LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ESPOSITO Lucia – Presidente –
Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere –
Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –
Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –
Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 16181-2020 proposto da:
G.A., F.L., elettivamente domiciliate in ROMA, VIA NAZARIO SAURO 16, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO PISTILLI, che le rappresenta e difende;
– ricorrenti –
contro
MINISTERO DELL’ISTRUZIONE UNIVERSITA’ E RICERCA;
– intimato –
avverso la sentenza n. 180/2019 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE, depositata il 16/12/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 21/09/2021 dal Consigliere Relatore Dott. ANNALISA DI PAOLANTONIO.
RILEVATO
che:
1. la Corte d’Appello di Trieste, adita dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, ha respinto le domande proposte da F.L. ed G.A. le quali, appartenenti al personale ATA ed assunte a tempo indeterminato dopo essere state utilizzate per lunghi periodi con contratti a tempo determinato, avevano domandato, secondo quanto si legge nella pronuncia gravata, il riconoscimento del servizio svolto sulla base dei rapporti a termine, sul rilievo che il “loro trattamento giuridico ed economico non teneva conto dell’anzianità pregressa e che tanto non era legittimo ed anzi discriminatorio rispetto al caso degli addetti assunti direttamente a tempo indeterminato”;
2. la Corte territoriale, respinta l’eccezione di inammissibilità dell’appello, ha ritenuto non fondata la pretesa ed ha rilevato che l’abbattimento dell’anzianità, previsto dal D.Lgs. n. 297 del 1994, art. 569, è giustificato da ragioni oggettive, valorizzate dalla Corte di Giustizia con la sentenza del 20.9.2018, in causa C-466/17, Motter;
3. per la cassazione della sentenza hanno proposto ricorso G.A. e F.L. sulla base di un unico motivo, illustrato da memoria, al quale non ha opposte difese il MIUR, rimasto intimato;
4. la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata notificata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in Camera di consiglio non partecipata.
CONSIDERATO
che:
1. il ricorso denuncia, con un unico motivo formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione della L. n. 124 del 1999, art. 11, comma 4, della Dir. n. 1999/70/CE, e dell’accordo quadro alla stessa allegato, del D.Lgs. n. 368 del 2001;
1.1. richiamati nelle premesse il principio di non discriminazione e la giurisprudenza della Corte di giustizia, le ricorrenti sostengono che il giudice d’appello ha errato nel respingere la domanda, riformando la pronuncia di primo grado, perché l’azione era finalizzata ad ottenere non il riconoscimento dell’anzianità di servizio ai fini della ricostruzione della carriera, bensì gli incrementi stipendiali che dovevano maturare in pendenza dei rapporti a termine, a seguito della applicazione, negata dal Ministero, della medesima progressione riconosciuta agli assunti a tempo indeterminato;
2. il ricorso è inammissibile;
3. occorre premettere che, come affermato in motivazione da Cass. n. 17314 del 2020 e da Cass. n. 31149 del 2019, l’anzianità di servizio maturata sulla base di contratti a tempo determinato può essere fatta valere dal personale docente ed amministrativo della scuola sia per rivendicare, in relazione ai contratti a termine intercorsi fra le parti, le maggiorazioni retributive connesse all’anzianità stessa, sia per richiedere, successivamente all’immissione in ruolo ed alla stipula del contratto a tempo indeterminato, la ricostruzione della carriera ed il riconoscimento, a fini giuridici ed economici, del servizio in precedenza prestato;
3.1. si tratta di pretese che, seppure fondate entrambe sulla Dir. 99/70/CE, allegato Accordo Quadro, clausola 4, non sono sovrapponibili, sia perché fondate su elementi costitutivi diversi (in un caso la sola successione dei contratti a termine, nell’altro la prestazione a tempo determinato seguita dall’immissione in ruolo), sia in quanto non coincidenti sono le disposizioni legali e contrattuali che vengono in rilievo;
3.2. in particolare per la prima delle due azioni il quadro normativo e contrattuale interno è rappresentato dai CCM, succedutisi nel tempo che, nel ribadire un criterio già indicato dal D.Lgs. n. 297 del 1994, art. 526, parametrano la retribuzione spettante all’assunto a tempo determinato a quella “iniziale” prevista per il personale di ruolo (cfr. Cass. n. 22558 del 2016, richiamata da numerose successive pronunce), mentre la ricostruzione della carriera successiva all’immissione in ruolo trova la sua disciplina nel D.Lgs. n. 297 del 1994, artt. 485 e ss., per il personale docente, e nel richiamato T.U., artt. 569 e ss., per il personale amministrativo, tecnico ed ausiliario (cfr. Cass. n. 31149 del 2019 e Cass. n. 31150 del 2019);
3.3. il giudice, quindi, in un caso è tenuto a verificare la compatibilità con il diritto dell’Unione della disciplina contrattuale che, in pendenza di rapporto a termine, non assegna alcun rilievo all’anzianità di servizio maturata, nell’altro se sia giustificato l’abbattimento dell’anzianità stessa che il legislatore nazionale ha operato riconoscendo solo parzialmente l’anzianità medesima, una volta concluso il contratto a tempo indeterminato;
4. nel caso di specie la Corte territoriale ha ritenuto che F.L. e G.A. avessero domandato, a seguito dell’avvenuta immissione in ruolo con contratto a tempo indeterminato, il riconoscimento dell’anzianità di servizio ai fini della ricostruzione della carriera ed ha respinto la domanda sul presupposto che non potesse essere disapplicato il D.Lgs. n. 297 del 1994, art. 569;
4.1. le ricorrenti, pur asserendo che il giudice d’appello sarebbe incorso in errore quanto all’interpretazione ed alla qualificazione della domanda, non individuano né denunciano l’error in procedendo commesso dalla Corte territoriale, non eccepiscono la nullità della sentenza impugnata né deducono la violazione dell’art. 112 c.p.c., ed anche nella memoria depositata ex art. 380 bis c.p.c., argomentano solo sulle ragioni per le quali la diversa domanda, a loro dire effettivamente proposta, doveva essere accolta;
5. questa Corte ha già affermato, ed al principio deve essere data continuità, che, ove dall’errata interpretazione della domanda sia derivato un vizio attinente all’individuazione del petitum e della causa petendi, si verifica una violazione del principio di corrispondenza fra il chiesto ed il pronunciato che deve essere prospettato, ex art. 360 c.p.c., n. 4, come vizio di nullità processuale (Cass. n. 11103/2020) e, pertanto, così come accade per l’omessa pronuncia, che egualmente comporta la violazione dell’art. 112 c.p.c., è necessario che il ricorso rechi univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dall’errata interpretazione, non potendo, invece, il ricorrente argomentare sulla fondatezza della diversa domanda non esaminata in quanto dette censure risultano prive della specifica attinenza al decisum, riferibile ad altra domanda (cfr. sulle modalità di deduzione del vizio di violazione dell’art. 112 c.p.c., in caso di omessa pronuncia Cass. S.U. n. 17931 del 2013);
6. in via conclusiva il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e, di conseguenza, si deve dare atto, ai fini e per gli effetti precisati da Cass. S.U. n. 4315 del 2020, della ricorrenza delle condizioni processuali richieste per il raddoppio del contributo dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228;
7. non occorre provvedere sulle spese del giudizio di legittimità perché il Ministero non si è costituito in giudizio, rimanendo intimato.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 21 settembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 4 gennaio 2022