica della malattia.
Istanza dell'avente diritto non necessaria. La liquidazione della rendita non costituisce un diritto della parte, ma è una facoltà del giudice, il quale può provvedervi, anche in appello, in via autonoma.
Morte precoce del danneggiato. La Corte si occupa anche dell'ipotesi della morte precoce del danneggiante durante l'erogazione della rendita vitalizia, distinguendo due ipotesi:
a) se la morte anticipata è stata causata dalle lesioni, il responsabile sarà chiamato a risarcire, oltre al danno biologico e morale, possibilmente in forma di rendita, subito dal danneggiato nel periodo di tempo compreso tra il sinistro e la morte, anche, ed onnicomprensivamente, il danno iure proprio subito dai genitori, in relazione alla ridotta aspettativa di vita ed al presumibile periodo di vita del minore;
b) se la morte non è stata causata dalle lesioni, il responsabile dovrà risarcire il danno biologico subito dal danneggiato valutato al tempo della commissione dell'illecito, oltre al danno da lesione del rapporto parentale in favore dei genitori.
L'art. 2057 c.c. rimette al prudente apprezzamento del giudice la scelta della forma di liquidazione del danno permanente alla persona, perché capitale e rendita si equivalgono per l'ordinamento civilistico. Il giudice è dunque libero di optare ex officio per lo strumento di cui all'art. 2057 c.c., purché determini la rendita in modo tecnicamente corretto.
Corte di Cassazione, sez. III Civile, Sentenza n. 31574 del 25/10/2022
FATTI DI CAUSA
1. Con atto di citazione del 26.5. 2014, M.S. e M.P., in proprio e quali esercenti la responsabilità genitoriale sul figlio minore M.F., convennero in giudizio, dinanzi al Tribunale di Milano, B.M.S. e l'Azienda Ospedaliera (Omissis) (oggi Azienda Socio Sanitaria Territoriale - ASST (Omissis)), esponendo:
che il 4 giugno 2008 avevano portato il bambino, di pochi mesi, che da alcuni giorni presentava un pianto continuo, al P.S. dell'Ospedale (Omissis), ove era in servizio B.M.S., il quale lo aveva dimesso dopo aver effettuato una radiografia, ipotizzando una coxalgia e prescrivendo la somministrazione di un antinfiammatorio;
che il giorno seguente il minore fu riportato al P.S. (ove era nuovamente in servizio il B.) e, a seguito di analisi del sangue, ne venne disposto il trasferimento nel reparto di pediatria, ove veniva intubato, essendo stata rilevata la presenza di pneumococco;
che la successiva diagnosi fu di meningoencefalite grave, con presenza di lesioni focali multiple sia del tronco encefalico che a livello degli emisferi cerebrali;
che la consulenza tecnica esperita in sede di ATP attestò l'imperizia, l'imprudenza e la negligenza del B.;
che successivamente venne accertato che quest'ultimo, pur prestando servizio presso il pronto soccorso pediatrico, non era un medico.
1.1. Tanto premesso, gli attori chiesero la condanna dei convenuti, in solido, al risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, conseguenti alla condotta illecita dei convenuti.
1.2. Si costituì in giudizio l'Azienda ospedaliera, chiedendo, in via preliminare, la chiamata in causa della compagnia di assicurazioni QBE Insurance Europe Limited e, nel merito, il rigetto della domanda. L'Azienda formulò, inoltre, domanda riconvenzionale nei confronti del convenuto B.M.S..
1.3. Si costituì in giudizio anche il B., chiedendo il rigetto della domanda proposta nei suoi confronti.
1.4. Autorizzata la chiamata in causa della compagnia assicuratrice, si costituì il rappresentante generale per l'Italia di QBE Insurance Europe Limited, il quale eccepì preliminarmente l'inoperatività della polizza, chiedendo poi, nel merito, il rigetto delle domande, nonché, in via subordinata, l'accertamento della responsabilità esclusiva del B.. In ulteriore subordine, la compagnia chiese di contenere il proprio obbligo di manleva entro i limiti di polizza contrattualmente stabiliti.
1.5. Istruita la causa anche mediante integrazione della CTU medico-legale, il Tribunale di Milano, con la sentenza n. 6800/2018, accolse la domanda, condannando B.M.S. e l'ASST (Omissis), in solido fra loro, al risarcimento del danno non patrimoniale nei confronti di M.F. (liquidato in Euro 1.219.355,00), nonché del danno patrimoniale e non patrimoniale in favore di ciascuno dei genitori. Condannò inoltre il B. a tenere indenne l'ASST (Omissis), in via di regresso, nei limiti del 50% di quanto la stessa era tenuta a versare a parte attrice. Rigettò invece la domanda della ASST (Omissis) nei confronti della compagnia assicuratrice - in quanto l'attività colposa foriera di danno era stata posta in essere da un soggetto che non ricopriva la qualifica di medico - in considerazione della colposa mancanza di controlli da parte dell'Azienda.
2. La sentenza è stata parzialmente riformata dalla Corte d'appello di Milano con la pronuncia n. 1797/2019, depositata il 23 aprile 2019.
2.1. La Corte territoriale ha condiviso le valutazioni del Tribunale circa la sussistenza del nesso di causalità tra il danno riportato dal minore e le omissioni imputate al falso medico e alla struttura, evidenziando come la CTU avesse accertato comportamenti sanitari imperiti, imprudenti e negligenti, tenuto conto delle condizioni del minore, delle linee guida vigenti all'epoca e della migliore pratica medica. Secondo i consulenti, il B. non era stato in grado di inquadrare correttamente il caso clinico del bambino e lo aveva dimesso senza una corretta diagnosi e senza chiedere il parere di un medico specialista, mentre una corretta e tempestiva diagnosi, formulata già il 4 giugno 2008, avrebbe consentito, con il 70% di probabilità, un'evoluzione favorevole della malattia del piccolo M.F.. I consulenti avevano, per altro verso, offerto una convincente risposta alle contestazioni dei CTP circa la correlazione tra precocità di terapia e cd. sequele, osservando che tali contestazioni erano fondate su studi risalenti agli anni 80-90, superati dalla letteratura più recente.
