In tema di trattamento dei dati personali, la tutela spettante all'interessato, strettamente connessa ai diritti alla riservatezza e all'identità personale e preordinata a garantirne la dignità personale dell'individuo, ai sensi dell'art. 3 Cost., comma 1 e dell'art. 2 Cost., che si esprime nel cosiddetto "diritto all'oblio", consente, in conformità al diritto dell'Unione Europea, alle autorità italiane, ossia al Garante per la protezione dei dati personali e al giudice, di ordinare al gestore di un motore di ricerca di effettuare una deindicizzazione su tutte le versioni, anche extraEuropee, del suddetto motore, previo bilanciamento tra il diritto della persona interessata alla tutela della sua vita privata e alla protezione dei suoi dati personali e il diritto alla libertà d'informazione, da operarsi secondo gli standard di protezione dell'ordinamento italiano.
Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n. 34658 del 24/11/2022
FATTI DI CAUSA
1. Con provvedimento emesso il 26.10.2017 il Garante per la protezione dei dati personali (di seguito, semplicemente "Garante") ha accolto parzialmente il ricorso proposto da B.D., ordinando "a Google di rimuovere entro venti giorni gli URL oggetto di richiesta anche dalle versioni extraEuropee del motore di ricerca", previo accertamento del fatto che Google aveva già spontaneamente provveduto alla rimozione degli URL dalle versioni Europee del suo motore in accoglimento della richiesta dell'interessato.
L'Uniform Resource Locator, colloquialmente detto "indirizzo web", è un riferimento a una risorsa web come un sito, una pagina o un file specifico.
Il ricorrente B.D. aveva lamentato che il proprio "diritto all'oblio" era pregiudicato dalla perdurante diffusione nel web di notizie non aggiornate circa una vicenda giudiziaria in cui era stato coinvolto, conclusasi con decreto di archiviazione del giudice per le indagini preliminari per infondatezza della notizia di reato; con successiva memoria in corso di procedura del 20.10.2017 il ricorrente, dichiaratosi residente a (Omissis) e titolare di interessi professionali al di fuori dell'Europa, aveva chiesto di rendere effettiva la rimozione degli URL anche nelle versioni extraEuropee del motore di ricerca.
2. Con ricorso ex D.Lgs. n.196 DEL 2003 art. 152 del 21.12.2017 Google LLC, titolare e gestore del servizio Google Web Search, ha chiesto al Tribunale di Milano l'annullamento del provvedimento per vizi procedurali e ha contestato l'estensione globale dell'ordine di rimozione.
GOOGLE ITALY s.r.l., per parte sua, ha chiesto dichiararsi il proprio difetto di legittimazione passiva in quanto mera consulente nel settore marketing e pubblicità.
Il Tribunale di Milano con sentenza del 21.9.2020, dichiarato il difetto di legittimazione passiva di GOOGLE ITALY, ha parzialmente accolto il ricorso, limitando il provvedimento del 26.10.2017 all'ordine di rimozione degli URL sulle sole versioni nazionali del motore di ricerca corrispondenti agli Stati membri dell'Unione Europea.
Il Tribunale ha previamente disatteso le eccezioni procedurali; ha ritenuto applicabile ratione temporis alla fattispecie la Direttiva 95/46/CEE, superata solo in data 25.5.2018 dal Regolamento UE 2016/679 (Regolamento generale sulla protezione dei dati, in acronimo inglese GDPR, Generai Data Protection Reguiation); ha affermato che la legge italiana non prevedeva alcuna disposizione che permettesse l'applicazione extraterritoriale, e tantomeno globale, della legge sui dati personali e dei provvedimenti del Garante; ha censurato, poi, il mancato bilanciamento tra il diritto della persona interessata e il diritto alla libertà di informazione richiesto dal paragrafo 72 della decisione della Corte di Giustizia UE nella causa C-507 del 24.9.2019; ha infine osservato che il sig. B., rimasto contumace nel procedimento giurisdizionale, aveva formulato solo allegazioni molto generiche circa la natura e il fondamento del proprio interesse all'estensione globale della misura richiesta.
3. Avverso la predetta sentenza del 21.9.02, non notificata, con atto notificato il 19.3.2021 ha proposto ricorso per cassazione il Garante, nei confronti di Google LLC, GOOGLE ITALY e B.D., svolgendo tre motivi.
Con atto notificato il 28.4.2021 hanno proposto controricorso Google LLC e GOOGLE ITALY, chiedendo la dichiarazione di inammissibilità o il rigetto dell'avversaria impugnazione.
B.D. non si è costituito in sede di legittimità.
Entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa ex art. 380 bis-1 c.p.c. alla quale le controricorrenti hanno allegato un parere reso il 29.9.2021 dalla prof.ssa F.G., ordinaria di diritto privato e diritto di internet all'Università di Bologna.
RAGIONI DELLA DECISIONE
4. Preliminarmente in rito, la Corte rileva l'inammissibilità della produzione del parere della prof.ssa F.G. effettuata da parte delle controricorrenti in allegato alla memoria difensiva.
Innanzitutto, l'art. 372 c.p.c. non ammette il deposito dinanzi alla Corte di Cassazione di altri documenti che non siano stati prodotti nei precedenti gradi del processo, tranne quelli che riguardano la nullità della sentenza impugnata o l'ammissibilità del ricorso o del controricorso, ipotesi queste che non ricorrono evidentemente nella fattispecie.
