LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ESPOSITO Lucia – Presidente –
Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere –
Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –
Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –
Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 13577-2020 proposto da:
G.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE, 9, presso lo studio dell’avvocato CARLO RIENZI, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 4489/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 20/12/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 21/09/2021 dal Consigliere Relatore Dott. ANNALISA DI PAOLANTONIO.
RILEVATO
che:
1. la Corte d’Appello di Roma ha respinto l’appello di G.A. avverso la sentenza del Tribunale di Velletri che aveva accolto solo parzialmente il ricorso proposto nei confronti del Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca e, accertato il diritto della docente assunta a tempo determinato a vedersi riconoscere, ai fini della quantificazione del trattamento economico, l’anzianità di servizio maturata sulla base di contratti a termine, aveva rigettato le ulteriori domande di conversione del rapporto e di risarcimento del danno, formulate in relazione al dedotto carattere abusivo della reiterazione dei rapporti a tempo determinato;
2. il giudice d’appello, premesso che si era formato il giudicato interno quanto alla domanda accolta, ha richiamato i principi di diritto affermati da Cass. n. 22557 del 2016 ed ha rilevato che nel periodo dedotto in giudizio la G. aveva prestato attività di insegnamento sulla base di supplenze il cui termine finale era stato fissato al 30 giugno, sicché ha escluso l’illegittimità degli incarichi e, di conseguenza, ha ritenuto infondata anche la domanda di risarcimento del danno;
3. per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso G.A. sulla base di un unico motivo, al quale ha replicato con controricorso il Ministero;
4. la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata notificata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in Camera di consiglio non partecipata.
CONSIDERATO
che:
1. con l’unico motivo di ricorso la ricorrente, dopo avere argomentato in premessa sull’ammissibilità della censura, denuncia violazione e falsa applicazione della Dir. 1999/70/CE e dell’Accordo Quadro alla stessa allegato, del D.Lgs. n. 368 del 2001, artt. 1, 4 e 5, del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, e sostiene, in sintesi, che anche gli incarichi conferiti per la copertura di posti su “organico di fatto” soddisfano esigenze stabili e durevoli nel tempo, non temporanee, sicché la reiterazione, nella specie protrattasi per circa un decennio, deve essere efficacemente sanzionata, quanto meno riconoscendo al lavoratore il risarcimento del danno, da liquidare sulla base del parametro indicato dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 5072/2016;
2. il ricorso deve essere dichiarato inammissibile ex art. 360 bis c.p.c., n. 1, perché la sentenza impugnata ha deciso la questione di diritto in modo conforme alla giurisprudenza, ormai consolidata, di questa Corte e le censure non offrono elementi per mutare l’orientamento, tanto più che le stesse si incentrano su richiami a precedenti della giurisprudenza di merito e di legittimità ormai superati in quanto antecedenti alla pronuncia n. 22552 del 2016, ed alle numerose successive conformi;
3. in particolare la ricorrente svolge diffuse: argomentazioni sulle ragioni per le quali l’abuso deve essere adeguatamente sanzionato ma, quanto alla legittimità dei termini apposti al contratto, affermata dal giudice d’appello e logicamente preliminare rispetto alla questione del risarcimento del danno, non si confronta con le ragioni per le quali, a partire dalla sentenza sopra richiamata, questa Corte, sulla base delle indicazioni fornite dalla Corte di Giustizia e alla luce della dichiarazione di incostituzionalità della L. n. 124 del 1999, art. 4, limitata alle sole supplenze annuali, ha evidenziato che quanto alle supplenze su organico di fatto non è sufficiente la sola reiterazione, anche se protrattasi per più anni, a fare ritenere assenti le ragioni oggettive che giustificano il ricorso al rapporto a tempo determinato;
3.1. è utile ricordare che nella motivazione della richiamata sentenza n. 22552 del 2016, alla quale si rinvia ex art. 118 disp. att. c.p.c., ai punti da 98 a 102 si è posto l’accento sulla complessità e sulla pluralità dei fattori che annualmente devono essere apprezzati ai fini della formazione delle classi e delle cattedre e si è valorizzata la giurisprudenza della Corte di Lussemburgo secondo la quale può costituire ragione obiettiva anche la necessità “di organizzare il servizio scolastico in modo da garantire un adeguamento costante tra il numero di docenti e il numero di scolari”, adeguamento che è legato ad “un insieme di fattori, taluni dei quali possono, in una certa misura, essere difficilmente controllabili o prevedibili, quali, in particolare, i flussi migratori esterni ed interni o le scelte di indirizzi scolastici da parte degli scolari” (Corte di Giustizia 26.11.2014 in cause C-22/13, da C-61/13 a C-63/13 e C-418/13, Mascolo, punto 94);
3.2. da ciò si è tratta la conseguenza che nelle organizzazioni complesse, quale è quella scolastica, non è valorizzabile la sola reiterazione dell’incarico per affermarne il carattere abusivo ed e’, invece, necessario che risultino quantomeno allegate circostanze dalle quali si possa desumere un uso distorto della tipologia contrattuale della supplenza sino al termine delle attività didattiche;
3.3. il ricorso si limita a sostenere, erroneamente, che la sola pluralità di contratti dimostrerebbe ex se l’utilizzo degli stessi per soddisfare esigenze di carattere permanenti, sicché lo stesso deve essere dichiarato inammissibile ex art. 360 bis c.p.c., n. 1, perché non offre argomenti che possano indurre a rimeditare l’orientamento espresso;
4. le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vanno poste a carico della ricorrente nella misura liquidata in dispositivo;
5. ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, si deve dare atto, ai fini e per gli effetti precisati da Cass. S.U. n. 4315 del 2020, della ricorrenza delle condizioni processuali previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto dalla ricorrente.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 3.000,00 per competenze professionali, oltre al rimborso delle spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 21 settembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 4 gennaio 2022