2.2. La Corte ha poi confermato l'entità del risarcimento nella misura liquidata in primo grado, rigettando la richiesta dell'Azienda sanitaria di rideterminarne l'importo parametrandolo alla minore aspettativa di vita del bambino rispetto a quella di un coetaneo sano, volta che tali minori aspettative erano da ritenersi conseguenza diretta e immediata del illecito.
2.3. Tanto premesso, la Corte territoriale, considerata l'impossibilità di stabilire in modo oggettivo una durata presumibile della vita di M.F., e tenuto conto altresì del carattere permanente del danno, ha ritenuto che la modalità del risarcimento in forma di rendita vitalizia meglio rispondesse alle concrete esigenze del danneggiato, garantendogli per tutta l'effettiva durata della vita la percezione di quanto liquidato annualmente. Al fine di calcolare l'importo annuo della rendita, la Corte ha operato il calcolo inverso sulla base della formula utilizzata per determinare il valore delle rendite vitalizie di cui al D.P.R. n. 131 del 1986 art. 46, comma 2, lett. c) (Testo Unico delle disposizioni concernenti l'imposta di registro). All'esito di tale calcolo, la Corte d'appello ha disposto la costituzione di una rendita vitalizia a favore di M.F. quantificata in Euro 1.283,53 mensili.
2.4. I giudici di secondo grado hanno inoltre accolto l'appello della ASST (Omissis) nella parte in cui lamentava il mancato accoglimento della domanda di manleva formulata nei confronti della compagnia assicuratrice. Al riguardo, la Corte ha ritenuto che la polizza coprisse la complessiva attività aziendale della ASST (Omissis), e quindi anche quella posta in essere da B.M., dipendente funzionalmente inserito nella struttura dell'ospedale, il quale aveva commesso il fatto lesivo nell'espletamento delle mansioni assegnategli, ritenendo, per converso, irrilevante la mancata qualifica professionale dello stesso B.. Ne' poteva rilevare, a giudizio della Corte, il comportamento colposo dell'assicurata, tenuto conto che, nelle condizioni generali di assicurazione, veniva esclusa la decadenza dal diritto all'indennizzo nel caso di dichiarazioni inesatte o reticenti della contraente all'atto della stipulazione della polizza, ad eccezione del caso di dolo.
2.5. In conclusione, la Corte d'appello di Milano, per quanto ancora rileva in questa sede, ha confermato la condanna dei convenuti al risarcimento dei danni in favore di M.F. così come quantificato dal tribunale, convertendo il risarcimento in forma capitale, come già ricordato, in rendita vitalizia, e condannando la compagnia assicuratrice al pagamento diretto di quanto liquidato in favore degli attori, anche nella qualità di rappresentanti legali del minore, nonché a stipulare una polizza fideiussoria, con pagamento a prima richiesta, a garanzia della rendita vitalizia costituita in favore di M.F..
3. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione, sulla base di tre motivi, la Reliance National Insurance Company (Europe) Limited (già QBE Insurance Europe Limited.)
3.1. Resistono con separati controricorsi i signori M.S. e M.P. - i quali propongono altresì ricorso incidentale fondato su tre motivi nonché l'Azienda Socio Sanitaria Territoriale (Omissis).
3.2. Il Procuratore Generale ha depositato conclusioni scritte chiedendo l'inammissibilità del ricorso principale e l'accoglimento del ricorso incidentale. Tutte le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
4. Con il primo motivo del ricorso principale, la compagnia assicuratrice la menta la "violazione, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 3, dell'art. 112 c.p.c.".
La Corte d'appello avrebbe reso una pronuncia extra petita, dal momento che nessuna parte aveva formulato domanda di costituzione di una polizza fideiussoria a prima richiesta in caso di condanna della compagnia assicurativa.
Tale pronuncia inciderebbe sul contenuto sostanziale della decisione, arrecando un grave pregiudizio alla ricorrente alla luce dell'importo liquidato, dei costi inerenti la stipula di un contratto autonomo di garanzia, dell'alea sottesa alla durata di tale contratto.
4.1. Il motivo è infondato
L'art. 2057 c.c. dispone che "quando il danno alle persone ha carattere permanente la liquidazione può essere fatta dal giudice, tenuto conto delle condizioni delle parti e della natura del danno, sotto forma di una rendita vitalizia. In tal caso il giudice dispone le opportune cautele".
La norma censurata trova applicazione qualora il giudice di merito accerti l'esistenza di un danno alla persona di carattere permanente, e prevede la possibilità che la liquidazione di tale danno possa avvenire attraverso il meccanismo della rendita vitalizia. Quest'ultima costituisce una forma di risarcimento per equivalente (c.c. 13 gennaio 1993 n. 357), ed è fonte di un rapporto a esecuzione periodica, in cui la durata prevista è " componente essenziale dell'utilità alla quale è ordinato il rapporto ".
Ben si comprende la funzione di tale previsione se la si pone in relazione con il carattere permanente del danno: la liquidazione ex art. 2057 c.c. mira infatti a " realizzare una tendenziale corrispondenza fra permanenza del danno e permanenza del risarcimento ", configurando la liquidazione della rendita non come diritto della parte, ma come facoltà del giudice (Cass. 20.2.1958, n. 553; Cass., 24.5.1967, n. 1140), imponendogli al contempo di predisporre le opportune cautele.
4.1.2. Tanto premesso, osserva il collegio come non appaia in alcun modo predicabile il lamentato vizio di extrapetizione della pronuncia d'appello, rientrando tra i poteri del giudice non soltanto quello di optare per la citata modalità di liquidazione del risarcimento in presenza dei presupposti previsti dalla legge, ma anche quello di disporre, all'esito, ed in via altrettanto officiosa, le "cautele" che ritiene necessarie. La ricorrente non censura la scelta della Corte territoriale di liquidare il danno in forma di rendita, di tal che dalla legittimità di tale scelta (pur se operata per la prima vota in grado di appello) discende il corollario rappresentato dal dovere del giudice di disporre tutte "le opportune cautele" funzionali a garantire l'adempimento de die in diem dell'obbligo di versare al danneggiato il rateo di rendita, così come stabilito dall'art. 2057, secondo periodo, c.c.. - così come accaduto, del tutto legittimamente, nel caso di specie.