Occorre poi aggiungere, per completezza, che il predetto parere è privo dei caratteri del cosiddetto parere pro veritate, inteso come parere conforme a verità, che costituisce una forma elaborata di consulenza legale, resa mediante un saggio avente ad oggetto l'analisi e la soluzione di un determinato problema giuridico, composta da un quesito vertente su una questione controversa e dà una risposta al quesito alla quale si perviene attraverso un percorso logico argomentativo in cui vengono esaminati in modo specifico i dati normativi atti a giustificare la soluzione accolta.
Il parere pro veritate inoltre è dichiaratamente redatto non nell'interesse del cliente, ma nell'interesse della verità e della legge. Nel caso di specie, il parere, pur esteso in termini apparentemente asettici e senza riferimenti al contenzioso concreto che impegna le parti, non reca la qualificazione pro veritate, e non contiene né formalmente, né sostanzialmente, alcuna dichiarazione che attesti la sua redazione nell'interesse della legge e non in una logica di parte.
Il parere de quo neppure può essere ritenuto un saggio dottrinale, poiché non si tratta di un documento pubblicato e sottoposto al dibattito scientifico ma redatto su specifico incarico professionale delle parti controricorrenti.
Siamo quindi di fronte a un atto difensivo, non proveniente da un difensore ritualmente investito di procura alla lite e quindi anche in questa prospettiva inammissibile.
Peraltro, il rilievo ha conseguenze effettive molto ridotte perché tutte le argomentazioni contenute nel parere della prof.ssa F. sono state trasfuse nella memoria depositata dai difensori ritualmente officiati, gli avvocati Berliri e Masnada, e quindi verranno tenute presenti dal Collegio ai fini della decisione.
Il Collegio ritiene opportuno enunciare al riguardo il seguente principio di diritto: "In tema di giudizio di legittimità dinanzi alla Corte di Cassazione, è inammissibile l'allegazione - alle memorie illustrative ex art. 378 e 380 bis-1 c.p.c. - di un parere giuridico sulle questioni di diritto agitate nella controversia, redatto da uno studioso del diritto diverso dai difensori ritualmente costituiti."
5. Con il primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c. n. 3, il Garante ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione del D.Lgs. n. 163 del 2006 art. 2, comma 1, art. 7, comma 3, lettera b), art. 8, art. 150, comma 2, e art. 154 nel testo applicabile ratione temporis in combinato disposto con gli artt. 1 e 8 della Carta dei diritti fondamentali della Unione Europea, dell'art. 2 Cost. e degli artt. 6,7 e 10 c.c.
Secondo il Garante, la sentenza violava il compendio normativo indicato laddove aveva negato la possibilità di una applicazione extraterritoriale delle norme dell'Unione e nazionali, che non era stata affatto esclusa dalla sentenza della Corte di Giustizia C-507/2017 del 24.9.2019.
6. Con il secondo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione del D.Lgs. n.163 del 2006 art. 2, comma 1, art. 7, comma 3, lettera b), art. 11, lettera e), nel testo applicabile ratione temporis, in combinato disposto con gli artt. 1 e 8 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, dell'art. 2 e dell'art. 21 Cost. e degli artt. 6,7 e 10 c.c.
Secondo il Garante, la sentenza impugnata aveva violato le disposizioni indicate anche laddove aveva mal individuato il criterio sulla base del quale l'Autorità avrebbe dovuto eseguire il necessario bilanciamento di interessi, assumendo che la deindicizzazione ad efficacia extraterritoriale avrebbe dovuto parametrarsi ai "distinti quadri giuridici sussistenti nei Paesi extra UE in cui la norma nazionale con effetti extraterritoriali permetterebbe di far valere l'ordine dell'Autorità".
7. Con il terzo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 4, il ricorrente denuncia nullità della sentenza per mera apparenza della motivazione, in violazione degli artt. 111, comma 6, Cost., 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e 118 disp.att. c.p.c.
Il Tribunale sarebbe incorso in contraddittorietà per essersi indotto ad affermazioni inconciliabili in contrasto irriduoi~bi,b1one 24/11/2022 loro, affermando, prima, la pacifica sussistenza del diritto all'oblio in capo al sig. B., per poi successivamente ribaltare totalmente il giudizio ed escludere che costui, limitatosi ad affermare di risiedere a (Omissis) e di svolgere attività professionale al di fuori dell'Europa, avesse soddisfatto i propri oneri di allegazione e prova con tali generiche affermazioni ai fini dello specifico giudizio di bilanciamento necessario ai fini dell'estensione extra Europea dell'ordine di deindicizzazione.
8. E' opportuno precisare che il riferimento formulato ripetutamente dal ricorrente nelle rubriche dei motivi al D.Lgs. n. 163 del 2006 (recante il Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE), così come quello contenuto in altri passaggi al D.Lgs. n. 193/2006 (recante attuazione della direttiva 2004/28/CE relativa al codice comunitario dei medicinali veterinari), è il frutto di un mero errore materiale, reso evidente alla luce di plurimi e inequivocabili riferimenti argomentativi alla disciplina del trattamento dei dati personali e al c.d. Codice della privacy.
Tali citazioni vanno riferite infatti al D.Lgs. n. 196 del 30.6.2003, ossia al Codice in materia di protezione dei dati personali (c.d. Codice privacy) nel testo anteriore alle modifiche introdotte per l'adeguamento dell'ordinamento nazionale al regolamento (UE) n. 2016/679 del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016 (GDPR, non applicabile ratione temporis).