4.2. Con il secondo motivo del ricorso principale, si lamenta la "violazione, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 3, dell'art. 1900 comma 1 c.c. e dell'art. 1917 comma 1 c.c.".
La Corte d'appello avrebbe erroneamente condannato la compagnia assicuratrice a tenere indenne l'ASST (Omissis), volta che l'assicurazione era stata prestata in relazione all'attività istituzionale della contraente e dell'assicurato (quella medico-sanitaria), così che nessuna copertura assicurativa poteva in concreto operare in relazione ad un'attività posta in essere da un suo dipendente in assenza del titolo e della qualifica di medico.
Inoltre, l'assicurazione non avrebbe potuto estendersi ai sinistri provocati con dolo, anche eventuale, del soggetto che ne traeva beneficio: al riguardo, il comportamento del falso medico, il quale aveva reso prestazioni sanitarie nella consapevolezza di non possedere i titoli e le qualifiche necessarie, integrava gli estremi della condotta dolosa idonea ad escludere la garanzia assicurativa.
In ogni caso, appariva evidente la colpa grave della ASST, che aveva macroscopicamente omesso di esercitare i necessari doveri di controllo, non verificando la documentazione prodotta dal B. per partecipare al concorso prodromico all'assunzione, di tal che una eventuale conferma della copertura assicurativa avrebbe comportato l'alterazione del sinallagma contrattuale e dell'alea del contratto. La compagnia assicuratrice, difatti, aveva accettato il rischio solo in virtù del legittimo affidamento che la struttura ospedaliera si sarebbe avvalsa di personale avente i requisiti legali per l'esercizio della professione medico: diversamente, non avrebbe fornito copertura all'attività o comunque non lo avrebbe fatto con lo stesso premio.
4.2.1. Il motivo è inammissibile nella parte in cui censura l'interpretazione del contratto fornita dalla Corte d'appello, asserendo che la garanzia sarebbe andata a coprire solo l'attività svolta dal personale dotato di qualifica medico-sanitaria.
4.2.2. L'interpretazione di un atto negoziale costituisce un accertamento in fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, se non nella ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale di cui all'art. 1362 e segg. c.c. o di motivazione inadeguata, ovverosia non idonea a consentire la ricostruzione dell'iter logico seguito per giungere alla decisione (Cass. n. 14355/2016; Cass. n. 10554 del 30/04/2010, Cass. n. 22102 del 19/10/2009). Nel caso di specie, la compagnia ricorrente non ha lamentato che vi sia stata, da parte della Corte d'appello, una violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale, limitandosi a prospettare una diversa ed alternativa interpretazione dello stesso contratto.
4.2.3. Quanto alle ulteriori censure, va osservato che, nell'assicurazione della responsabilità civile, l'assicurato si cautela contro il rischio dell'alterazione negativa del suo patrimonio, in quanto l'assicuratore si impegna a tener indenne ed a reintegrare il patrimonio dell'assicurato attraverso il pagamento di una somma di danaro pari all'esborso dovuto dall'assicurato stesso in conseguenza di un fatto colposo a lui addebitato, anche se dovuto a colpa grave. Fondamento dell'obbligazione di risarcire il danno, a norma dell'art. 1917, comma 1, c.c., infatti, è l'imputabilità del fatto dannoso a titolo di colpa, mentre sono esclusi dalla garanzia assicurativa unicamente i danni derivanti da fatti dolosi dell'assicurato (Cass. civ., Sez. II, 25/09/2019, n. 23948). Non risulta, pertanto, applicabile, nella specie, la norma di cui all'art. 1900, comma 1, c.c., che esclude dalla garanzia i fatti addebitabili per colpa grave, dettata per il differente caso dell'assicurazione della responsabilità contro i danni, nella quale l'interesse dell'assicurato, ai sensi dell'art. 1904 c.c., è il risarcimento del danno subito da un proprio determinato bene in conseguenza di un sinistro.
4.2.4. Pertanto, correttamente la Corte d'appello ha ritenuto di non poter valorizzare, al fine di escludere l'operatività della manleva, la condotta colposa della struttura sanitaria.
Ne' al riguardo rileva la condotta dolosa del B., in quanto, da un lato, l'art. 1917, comma 2, c.c. esclude dalla garanzia assicurativa unicamente i danni derivanti da fatti dolosi dell'assicurato (e quindi, nel caso di specie, della struttura sanitaria che invoca la manleva), dall'altro, nelle condizioni generali del contratto di assicurazione sottoscritto inter partes (art. 2) era espressamente previsto che la copertura assicurativa fosse estesa alla responsabilità civile derivante da fatto colposo o doloso di persone del cui operato la struttura sanitaria fosse stata chiamata a rispondere.
4.3. Con il terzo motivo del ricorso principale, la compagnia assicuratrice lamenta la "violazione, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, del/'art. 116 c.p.c.".
La decisione della Corte d'appello sarebbe viziata da manifesta illogicità nella parte in cui ha ritenuto che le dimissioni del minore in data 4 giugno 2008 da parte del Dott. B. costituissero il probabile antecedente causale della sua attuale condizione patologica. In particolare, sarebbe contraddittoria la tesi dei CTU, fatta propria dai giudici del merito, secondo cui, se il 4 giugno 2008 fosse stata tempestivamente diagnosticata l'infezione, si sarebbe potuto impostare un'adeguata terapia farmacologica che avrebbe evitato gli importanti reliquati che oggi gravano sul paziente.
Sarebbe infatti pacifico che l'infezione, al momento del primo accesso al pronto soccorso, fosse già in atto da almeno 15 giorni, e pertanto, anche se la diagnosi fosse stata corretta fin da quella data, la terapia non avrebbe comunque potuto essere impostata in maniera precoce. Di conseguenza, il comportamento del medico, al momento del contatto con il paziente, non avrebbe più potuto avere alcuna rilevanza causale per prevenirne, modificarne o migliorarne la condizione patologica.
La sentenza impugnata avrebbe così fatto proprie, acriticamente, le conclusioni dei CTU, nonostante i CTP avessero contestato l'efficacia risolutiva della terapia antibatterica ed avessero documentato l'esistenza di studi che evidenziavano la mancanza di qualsivoglia correlazione tra la precocità della terapia e i danni riportati. Tali ultimi studi sarebbero stati disattesi perché ritenuti più risalenti nel tempo rispetto ad altri, che però non erano stati nemmeno allegati, e in ogni caso erano posteriori rispetto ai fatti di causa.