Deve pertanto essere disattesa l'eccezione di inammissibilità sollevata dalle controricorrenti per violazione dell'art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, dal momento che le norme di diritto asseritamente violate, seppur erroneamente citate, sono agevolmente identificabili, a tal punto che il contraddittorio delle parti le ha effettivamente investite.
9. I tre motivi sono connessi e possono essere esaminati congiuntamente.
Giova alla comprensione premettere che per "deindicizzazione" si intende un'operazione sostanzialmente differente dalla rimozione o cancellazione di un contenuto; la deindicizzazione non lo elimina, ma lo rende non direttamente accessibile tramite motori di ricerca esterni all'archivio in cui quel contenuto si trova.
In altri passaggi degli atti difensivi la stessa operazione viene definita delisting o "dereferenzializzazione".
Nel caso era stata disposta dal Garante la "rimozione" globale (almeno così risulta dai virgolettati di pagina 2 della sentenza impugnata, che successivamente ricorre anche al termine "deindicizzazione") e le parti si riferiscono promiscuamente e indifferentemente alla rimozione e alla deindicizzazione (il Garante alle pagine 1 e 2 del ricorso parla di "deindicizzazione"; Google alle pagine 2 e 3 del controricorso alterna i due termini "rimozione" e "deindicizzazione").
La natura esatta dell'operazione è tuttavia ininfluente perché l'oggetto del contendere è invece la portata territoriale dell'ordine di rimozione o deindicizzazione dei dati, il cui contenuto tecnico oggettivo non è in contestazione fra le parti.
10. La giurisprudenza di questa Corte negli ultimi anni si è occupata ripetutamente del "diritto all'oblio".
E' stato così affermato che in tema di protezione del dati personali, la cancellazione delle copie cache relative a una informazione accessibile attraverso il motore di ricerca, in quanto incidente sulla capacità, da parte di detto motore di ricerca, di fornire una risposta all'interrogazione posta dall'utente attraverso una o più parole chiave, non consegue alla mera constatazione della sussistenza delle condizioni per la deindicizzazione del dato a partire dal nome della persona, ma esige una ponderazione del diritto all'oblio dell'interessato col diritto avente ad oqqetto la diffusione e l'acquisizione dell'informazione relativa al fattoanalbsuraone24/11/2022 complesso, attraverso parole chiave anche diverse dal nome della persona. (Sez. 1, n. 3952 del 8.2.2022).
Infatti il diritto di ogni persona all'oblio, strettamente collegato ai diritti alla riservatezza e all'identità personale, deve essere bilanciato con il diritto della collettività all'informazione, sicché, anche prima dell'entrata in vigore dell'art. 17 Regolamento (UE) 2016/679, qualora sia pubblicato sul web un articolo di interesse generale ma lesivo dei diritti di un soggetto che non rivesta la qualità di personaggio pubblico, noto a livello nazionale, può essere disposta la deindicizzazione dell'articolo dal motore ricerca, al fine di evitare che un accesso agevolato, e protratto nel tempo, ai dati personali di tale soggetto, tramite il semplice utilizzo di parole chiave, possa ledere il diritto di quest'ultimo a non vedersi reiteratamente attribuita una biografia telematica, diversa da quella reale e costituente oggetto di notizie ormai superate (Sez. 1, n. 15160 del 31.5.2021).
E ciò si spiega perché il diritto all'oblio consiste nel non rimanere esposti senza limiti di tempo ad una rappresentazione non più attuale della propria persona con pregiudizio alla reputazione ed alla riservatezza, a causa della ripubblicazione, a distanza di un importante intervallo temporale, di una notizia relativa a fatti del passato, ma la tutela del menzionato diritto va posta in bilanciamento con l'interesse pubblico alla conoscenza del fatto, espressione del diritto di manifestazione del pensiero e quindi di cronaca e di conservazione della notizia per finalità storico-sociale e documentaristica, sicché nel caso di notizia pubblicata sul web, il medesimo può trovare soddisfazione anche nella sola deindicizzazione dell'articolo dai motori di ricerca (Sez. 1, n. 9147 del 19.5.2020).
Anche le Sezioni Unite di questa Corte hanno avuto modo di interloquire, precisando che la menzione degli elementi identificativi delle persone protagonisti di fatti e vicende del passato è lecita solo nell'ipotesi in cui si riferisca a personaggi che destino nel momento presente l'interesse della collettività, sia per ragioni di notorietà che per il ruolo pubblico rivestito. In caso contrario, prevale il diritto degli interessati alla riservatezza rispetto ad avvenimenti del passato che li feriscano nella dignità e nell'onore e dei quali si sia ormai spenta la memoria collettiva. (Sez. U, n. 19681 del 22.7.2019).
11. Il diritto all'oblio si correla al diritto alla riservatezza e in questa prospettiva protegge l'interessato nella pretesa di non veder ulteriormente divulgate notizie, già legittimamente pubblicate, ma ormai superate dal tempo, che ha dissolto l'interesse pubblico alla circolazione dell'informazione; ovvero al diritto all'identità personale, e in questa prospettiva protegge l'esigenza di contestualizzazione e aggiornamento delle informazioni; ovvero, ancora, al diritto alla protezione dei dati personali dell'interessato.
12. I primi due motivi censurano in modo puntuale la decisione del Tribunale, che non ha eseguito la corretta esegesi del diritto dell'Unione e di conseguenza non ne ha applicato fedelmente i principi.
Al proposito, questa Corte, giudice di ultima istanza, non ravvisa la necessità di formulare una questione pregiudiziale interpretativa ai sensi dell'art. 267 TFUE, poiché la Corte di Giustizia UE si è pronunciata di recente e in modo esaustivo in proposito, fornendo ai giudici nazionali le coordinate necessarie per orientare e risolvere il problema giuridico della presente controversia, che in ultima analisi è quello dell'ammissibilità di un ordine di deindicizzazione o rimozione extraterritoriale nei confronti del gestore del motore di ricerca (global delisting o global removal).
13. E' opportuno, per il corretto inquadramento della questione, prender le mosse dalla sentenza della Corte di Giustizia, Grande Sezione, del 13.5.2014- C-131/12, variamente evocata nella dialettica processuale come "Google Spain" o "caso Costeja", che pure non affronta il problema della extraterritorialità.
Secondo questa pronuncia della Corte di Giustizia, l'art. 2, lett. b) e d), della direttiva 95/46/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 24 ottobre 1995, relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati, deve essere interpretato nel senso che, da un lato, l'attività di un motore di ricerca consistente nel trovare informazioni pubblicate o inserite da terzi su Internet, nell'indicizzarle in modo automatico, nel memorizzarle temporaneamente e, infine, nel metterle a disposizione degli utenti di Internet secondo un determinato ordine di preferenza, deve essere qualificata come "trattamento di dati personali", ai sensi del citato art. 2, lett. b), qualora tali informazioni contengano dati personali, e che, dall'altro lato, il gestore di detto motore di ricerca deve essere considerato come il "responsabile" del trattamento summenzionato, ai sensi dell'art. 2, lett. d), di cui sopra.
Inoltre gli artt. 12, lett. b), e 14, comma 1, lett. a), della direttiva 95/46 devono essere interpretati nel senso che, al fine di rispettare i diritti previsti da tali disposizioni, e sempre che le condizioni da queste fissate siano effettivamente soddisfatte, il gestore di un motore di ricerca è obbligato a sopprimere, dall'elenco di risultati che appare a seguito di una ricerca effettuata a partire dal nome di una persona, dei link verso pagine web pubblicate da terzi e contenenti informazioni relative a questa persona, anche nel caso in cui tale nome o tali informazioni non vengano previamente o simultaneamente cancellati dalle pagine web di cui trattasi, e ciò eventualmente anche quando la loro pubblicazione su tali pagine web sia di per sé lecita.
Si deve quindi verificare in particolare se l'interessato abbia diritto a che l'informazione in questione riguardante la sua persona non venga più, allo stato attuale, collegata al suo nome da un elenco di risultati che si palesino a seguito di una ricerca effettuata a partire dal suo nome, senza per questo che la constatazione di un diritto siffatto presupponga che l'inclusione dell'informazione in questione in tale elenco arrechi un pregiudizio a detto interessato.
Quest'ultimo può, sulla scorta dei suoi diritti fondamentali derivanti dagli art. 7 e 8 della Carta, chiedere che l'informazione in questione non venga più messa a disposizione del grande pubblico in virtù della sua inclusione in un siffatto elenco di risultati.
I diritti fondamentali di cui sopra prevalgono, in linea di principio, non soltanto sull'interesse economico del gestore del motore di ricerca, ma anche sull'interesse di tale pubblico ad accedere all'informazione suddetta in occasione di una ricerca concernente il nome di questa persona.
Fa eccezione l'ipotesi in cui risulti, per ragioni particolari, come il ruolo ricoperto da tale persona nella vita pubblica, che l'ingerenza nei suoi diritti fondamentali è giustificata dall'interesse preponderante del pubblico suddetto ad avere accesso, in virtù dell'inclusione summenzionata, all'informazione di cui trattasi.
14. La Corte di Giustizia è poi intervenuta nel 2019 con la decisione sul caso Google-CNIL (pubblicata nel corso del presente procedimento dinanzi al Tribunale di Milano) affrontando nuovamente il tema dell'ammissibilità dell'esercizio del diritto alla deindicizzazione, quale species del diritto all'oblio in Internet, ma pronunciandosi anche sulla sua possibile estensione territoriale.
Alla Corte era stato chiesto se "il gestore di un motore di ricerca, nel dare seguito a una richiesta di deindicizzazione, è tenuto ad eseguire tale deindicizzazione su tutti i nomi di dominio del suo motore e ciò anche al di fuori dell'ambito di applicazione territoriale della direttiva".
Un problema analogo è stato affrontato, solo qualche giorno dopo, dalla Terza Sezione della stessa Corte, nel caso Glawischnig-Piesczek c. Facebook Ireland Limited, relativo alla pubblicazione di un messaggio lesivo del diritto all'onore.
In entrambe le decisioni, pur relative a normative e situazioni diverse, si era posto il problema della efficacia territoriale di doveri di rimozione gravanti sui motori di ricerca per la tutela di diritti fondamentali della persona: diritto alla protezione dei dati personali nel primo caso e diritto all'onore e alla reputazione nel secondo, che è stato risolto in modo diverso.