4.3.1. Il motivo è inammissibile.
In sede di ricorso per cassazione, una questione di violazione e falsa applicazione dell'art. 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo allorché si alleghi che quest'ultimo abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti, invece, a necessaria valutazione (Cass. 27.12.2016 n. 27000; Cass. 19.6.2014 n. 13960; Cass. Sez. Un. 20867 del 30.09.2020).
Nella sua più intima sostanza, il motivo si traduce, in realtà, in una doglianza di merito rispetto all'accertamento della responsabilità del medico, incensurabile in questa sede in quanto adeguatamente motivato dalla Corte facendo riferimento alle risultanze della CTU medico-legale pur dando atto delle critiche dei CT di parte, a cui i consulenti avevano offerto specifica risposta, confermando le proprie valutazioni.
5. Con il primo motivo del ricorso incidentale, i signori M. e M. deducono, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la "manifesta ed irriducibile contraddittorietà della sentenza in relazione alla costituzione della rendita vitalizia in favore di M.F.".
Secondo i ricorrenti incidentali, la sentenza sarebbe contraddittoria in quanto, pur avendo rigettato la richiesta di riduzione dell'entità del risarcimento riconosciuto al figlio F. a causa della sua minore aspettativa di vita, ritenendola determinata proprio dalle colpevoli omissioni delle controparti, avrebbe poi in concreto consentito loro di giovarsi della propria condotta, applicando un criterio di liquidazione che, implicitamente, consentiva la predetta riduzione, tenuto conto della ridotta aspettativa di vita del minore.
Inoltre, la Corte d'appello non avrebbe spiegato adeguatamente la ragione per cui la costituzione di una rendita di modesta entità mensile fosse maggiormente indicata a far fronte alle concrete esigenze del minore, il quale, trovandosi in stato vegetativo permanente, affetto da paralisi cerebrale, encefalopatia epilettica resistente a terapia, grave scoliosi nEurologica evolutiva già sottoposta a due interventi nel 2014-2015, aveva necessità di un'assistenza specialistica continuativa.
5.1. Con il secondo motivo del ricorso incidentale, si lamenta "violazione di legge, ex art. 360, comma 1, n. 3 in relazione all'art. 46 lett. c) T.U.R., nella parte in cui la sentenza applicava un erroneo coefficiente per il calcolo della costituzione della rendita vitalizia in favore di M.F.".
5.2. Le censure mosse alla sentenza impugnata, nella sostanza, sono volte, rispettivamente, a censurare l'an e il quomodo della soluzione adottata dal giudice di appello.
5.2.1. La doglianza con cui si lamenta la "contraddittorietà" della sentenza in relazione alla costituzione di una rendita in favore dell'avente diritto è infondata. E' invece fondata la censura con la quale si prospetta un error in iudicando nella concreta determinazione della detta rendita.
5.3. Il primo motivo, difatti, pur prescindendo dai non marginali profili di inammissibilità che esso presenta nell'evocare il vizio di cui all'art. 360 c.p.c., n. 5, non appare meritevole di accoglimento nella parte in cui censura la scelta in sé di procedere ad una liquidazione del danno in forma di rendita.
L'art. 2057 c.c., infatti, rimette al prudente apprezzamento del giudice la scelta della forma di liquidazione del danno permanente alla persona, perché capitale e rendita si equivalgono per l'ordinamento civilistico. Il giudice è dunque libero di optare ex officio per lo strumento di cui all'art. 2057 c.c., purché determini la rendita in modo tecnicamente corretto.
Pertanto, nessuna contraddittorietà emerge dalla decisione con cui la Corte d'appello, da un lato, ha ritenuto corretta la quantificazione del danno compiuta dal primo giudice, e dall'altro ha ritenuto di liquidare tale pregiudizio in forma di rendita.
Presupposto esplicito della censura mossa dai ricorrenti incidentali è quello per cui la liquidazione in forma di rendita, cessando con la morte del beneficiario, "agevolerebbe" il responsabile del fatto illecito in tutti i casi in cui proprio la gravità delle lesioni provochi una ridotta aspettativa di vita per la vittima, determinando una riduzione dello stesso risarcimento, e così, de facto, "soddisfacendo le domande e le eccezioni avversarie, senza poi spiegare il motivo per il quale una somma una tantum sia inidonea a far fronte ai bisogni del minore, a differenza della costituzione di una rendita" (così ai ff. 24 e 25 del ricorso).
5.3.1. Tale presupposto, tuttavia, non è conforme a diritto.
Qualora il danno sia stato liquidato in forma di rendita, dopo aver determinato la somma capitale, occorre tenerne distinte due diverse componenti: il coefficiente per la costituzione della rendita (ovvero il criterio di calcolo), e la durata della stessa.
Il coefficiente di costituzione della rendita deve corrispondere - secondo quanto di qui a breve si dirà - all'età effettiva del danneggiato al momento del sinistro - ed avrà riferimento alla durata media della vita - calcolato sul presupposto che, secondo le statistiche mortuarie attuali, un ventenne ha una aspettativa di vita di sessant'anni, un quarantenne di quaranta ed un sessantenne di venti.
Nel caso di specie, la Corte territoriale ha tenuto fermo, confermandolo, l'importo liquidato in prime cure (1.219.355 Euro) come base di calcolo: allorché si tratti di determinare il capitale da cui ricavare la rendita, la minore speranza di vita della vittima non viene in rilievo, e nessun vantaggio ne trarrebbe il responsabile, qualora quella minor speranza di vita sia stata determinata, come nella specie, dalla sua condotta illecita.
Tuttavia, una volta determinato il capitale con riferimento alla durata media della vita, e non a quella presumibile nel caso concreto, una volta detratti gli eventuali acconti versati prima della sentenza (che andranno rivalutati e detratti dal capitale stesso posto a base di calcolo della rendita), e una volta convertito tale capitale in rendita, il diritto a ricevere quest'ultima matura de die in diem, ed ogni rateo di rendita compensa il pregiudizio sofferto dalla vittima nel corrispondente arco di tempo.
Se dunque la vittima venisse a mancare ante tempus, con la sua morte cesserebbe il pregiudizio permanente e, cessando il pregiudizio, non sarebbe concepibile la ulteriore pretesa di continuare ad esigere un risarcimento.
5.3.2. Quando alla doglianza in ordine alla "mancata specificazione di quali fossero le particolari condizioni della parte danneggiata in relazione all'entità e alla natura del danno, tali da consigliare la costituzione di una rendita piuttosto che la corresponsione di una somma capitalizzata" (così al folio 25 del ricorso), osserva il collegio - premessane la sostanziale infondatezza - che il ricorrente pone la questione, di più ampio respiro, affrontata di rado dalla giurisprudenza di merito (Trib. Milano 27 gennaio 2015, Trib. Bergamo 24 febbraio 2016 n. 679, Trib. Gorizia 18 luglio 2017, n. 273, Trib. Lecce, 1 luglio 2019 n. 2275, Trib. Milano 14 maggio 2019) e da questo stesso giudice di legittimità (sia pur in tema di danno patrimoniale: Cass. 24451/2005), relativa alla corretta applicazione dell'art. 2057 c.c. sotto il profilo dei rapporti tra risarcimento capitalizzato e risarcimento sotto forma di rendita, dei conseguenti poteri del giudice, dei criteri di scelta tra l'una e l'altra forma di liquidazione del danno.
5.3.3. L'universo del danno grave alla persona rappresenta (dovrebbe rappresentare) il terreno d'elezione per un risarcimento in forma di rendita - l'unico che consenta di considerare adeguatamente, sotto molteplici aspetti, tra cui quello dell'effettività della tutela e della giustizia della decisione - l'evoluzione diacronica della malattia (ovvero la sua guarigione, se possibile), così che l'antinomia tra l'astratta efficacia di tale strumento risarcitorio e la sua (mancata) applicazione in concreto appare segnata, in premessa, da una sorta di sostanziale quanto non giustificabile "diffidenza" nei suoi confronti.
5.3.4. Non costituisce presupposto ex lege per l'applicazione dell'art. 2057 c.c. l'istanza dell'avente diritto. La norma, difatti, ha configurato la liquidazione della rendita non come un diritto della parte, ma come una facoltà del giudice, il quale può provvedervi, anche in appello, in via autonoma - non integrando tale scelta gli estremi "della questione rilevabile d'ufficio" ex art. 101 comma 2 c.p.c., ma caratterizzandosi soltanto per una diversa determinazione della forma del risarcimento -. Pertanto, abbia o non abbia la parte chiesto la liquidazione della rendita, e quand'anche abbia espressamente dichiarato di rifiutare tale forma di liquidazione, sarà sempre in facoltà del giudice provvedere in tal senso, con giudizio incensurabile in cassazione se non per illogicità della motivazione (nei limiti in cui la censura sia ancora consentita dall'art. 132 c.p.c., secondo quanto stabilito dalle sezioni unite di questa Corte con la sentenza n. 8053 del 14) o per errore di diritto (Cass. 20.2.1958 n. 553, Cass. 7.3.1966 n. 658, Cass. 24.5.1967 n. 1140), come, ad esempio, allorché il calcolo della rendita non rispetti il disposto dell'art. 1223 c.c., oppure non si accompagni alle adeguate cautele prescritte dall'art. 2057 c.c..
5.3.5. Parimenti destituita di fondamento deve ritenersi l'affermazione per cui, attraverso la liquidazione di una rendita, il danneggiante si avvantaggerebbe delle conseguenze del proprio atto illecito - perché la vita media di chi ha subito danni alla persona sarà verosimilmente più breve rispetto a quella delle persone sane - che appare fondarsi su un evidente paralogismo, come si è già osservato in precedenza e come meglio si dirà nel corso dell'esame del secondo motivo del ricorso incidentale. Capitale e rendita costituiscono, difatti, due diverse forme di erogazione del medesimo valore, essendo il denaro un bene per definizione fruttifero, del quale sarà fruibile il valore d'uso (la rendita), ovvero il valore di scambio (il capitale), non diversamente da quanto accade per il godimento di un bene immobile, che potrà essere venduto o locato ricavando redditi diversi, ma che costituiscono pur sempre forme alternative di realizzazione del suo valore.
5.3.6. Riparare il pregiudizio derivante da una grave lesione della salute attraverso la costituzione di una rendita quale forma privilegiata di risarcimento consente di cogliere appieno la proiezione diacronica di tutte le componenti del danno che, di giorno in giorno, il danneggiato avrebbe subito dal momento dell'evento in poi. Ne consegue - va ripetuto - che, ove venga (correttamente) adottata tale forma risarcitoria, il valore della rendita dovrà essere computato tenendo conto non delle concrete speranze di vita del danneggiato, bensì della vita media futura prevedibile secondo le tavole di mortalità elaborate dall'ISTAT, a nulla rilevando che, nel caso concreto, egli abbia speranza di sopravvivere solo per pochi anni, ovvero che non risulti oggettivamente possibile determinarne le speranze di sopravvivenza, qualora tale ridotta speranza di sopravvivenza sia conseguenza dell'illecito.
5.3.7. Perdono così fondamento le critiche circa una presunta immoralità di tale scelta, che si risolverebbe in un vantaggio del danneggiante, volta che, da un lato, e per definizione, risarcendo il danno biologico permanente (e il danno morale ad esso conseguente, se provato), si risarciscono per equivalente tutte le conseguenze dannose dell'illecito che il danneggiato sarà costretto a sopportare, giorno per giorno, sino alla fine della sua vita; dall'altro, allo spirare dell'esistenza, di danno biologico e morale del soggetto leso non è più dato discorrere.
5.3.8. Nel caso in cui la minor durata della vita dovesse risultare conseguenza dell'evento lesivo (Le. ove si accerti un nesso causalmente rilevante tra le lesioni e le ridotte aspettative di vita, ovvero tra le lesioni e la morte precoce, se già verificatasi al momento dell'instaurazione del giudizio), non va, per altro verso, dimenticato che il responsabile dell'unico evento lesivo ascrittogli sarà chiamato altresì a risarcire, jure proprio, il danno (parentale e patrimoniale) subito dai genitori del minore, in relazione all'intero periodo di presumibile vita del minore - ciò che è puntualmente accaduto nel caso di specie, avendo la Corte milanese riconosciuto, a tale titolo, la complessiva somma di 331.920 Euro per ciascuno dei genitori.