Nella decisione del 24.9.2019, C-507/2017, cosiddetto "caso CNIL", la Corte ha affermato che l'attività di indicizzazione e memorizzazione automatica delle informazioni messe a disposizione del pubblico di Internet costituisce trattamento dati personali, di cui il gestore del motore di ricerca è responsabile; che il diritto alla deindicizzazione deve essere esercitato, per effetto di tali principi, nei confronti del titolare motore di ricerca in quanto titolare di trattamento dati personali, che ha l'obbligo, laddove ricorrono le condizioni previste dalle norme del Regolamento e prima di esso della Direttiva, di rimuovere e sopprimere dall'elenco dei risultati, che appare a seguito di una ricerca effettuata a partire dal nome di una persona, i link che rinviano alle pagine web pubblicate da terzi, contenenti notizie riguardanti l'interessato, pur se di per sé leciti, ad esempio nei casi in cui la notizia non è più concreta e attuale, salvo il limite in cui per ragioni particolari, come il ruolo ricoperto da tale persona nella vita pubblica, prevalga l'interesse pubblico all'ingerenza nei suoi diritti fondamentali.
Secondo la Corte di Giustizia, quindi, nei casi indicati sussiste il diritto dell'interessato di ottenere la cancellazione e l'oscuramento dei dati, rivolgendosi direttamente al motore di ricerca, nei casi in cui, ai sensi degli artt. 12, lett. b), 14, paragrafi 1, lett. a), e 7, lettere e) e f), della Dir. 95/46, e oggi dell'art. 17 Regolamento UE 2016/679 (GDPR) si è in presenza dati che, avuto riguardo alle finalità perseguite dal titolare del trattamento, non appare ragionevole conservare.
La Corte di Giustizia ha precisato poi che per il diritto alla deindicizzazione è stato fissato un bilanciamento, per quanto concerne l'Unione, senza che si sia allo stato attuale proceduto a tale bilanciamento anche per quanto riguarda la portata di una deindicizzazione al di fuori dell'Unione. Pertanto, secondo la Corte del Lussemburgo, il gestore di un motore di ricerca, quando accoglie una domanda di deindicizzazione, è tenuto ad effettuare tale deindicizzazione non in tutte le versioni del suo motore di ricerca, ma nelle versioni di tale motore corrispondenti a tutti gli Stati membri, con ciò limitando l'adempimento dell'obbligo al territorio dell'Unione Europea.
Di conseguenza l'interessato può chiedere e pretendere, sulla base di tali principi, la deindicizzazione solo nelle versioni del motore di ricerca in uso nel territorio degli Stati membri dell'Unione Europea.
15. A diverse conclusioni è pervenuta invece la Corte di Giustizia con la decisione del 3.10.2019, C-18/08, cosiddetto "caso Glawischnig", con riferimento alla tutela richiesta del diritto all'onore e alla reputazione, laddove è stato ritenuto che il prestatore di servizi di hosting può essere destinatario di un ordine diretto a rimuovere le informazioni oggetto dell'ingiunzione a livello mondiale.
Tale diversità di soluzioni si spiega peraltro con la natura diversa dei diritti azionati, e in particolare con il fatto che il diritto alla protezione dei dati personali non corrisponde a una prerogativa assoluta, ma deve essere considerato alla luce della sua funzione sociale ed è soggetto all'equo contemperamento con altri diritti fondamentali (in particolare con il diritto alla manifestazione del proprio pensiero e alla libertà di stampa) nel rispetto del principio di proporzionalità.
16. La Corte del Lussemburgo con la sentenza "CNIL" del 24.9.2019 ha però dedicato un apposito paragrafo (recante il n. 72) all'argomento degli ordini extraterritoriali a tutela del diritto all'oblio, che merita una particolare attenzione e che, non a caso, è stato ampiamente dibattuto in causa.
La Corte ha affermato: "Occorre infine sottolineare che il diritto dell'Unione, pur se - come rilevato al punto 64 della presente sentenza - non impone, allo stato attuale, che la deindicizzazione accolta vetta su tutte le versioni del motore di ricerca in questione, neppure lo vieta. Pertanto, un'autorità di controllo o un'autorità giudiziaria di uno Stato membro resta competente ad effettuare, conformemente agli standard nazionali di protezione dei diritti fondamentali (v., in tal senso, sentenze del 26 febbraio 2013, Akerberg Fransson, C-617/10, EU:C:2013:105, punto 29, e del 26 febbraio 2013, Melloni, C-399/11, EU:C:2013:107, punto 60), un bilanciamento tra, da un lato, il diritto della persona interessata alla tutela della sua vita privata e alla protezione dei suoi dati personali e, dall'altro, il diritto alla libertà d'informazione e, al termine di tale bilanciamento, richiedere, se del caso, al gestore di tale motore di ricerca di effettuare una deindicizzazione su tutte le versioni di suddetto motore."
17. L'affermazione è chiarissima e non tollera ambiguità, così escludendo la necessità per questa Corte di sollecitare nuovamente il supporto interpretativo della Corte UE.
Il diritto dell'Unione non impone agli Stati membri di far sì che la persona interessata che si avvalga del diritto alla deindicizzazione possa ottenere il risultato di incidere su tutte le versioni, anche extraEuropee, del motore di ricerca.
E tuttavia il diritto dell'Unione neppure vieta agli Stati membri di consentire questo risultato.
Ergo, ciascun Stato membro - e così l'Italia - e libero di effettuare nella sua disciplina nazionale, conformemente agli standard nazionali di protezione dei diritti fondamentali, un bilanciamento tra il diritto della persona interessata alla tutela della sua vita privata e alla protezione dei suoi dati personali e il diritto alla libertà d'informazione, per richiedere all'esito al gestore di tale motore di ricerca di effettuare una deindicizzazione su tutte le versioni del proprio motore, incluse quelle extraEuropee.
18. L'esposta riflessione consente al Collegio di stabilire già alcuni punti fermi del ragionamento:
a) non è necessaria la sottoposizione di questione pregiudiziale interpretativa alla Corte di Giustizia, poiché è escluso l'obbligo del rinvio pregiudiziale, a norma dell'art. 267 del TFUE, nei casi in cui la normativa comunitaria abbia già costituito oggetto di interpretazione da parte dei giudici comunitari e in quelli in cui non vi sia alcun ragionevole dubbio circa il significato della disposizione da applicare (la cosiddetta teoria dell'acte clair);
b) non convince il tentativo delle controricorrenti di ridimensionare il p. 72 sopra esaminato della sentenza CNIL come un mero obiter dictum, dovuto a ragioni di "deferenza istituzionale" nei confronti delle Autorità di controllo degli Stati membri (memoria Google, pag.5, p. 2.4), operazione questa che appare priva di una reale base argomentativa e si pone in contrasto con la chiara lettera della sentenza;
c) non rilevano le pronunce dei giudici stranieri che si sono occupati della questione, ad esempio in Francia, in Germania e in Israele, citate dalle controricorrenti poiché la soluzione del caso, proprio in funzione della risposta fornita dalla Corte di Giustizia, dipende dal diritto nazionale e dall'estensione della tutela da questo offerta alla protezione dei diritti della personalità;
d) non rilevano, infine, neppure i principi di "cortesia internazionale" (international comity), peraltro non codificati, secondo le stesse parti controricorrenti, che precluderebbero l'ammissibilità di ordini di deindicizzazione extraterritoriale, poiché la Corte di Giustizia non esclude affatto tali ordini pur nell'ambito della protezione dei dati personali, rimettendo la soluzione alla discrezionalità degli Stati membri e addirittura li impone a protezione dei diritti dell'onore e della reputazione ("caso Glawischnig"), e ciò a riprova dell'assenza di un ostacolo strutturale alla loro emanazione;
e) la tesi della inammissibilità degli ordini di rimozione/deindicizzazione globale (ossia destinati a produrre effetti anche sui motori di ricerca extra UE) per ragioni di diritto internazionale consuetudinario, sostenuta dalle società controricorrenti, è quindi in contrasto con il diritto della Unione Europea, così come interpretato dalla Corte di Giustizia;
f) è pur vero che si potrebbero delineare conflitti con gli ordinamenti di altri Stati e le decisioni delle loro giurisdizioni potenzialmente contrastanti con quelle dell'Unione Europea e italiane, come del resto può accadere in ogni altro caso di conflitti fra le regolazioni provenienti da distinti ordinamenti giuridici, non mediati da convenzioni internazionali;
g) si tratta però di obiezione e di controindicazione di mero fatto che non incide sull'ammissibilità astratta dell'ordine, ma semmai sulla sua effettiva possibilità di esecuzione e sul riconoscimento della decisione italiana in altri ordinamenti.
19. Il problema, si è detto, è di diritto nazionale.
Secondo questa Corte, non vi è dubbio che il diritto alla protezione dei propri dati personali e il suo fondamento costituzionale non tollerino limitazioni territoriali all'esplicazione della sfera di protezione, tanto più che nella specie tale diritto si sovrappone e si accompagna ai diritti all'identità, alla riservatezza e alla contestualizzazione delle informazioni.
La Carta dei diritti fondamentali dell'Unione riconosce e tutela tanto la dignità umana (art. 1) quanto i dati di carattere personale (art. 8).
L'art. 2 del D.Lgs. n. 196 del 2003, nella formulazione pro tempore vigente, nel suo comma 1 disponeva che "Il presente testo unico, di seguito denominato codice, garantisce che il trattamento dei dati personali si svolga nel rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali, nonché della dignità dell'interessato, con particolare riferimento alla riservatezza, all'identità personale e al diritto alla protezione dei dati personali."
E' evidente quindi la strettissima connessione fra la tutela dei diritti sui dati personali e i diritti fondamentali della persona garantiti dalla Costituzione.
Questa Corte, infatti, ha già ripetutamente affermato che la legislazione sul trattamento dei dati personali di cui al D.Lgs. n. 196 del 2003 (anche nella versione applicabile ratione temporis, anteriore alle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 10.8.2018, n. 101) è preordinata alla tutela della dignità personale dell'interessato, ai sensi dell'art. 3 Cost., comma 1 e dell'art. 2 Cost. (Sez. 1, n. 11864 del 25.6.2004; Sez. 1, n. 18981 del 8.8.2013; Sez.1, n. 368 del 13.1.2021).