5.3.9. In caso di morte precoce del danneggiato, occorre, pertanto, distinguere:
a) se la morte anticipata è stata causata dalle lesioni, il responsabile sarà chiamato a risarcire, oltre al danno biologico e morale, possibilmente in forma di rendita, subito dal danneggiato nel periodo di tempo compreso tra il sinistro e la morte, anche, ed onnicomprensivamente, il danno iure proprio subito dai genitori, in relazione alla ridotta aspettativa di vita ed al presumibile periodo di vita del minore;
b) se la morte non è stata causata dalle lesioni, il responsabile dovrà risarcire il danno biologico subito dal danneggiato valutato al tempo della commissione dell'illecito, oltre al danno da lesione del rapporto parentale in favore dei genitori.
5.3.10. Ne consegue che il responsabile, versando una somma periodica al danneggiato, non lucra alcuno "sconto" sul risarcimento, in quanto:
a) se la durata della vita del danneggiato è maggiore rispetto alla durata della vita media, sarà il danneggiato stesso a realizzare un lucro;
b) se la durata della vita del danneggiato sarà, in concreto o presumibilmente, inferiore alla durata della vita media, e ciò a causa delle lesioni, il responsabile sarà tenuto a risarcire il danno sotto forma di rendita - la cui base di calcolo si fonderà non sulla speranza di vita in concreto, bensì su quella media di un soggetto sano - oltre al danno parentale subito dai genitori in conseguenza dell'illecito;
c) se il danneggiato avrà una vita di durata inferiore alla media, ma ciò avviene per cause del tutto indipendenti dalle lesioni, il responsabile che cessa di pagare la rendita non realizza alcun "vantaggio" patrimoniale, poiché, il risarcimento cessa perché cessa il danno.
5.3.11. Emerge allora con tutta evidenza la non condivisibilità, in tema di risarcimento liquidato attraverso l'attribuzione di una rendita, delle considerazioni fondate su valutazioni di tipo morale di una tecnica risarcitoria. Se la storia recente della responsabilità civile ha indotto tanto la prevalente dottrina quanto la più attenta giurisprudenza (per tutte, Cass. 26301/2021) ad evidenziare non pochi punti di contatto tra etica e diritto, segnatamente in tema di danni alla persona, la simmetria di tale relazione trae linfa dall'applicazione delle cc.dd. clausole generali (il principio di correttezza, di equità, di buona fede, di diligenza) e dal costante riferimento al dettato costituzionale. Al di fuori del pur vasto territorio dei principi, specie costituzionali, non sembra legittimamente predicabile alcuna considerazione di "moralità" con riferimento a specifiche previsioni di legge, quando le forme del risarcimento rispondano tout court (come nel caso della rendita) a principi di effettività, di bilanciamento, di giustizia delle decisioni.
5.3.12. Quanto al profilo funzionale dell'istituto, va rammentato come la rendita vitalizia, prevista dall'art. 1872 c.c., sia un contratto aleatorio che da vita ad un rapporto di durata, la cui disciplina risulta essenzialmente unitaria, applicandosi ad ogni rendita vitalizia, comunque costituita, che non sia assoggettata dalla legge ad una disciplina speciale. La rendita costituita ex art. 2057 c.c. sarà, pertanto, disciplinata dagli artt. 1872 ss. c.c., con rilevanti conseguenze poste a tutela delle ragioni del creditore, in quanto: a) il debitore non può liberarsi dall'obbligazione offrendo i pagamento di un capitale (art. 1879 co. I c.c.); b) il debitore non può invocare la risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta (art. 1879 co. H c.c.); c) in caso di inadempimento del debitore, il creditore della rendita può far sequestrare e vendere i beni dell'obbligato (art. 1878 c.c.).
5.3.13. Tecnicamente, la costituzione di una rendita in favore del danneggiato può avvenire in vari modi, di tal che il giudice potrà, in alternativa alle "cautele" previste per legge (come la stipula di una polizza fideiussoria da parte dell'obbligato), disporre l'acquisto di titoli del debito pubblico in favore dell'avente diritto, ovvero la stipulazione, in suo favore, di una polizza sulla vita a premio unico ex art. 1882 c.c..
5.3.14. E' stato opportunamente e condivisibilmente osservato come, nel caso di macroinvalidità (specie se comportino la perdita della capacità di intendere e di volere), in quello di lesioni subite da un minore per il quale una prognosi di sopravvivenza risulti estremamente difficoltosa se non impossibile, in quello di lesioni inferte a persone socialmente deboli o descolarizzate (richiedenti asilo, disabili mentali o anche semplicemente macrolesi i quali già prima del sinistro si trovassero in profondo conflitto con i familiari), ovvero ancora con riguardo alle qualità del debitore (una compagnia di assicurazione, piuttosto che un privato o una pubblica amministrazione), sussista il serio rischio che ingenti capitali erogati in favore del danneggiato possano andare colpevolmente o incolpevolmente dispersi, in tutto o in parte, per mala fede o per semplice inesperienza dei familiari del soggetto leso. In simili casi il giudice, valutando comparativamente i pro ed i contro del caso concreto, ben potrà, se non addirittura dovrà, privilegiare una liquidazione del danno in forma di rendita, come correttamente deciso dalla Corte d'appello.