In particolare, è stato affermato che con il D.Lgs. n. 196 del 2003 il legislatore ha introdotto un sistema informato al prioritario rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali e della dignità della persona e in particolare della riservatezza e del diritto alla protezione dei dati personali nonché all'identità personale o morale del soggetto (art. 2 D.Lgs. n. 196 del 2003). In tale quadro, imprescindibile rilievo assume il bilanciamento tra contrapposti diritti e libertà fondamentali, dovendo al riguardo tenersi conto del rango di diritto fondamentale assunto dal diritto alla protezione dei dati personali, tutelato agli art. 21 e 2 Cost. nonché all'art. 8 della Carta dei diritti fondamentali dell'Ue, quale diritto a mantenere il controllo sulle proprie informazioni che spettando a "chiunque" (D.Lgs. n. 196 del 2003 art. 1) e a "ogni persona" (art. 8 Carta) nei diversi contesti e ambienti di vita, concorre a delineare l'assetto di una società rispettosa dell'altro e della sua dignità in condizioni di eguaglianza (così Cass., 4/1/2011 n. 186). Il D.Lgs. n. 196 del 2003 ha pertanto sancito il passaggio da una concezione statica a una concezione dinamica della tutela della riservatezza, tesa al controllo dell'utilizzo e del destino dei dati. L'interessato è divenuto compartecipe nell'utilizzazione dei propri dati personali (Sez.3, 5.4.2012, n. 5525).
Le stesse Sezioni Unite hanno sottolineato il collegamento del diritto all'oblio con la tutela della riservatezza allorché hanno recentemente affermato che in tema di rapporti tra diritto alla riservatezza (nella sua particolare connotazione del c.d. diritto all'oblio) e diritto alla rievocazione storica di fatti e vicende concernenti eventi del passato, il giudice di merito - ferma restando la libertà della scelta editoriale in ordine a tale rievocazione, che è espressione della libertà di stampa e di informazione protetta e garantita dall'art. 21 Cost. - ha il compito di valutare l'interesse pubblico, concreto ed attuale alla menzione degli elementi identificativi delle persone che di quei fatti e di quelle vicende furono protagonisti. Tale menzione deve ritenersi lecita solo nell'ipotesi in cui si riferisca a personaggi che destino nel momento presente l'interesse della collettività, sia per ragioni di notorietà che per il ruolo pubblico rivestito. In caso contrario, prevale il diritto degli interessati alla riservatezza rispetto ad avvenimenti del passato che li feriscano nella dignità e nell'onore e dei quali si sia ormai spenta la memoria collettiva. (Sez. U, n. 19681 del 22.7.2019)
Certamente occorre un bilanciamento di tale diritto con il diritto alla libertà di informazione, del resto previsto ed anzi preteso dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia.
Tuttavia, per l'ordinamento costituzionale italiano, a fronte delle modalità liquide e pervasive della circolazione dei dati sulla rete di Internet, non è consentita una limitazione della tutela assicurata alla tutela della vita privata e alla protezione dei dati personali mediante deindicizzazione alle sole versioni dei motori di ricerca corrispondenti a tutti gli Stati membri dell'Unione Europea.
20. E' opportuno precisare che non è stata posta e non si pone una questione di giurisdizione e si discute solamente dell'ambito dell'obbligo di deindicizzazione che è possibile imporre al titolare del trattamento dei dati.
21. Va escluso altresì che la Corte di Giustizia, con l'uso del verbo "richiedere" nel p. 72, abbia inteso riferirsi ad una richiesta non vincolante e suscettibile di adempimento o meno da parte del destinatario: poiché si verte in materia di provvedimenti autoritativi e giurisdizionali a tutela di diritti della personalità è evidente che si è inteso tale termine come sinonimo di "disporre" o "imporre".
22. Il Tribunale è incorso in errore anche, laddove (pag.7-8), nel determinare il criterio sulla base del quale l'Autorità avrebbe dovuto eseguire il necessario bilanciamento di interessi, ha osservato che la deindicizzazione ad efficacia extraterritoriale avrebbe dovuto parametrarsi ai "distinti quadri giuridici sussistenti nei Paesi extra UE in cui la norma nazionale con effetti extraterritoriali permetterebbe di far valere l'ordine dell'Autorità".
Tale affermazione, accanitamente difesa dalle controricorrenti nei loro scritti, non è condivisibile.
Lo standard di valutazione a cui ci si deve ispirare nel bilanciamento tra diritto della personalità e diritto all'informazione non può essere che quello Europeo e nazionale e non viene invece in considerazione il quadro giuridico di contemperamento fra i due diritti previsto in altri Paesi il cui diritto nazionale non è applicabile al rapporto giuridico oggetto della pronuncia, per il solo fatto che al destinatario sia imposto di provvedere alla deindicizzazione anche sulle versione di quel Paese del suo motore di ricerca.
23. Da un lato, come si è già anticipato, se in quei Paesi, ove in ipotesi vigesse uno standard di tutela dei diritti della personalità meno protettivo al cospetto di una maggior libertà di informazione, ciò potrebbe comportare solamente il mancato riconoscimento della decisione italiana o una difficoltà di esecuzione del provvedimento a fronte di contromisure volte a proteggere in concreto il secondo valore a dispetto del primo.
Questa, però, è obiezione di mero fatto.
Esattamente osserva in controricorso (pag.9) la difesa del Garante che questo ragionamento confonde due piani ben distinti: da un lato, quello della potenziale portata extraterritoriale delle norme e dei provvedimenti nazionali; dall'altro, quello del loro riconoscimento da parte degli Stati esteri nell'esercizio della loro sovranità.
Tale sovranità non è certamente compromessa dalla efficacia extraterritoriale del provvedimento del Garante, restando impregiudicata la possibilità per lo Stato straniero di non riconoscere il provvedimento o della decisione giurisdizionale che lo ha ritenuto legittimo.
D'altro canto, l'ammissibilità di ordini extraterritoriali non potrebbe certamente giustificare l'efficacia per il nostro ordinamento di misure provenienti da altri Paesi, che contrastino con il nostro ordine pubblico (come si paventa apag.12, p. 3.3., della memoria Google).
24. Non appaiono pertinenti le osservazioni svolte nel p. 5, pag.21 e seguenti, della memoria 4.11.2022 di Google, dirette ad argomentare l'efficienza del sistema di delisting adottato da Google, capace di prevenire in sostanza l'impiego di motori di ricerca extraEuropei da parte di utenti dello Spazio Economico Europeo, della Svizzera e del Regno Unito.
Non è infatti questo il pericolo paventato dal sig. B. aveva invece dedotto il proprio interesse a che le notizie in questione non pervenissero a conoscenza dei fruitori, fuori Europa, dei motori di ricerca extraEuropei.
25. La condivisibilità di queste due prime censure non è però sufficiente, di per sé, all'accoglimento del ricorso.
Infatti, il Tribunale ha provveduto comunque ad eseguire il bilanciamento e ha ritenuto che il richiedente sig. B.D. non avesse fornito sufficienti elementi per giustificare la propria richiesta di protezione del diritto all'oblio anche con riferimento ai motori di ricerca extraEuropei.
In particolare, il Tribunale ha rilevato che B.D. si era limitato a tali fini ad affermare che risiedeva a Marinascape nello Stato di (Omissis) e che svolgeva una attività professionale al di fuori dell'Europa, ma non aveva allegato nulla di più, rispetto a tali elementi del tutto generici, in particolare quanto all'effettiva natura dell'attività lavorativa svolta attualmente, e alla sua consistenza e dimensione territoriale, e circa le modalità con cui la diffusione dei dati personali relativi alle indagini penali in cui erano stato coinvolto in passato (salvo sfociare in archiviazione) potevano nuocere a tale attività in territorio estero.
Ha anche aggiunto l'irrilevanza a tali fini del fatto che all'epoca dell'indagine archiviata il sig. B. fosse un dirigente ENI addetto all'intermediazione di progetti imprenditoriali in Iraq, Kuwait e Abu Dhabi.
26. La valutazione del Tribunale non può essere condivisa.
Il sig. B. ha fornito tutti gli elementi necessari e sufficienti per giustificare il proprio interesse alla deindicizzazione extraEuropea dell'informazione, indicando che risedeva a (Omissis) e operava professionalmente fuori dall'Europa, dati questi non contestati. Inoltre pacificamente risultava che all'epoca dell'indagine archiviata il sig. B. era un dirigente ENI addetto all'intermediazione di progetti imprenditoriali in Iraq, Kuwait e Abu Dhabi.
Dati questi non contestati, acquisiti e non ulteriormente suscettibili di rilevanti integrazioni ai fini della qualificazione dell'interesse all'estensione globale dell'ordine di protezione e in particolare dell'accertamento del possibile pregiudizio derivante dalla inclusione del dato non deindicizzato sui motori di ricerca extraEuropei nell'ottica dello specifico bilanciamento richiesto dal p. 72 della sentenza della Corte di Giustizia del 24.9.2019.
27. Il ricorso merita quindi accoglimento con la cassazione della sentenza impugnata e l'enunciazione del seguente principio di diritto: "In tema di trattamento dei dati personali, la tutela spettante all'interessato, strettamente connessa ai diritti alla riservatezza e all'identità personale e preordinata a garantirne la dignità personale dell'individuo, ai sensi dell'art. 3 Cost., comma 1 e dell'art. 2 Cost., che si esprime nel cosiddetto "diritto all'oblio", consente, in conformità al diritto dell'Unione Europea, alle autorità italiane, ossia al Garante per la protezione dei dati personali e al giudice, di ordinare al gestore di un motore di ricerca di effettuare una deindicizzazione su tutte le versioni, anche extraEuropee, del suddetto motore, previo bilanciamento tra il diritto della persona interessata alla tutela della sua vita privata e alla protezione dei suoi dati personali e il diritto alla libertà d'informazione, da operarsi secondo gli standard di protezione dell'ordinamento italiano".
28. La Corte quindi, decidendo nel merito, a norma dell'art. 384, comma 2, c.p.c., poiché non sono necessari ulteriori accertamenti di fatto, respinge il ricorso di Google LLC nei confronti del provvedimento del 26.10.2017 del Garante per la protezione dei dati personali.
La novità delle questioni trattate giustifica la compensazione integrale delle spese processuali.
Occorre inoltre disporre che, in caso di pubblicazione della presente ordinanza sia omessa l'indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti riportati nell'ordinanza.
P.Q.M.
La Corte
accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata; decidendo la causa nel merito, respinge il ricorso di Google LLC nei confronti del provvedimento del 26.10.2017 del Garante per la protezione dei dati personali; dichiara integralmente compensate fra le parti le spese processuali dell'intero giudizio.
Dispone che, in caso di utilizzazione della presente ordinanza, sia omessa l'indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti riportati nell'ordinanza.
Così deciso in Roma, il 15 novembre 2022.
Depositato in Cancelleria il 24 novembre 2022.