5.3.15. Deve ritenersi astrattamente ammissibile l'ipotesi di una revisione della rendita, oltre che di proposizione di una nuova e diacronica domanda risarcitoria in presenza di aggravamenti che non fossero accertabili né prevedibili al momento della pronuncia (sulla legittimità della nuova domanda in costanza di tali circostanze, Cass. 20 marzo 2017 n. 7038; 4 novembre 2014 n. 23425; 12 ottobre 2011 n. 20981; 31 maggio 2005 n. 11592). In particolare, con la sentenza di cui a Cass. 27 dicembre 2016 n. 27031, che ha esaminato funditus la questione, si è affermato che, ai fini dell'instaurazione di un nuovo giudizio, è necessario che la parte individui specificamente " gli elementi idonei (...) a consentire la revisione della liquidazione del danno a causa di aggravamenti successivi e sopravvenuti alla formazione del giudicato ", che sono da ricondurre " (a) ad un'obiettiva impossibilità di accertare, al momento della prima liquidazione, fattori attuali capaci, nell'ambito di una ragionevole previsione, di determinare l'aggravamento futuro; (b) all'impossibilità, ancora con riferimento alla prima liquidazione, di prevederne gli effetti; (c) all'insussistenza di un evento successivo avente efficacia concausale dell'aggravamento ". L'instaurazione di un nuovo giudizio è quindi possibile, quando non si violino i principi del giudicato e del dedotto e deducibile, nelle ipotesi in cui la sentenza non abbia statuito su quel profilo nuovo di danno (e non sul suo prevedibile aggravamento), e le osservazioni e le pretese ad esso legate non avrebbero potuto essere dedotte all'interno del primo processo. Applicando tali principi alla rendita vitalizia, deve pertanto ammettersi la possibilità di una sua revisione nei limiti in cui è ammesso adire il giudice in ragione dell'insorgere di danni del tutto imprevedibili e non accertabili al momento del primo giudizio.
5.3.16. Con riguardo al problema della possibilità di adeguamento della rendita (che parte della dottrina identifica come una delle ragioni della scarsa applicazione dell'istituto, sottolineando come, in virtù del principio nominalistico che governa le obbligazioni pecuniarie, il potere di acquisto dell'importo dovuto periodicamente possa risultare eroso a causa della svalutazione monetaria), osserva il collegio come non sia precluso al giudice, in applicazione delle "cautele" consentite dalla norma, prevedere ex ante dei meccanismi di adeguamento rispetto al potere di acquisto della moneta in quanto, in assenza di tali meccanismi, il risarcimento non sarebbe integrale, così come condivisibilmente affermato da una parte della giurisprudenza di merito (Trib. Milano 9 maggio 2017, e 14 maggio 2019, Trib. Lecce 1 luglio 2019 n. 2275, che adottano il criterio della rivalutazione annuale secondo l'indice dei prezzi al consumo armonizzato per i Paesi membri dell'Unione Europea (IPCA); Trib. Palermo 5 luglio 2017 e Trib. Gorizia 18 luglio 2017, n. 273, che fanno riferimento al FOI-Indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati elaborato dall'Istat).
5.3.17. La liquidazione in forma di rendita non sarà, viceversa, in alcun modo opportuna nel caso in cui le lesioni siano di lieve o media entità, in quanto il relativo gettito sarebbe così esiguo da non arrecare alcuna sostanziale utilità al danneggiato.
5.3.18. Per concludere sul punto, va fatto brevemente cenno alle indicazioni contenute, sia pur de iure condendo, nei Principles of European Tort Law (PETL) e nel Draft Common Frame of Reference (DCFR).
5.3.18.1. Quanto ai primi, l'art. 10:102 prevede che "i danni sono liquidati in somma capitale o con pagamenti periodici quando ciò appaia più appropriato con particolare riguardo all'interesse del danneggiato" attribuendosi in tal modo al giudice la discrezionalità di liquidare il danno attraverso pagamenti periodici o tramite un'unica somma, ma poi specificandosi, significativamente, che i pagamenti periodici possono essere particolarmente utili incaso di danni permanenti, e che appare opportuno che la somma dovuta possa essere "adapted to a worsening or an improvement of the situation of the victim".
5.3.18.2. Quanto al Draft Common Frame of Reference, l'art. 6:203 del capitolo 6, nel prevedere che "compensation is to be awarded as a lump sum un/ess a good reason requires periodicà payment " stabilisce una regola più elastica, privilegiando, peraltro, la liquidazione del danno attraverso una somma unica, mentre il risarcimento attraverso una somma periodica è prevista solo nel caso in cui vi sia una " buona ragione " che richieda la liquidazione attraverso la corresponsione periodica di una somma.
5.4. Esula dal perimetro imposto dal contenuto del motivo in esame la questione relativa al risarcimento del danno patrimoniale attraverso la costituzione di una rendita, che, sia detto incidentalmente, troverebbe a sua volta il proprio terreno d'elezione in caso di perdita o riduzìone del reddito da parte del danneggiato.
6. La censura mossa alla sentenza d'appello con il secondo motivo è invece fondata nella parte in cui deduce che la quantificazione della rendita da
parte della Corte d'appello sarebbe avvenuta con un criterio giuridicamente scorretto.
6.1. La decisione impugnata appare, difatti, erronea in diritto, anche se per una ragione diversa da quella invocata dal ricorrente. Ma tale circostanza non appare decisiva, ai fini dell'accoglimento del motivo, alla luce del principio ripetutamente affermato da questa Corte, secondo il quale il giudice di legittimità, "in virtù del principio jura novit curia, può ritenere fondato il ricorso anche per una ragione giuridica diversa da quella indicata dalla parte e individuata d'ufficio, con il solo limite che tale individuazione deve avvenire sulla base dei fatti per come accertati nelle fasi di merito ed esposti nel ricorso per cassazione e nella sentenza impugnata" (così Sez. 3, Sentenza n. 19132 del 29/09/2005; Sez. 3, Sentenza n. 20328 del 20/09/2006; Sez. 5, Sentenza n. 24183 del 13/11/2006; Sez. 3, Sentenza n. 6935 del 22/03/2007; Sez. 3, Sentenza n. 4994 del 26/02/2008; Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 10841 del 17/05/2011; Sez. 6 - 3, Sentenza n. 3437 del 14/02/2014; Sez. 3 -, Ordinanza n. 18775 del 28/07/2017; Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 26991 del 05/10/2021).
6.2. Osserva il collegio che, riconosciuta al giudice di merito la facoltà di liquidare il danno in forma di rendita (se del caso, come opzione risarcitoria privilegiata), incombe poi su quello stesso giudice l'onere di assicurare che la rendita restituisca un valore finanziariamente equivalente al capitale da cui è stata ricavata, per l'intera durata della vita del beneficiario.
6.3. La conversione di un capitale in una rendita avviene dividendo il primo per un coefficiente per la costituzione delle rendite vitalizie: assunta a base di calcolo la somma capitale (come correttamente individuata, nella specie, dalla Corte di appello) la scelta del coefficiente per la costituzione d'una rendita vitalizia da parte del giudice di merito incontra alcuni limiti. Poiché la rendita deve essere equipollente al capitale, difatti, il coefficiente prescelto dovrà essere: a) scientificamente fondato; b) aggiornato; c) corrispondente all'età della vittima alla data dell'infortunio; d) progressivo, cioè variabile in funzione (almeno) di anno, se non di frazione di anno.
6.3.1. Tutti questi requisiti concorrono a garantire il rispetto del precetto di cui all'art. 1223 c.c., e cioè la corrispondenza - indagata sulla base di un criterio di causalità giuridica - tra le conseguenze dannose risarcibili, e direttamente e immediatamente riconducibili all'evento di danno (a sua volta riconducibile ad una condotta colpevole sulla base di un nesso di causalità materiale) e il risarcimento accordato in concreto.
6.4. Nel caso di specie, la Corte d'appello ha ritenuto di costituire la rendita in favore della vittima dividendo il capitale per il coefficiente di cui all'art. 46, lettera (c), D.P.R. n. 26.4.1986 n. 131: tale coefficiente è dettato dalla legge al fine di determinare la base imponibile dell'imposta di registro dovuta per gli atti di costituzione di rendite vitalizie, ed è stato periodicamente aggiornato con successivi decreti ministeriali.
6.4.1. Il coefficiente di cui si discorre, concepito per la liquidazione di una imposta, ha, peraltro, una progressione non corrispondente all'età del beneficiario. Esso infatti è invariato per le persone di età compresa tra O e 20 anni; aumenta ogni dieci anni fino a 40 anni; quindi aumenta con cadenza progressivamente decrescente (ogni quattro, ogni tre, ogni due anni) fino a 78 anni; da tale età in poi torna a crescere con cadenze più distanziate (ogni tre, ogni quattro, ogni cinque anni), fino a 99 anni.
6.4.2. Un coefficiente così strutturato non è rispettoso del precetto di cui all'art. 1223 c.c., perché, se liquidato per il risarcimento del danno da invalidità permanente finirebbe - esemplificando - per accordare ad un ventenne lo stesso risarcimento dovuto ad un neonato, e ad un quarantenne lo stesso risarcimento dovuto ad un trentenne.
6.4.3. Non pare superfluo aggiungere, sia pur ad abundantiam, che il coefficiente di cui al D.P.R. n. 131 del 1986 art. 46, lettera (c), cit., restituisce il valore capitale d'una rendita se moltiplicato per il rateo annuo di essa; ciò vuoi dire che, sulla base del valore capitale, la divisione di questo per il coefficiente suddetto restituisce il rateo annuale, e non mensile, della rendita - come invece ritenuto dalla Corte d'appello, con errore in bonam partem, non censurato dal debitore, e comunque assorbito dall'accoglimento in parte qua del motivo di ricorso in esame.
6.5. A quanto esposto consegue che, qualora il giudice ritenga di liquidare il danno in forma di rendita, dovrà procedere, in concreto:
a) a quantificare il danno in somma capitale, avuto riguardo all'età della vittima al momento del sinistro, sulla base delle tabelle di mortalità e senza tener conto della sua eventuale ridotta aspettativa di vita, qualora quest'ultima risulti conseguenza dell'illecito;
b) ad individuare un coefficiente di capitalizzazione fondato su corrette basi attuariali, aggiornato e corrispondente all'età della vittima al momento dell'evento;
c) a dividere la somma capitale per il coefficiente di capitalizzazione;
d) a dividere ancora (eventualmente) per dodici il rateo annuo, se intenda liquidare una rendita mensile invece che annuale.
6.6. Va ancora osservato, in proposito, come le stesse le tabelle INAIL per gli infortuni mortali sul lavoro allegata al D.M. n. 1 aprile 2008 e successive modifiche, basata su stime aggiornate dell'aspettativa di vita media, non costituiscano un criterio sicuramente corretto per la determinazione di coefficienti di capitalizzazione conformi all'art. 2057 c.c.., poiché prevedono coefficienti diversi a seconda del grado di invalidità permanente, - di tal che, esemplificando, un invalido al 70% di 50 anni avrà diritto ad una rendita calcolata su un coefficiente dimezzato rispetto a un invalido al 15 % di 50 anni. Si applicano, in altri termini, a parità di età, coefficienti inversamente proporzionali al grado di I.P. (sul presupposto che più alta è l'invalidità, minore è la speranza di vita), mentre, come già più volte evidenziato, della ridotta speranza di vita non si deve tenere conto, nella scelta del coefficiente, qualora essa dipenda dal fatto illecito del danneggiante.
6.7. La scelta del coefficiente sarà, pertanto, oggetto di valutazione e di scelta discrezionale da parte del giudice di merito, fermi i parametri poc'anzi indicati. Un utile riferimento "paranormativo" può, peraltro, essere rappresentato da quello a suo tempo suggerito per la liquidazione del danno da incapacità lavorativa diffusi dal Consiglio Superiore della Magistratura ed allegati agli Atti dell'Incontro di studio per l'magistrati, svoltosi a Trevi il 30 giugno - 1 luglio 1989 (in Nuovi orientamenti e nuovi criteri per la determinazione del danno, Quaderni del CSM, 1990, n. 41, pp. 127 e ss.) indicati, tra le altre, da Cass. 20615/15).
7. Con il terzo motivo del ricorso incidentale, si lamenta, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell'art. 92, comma 2, c.p.c. per avere la sentenza impugnata erroneamente compensato le spese di lite del grado di appello tra i signori M.' e M.' e la ASST (Omissis).
La censura risulta assorbita per effetto dell'accoglimento del secondo motivo del ricorso.
8. La sentenza deve conseguentemente essere cassata nei limiti di cui in motivazione, con rinvio del procedimento alla Corte d'Appello di Milano che, in diversa composizione, applicherà i suesposti principi di diritto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale; accoglie il secondo motivo del ricorso incidentale, con assorbimento del terzo, ne rigetta il primo, cassa, in relazione al motivo accolto, la sentenza impugnata e rinvia il procedimento, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di cassazione, ad altra Sezione della Corte di Appello di Milano.
Così deciso in Roma, il 9 marzo 2022.
Depositato in Cancelleria il 25 ottobre 2022.