LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –
Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –
Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –
Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –
Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 22167/2020 proposto da:
S.K., rappresentato e difeso dall’avv. Giovambattista Scordamaglia, (Pec: studiolegale.pec.scordamaglia.eu) giusta procura speciale in calce al ricorso per cassazione;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno, in persona del Ministro in carica, domiciliato in Roma, via dei Portoghesi 12, presso l’avvocatura generale dello Stato che lo rappresenta per legge;
– intimato –
avverso la sentenza n. 2303/2019 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 03/12/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 10/12/2021 dal Cons. Dott. TERRUSI FRANCESCO.
RILEVATO
che:
la corte di appello di Catanzaro ha rigettato l’appello proposto da S.K., pakistano, avverso l’ordinanza del tribunale della stessa città di rigetto della domanda di protezione internazionale;
egli ricorre per cassazione con tre motivi;
il Ministero dell’interno ha depositato un foglio di costituzione.
CONSIDERATO
che:
I. – il primo motivo, che denunzia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e art. 132 c.p.c., con riferimento ai profili di non credibilità personale, è inammissibile, poiché quello relativo alla credibilità soggettiva è un giudizio di fatto, nella specie motivato e non sindacabile in cassazione se non per omesso esame di fatti decisivi (v. Cass. Sez. U. n. 8053-14), nella specie non specificati in rapporto a quanto ritenuto dal giudice del merito;
II. – il secondo motivo, col quale il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2 e 14, con riferimento alla protezione sussidiaria, è inammissibile poiché si risolve in un tentativo di sovvertimento della valutazione in fatto, dalla corte d’appello per questa parte congruamente motivata;
III. – il terzo motivo, col quale il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 5 del T.U. Imm. e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, per la mancata comparazione tra l’integrazione sociale e la situazione personale di vulnerabilità, è invece fondato;
la corte d’appello di Catanzaro, pur dando atto della prova dell’inserimento sociale e lavorativo del ricorrente, ha confermato il diniego di protezione umanitaria sul rilievo che tale inserimento non potrebbe valere, da solo, a fondarla, volta che nessuna allegazione era stata fatta a proposito del motivo dell’espatrio e della specifica situazione di vulnerabilità personale; ha poi osservato che, in disparte alcune incongruenze del narrato dell’istante, da questo non erano emersi concreti elementi sulla cui base poter ragionevolmente ritenere la condizione di rischio del richiedente di essere immesso, al rientro in Pakistan, in un contesto sociale, politico e ambientale idoneo a determinare la significativa compromissione dei suoi diritti fondamentali inviolabili, ovvero la compromissione della possibilità di soddisfare i bisogni e le esigenze ineludibili della vita personale;
IV. – tale complessivo rilievo, nella sua genericità, non soddisfa l’onere motivazionale in rapporto alle risultanze evincibili dal ricorso (in prospettiva di autosufficienza), considerati i fondamenti della protezione umanitaria come delineati dalla più recente giurisprudenza di questa Corte;
dal ricorso invero risulta che l’appellante aveva dedotto, a proposito della protezione umanitaria, l’esistenza di un efficace percorso di integrazione, fruttuosamente completato con inserimento nel tessuto sociale italiano – cosa che gli aveva consentito di trovare un lavoro sostanzialmente stabile, con contratti a termine sempre rinnovati come bracciante presso varie aziende agricole e cooperative per la coltivazione di agrumi, a fronte invece della condizione oggettiva, politica sociale e ambientale, esistente nel paese di provenienza;
V. – la deduzione imponeva alla corte d’appello di svolgere un giudizio di effettiva comparazione, poiché non può sostenersi che essa fosse generica o astratta;
tale valutazione, al di là della formula impiegata dalla corte territoriale, è stata sostanzialmente elusa;
questa Corte ha stabilito che la protezione umanitaria richiede sempre una valutazione di tipo comparativo (Cass. Sez. U. n. 29459-19), salvo che non sussistano situazioni di deprivazione dei diritti umani di particolare gravità nel paese originario tali da fondare il diritto alla protezione anche in assenza di un apprezzabile livello di integrazione in Italia (Cass. Sez. U. n. 24413-21);
l’essenzialità della valutazione comparativa è stata confermata anche dall’ultima delle decisioni citate a petto del criterio cd. di comparazione inversa, vale a dire “attribuendo alla condizione del richiedente nel paese di provenienza un peso tanto minore quanto maggiore risulti il grado di integrazione che il richiedente dimostri di aver raggiunto nella società italiana”; e peraltro con la precisazione che, “qualora si accerti che tale livello è stato raggiunto e che il ritorno nel paese d’origine renda probabile un significativo scadimento delle condizioni di vita privata e/o familiare tali da recare un vulnus al diritto riconosciuto dall’art. 8 della Cedu”, devesi ritenere astrattamente sussistente un serio motivo di carattere umanitario, ai sensi dell’art. 5 T.U. Imm., per riconoscere il permesso di soggiorno (così appunto Cass. Sez. U. n. 24413-21, nella parte finale della motivazione);
VI. – l’evoluzione del quadro giurisprudenziale suffraga il definitivo abbandono della tesi secondo cui la valutazione suddetta andrebbe in qualche modo contenuta nei limiti delle ragioni della domanda di protezione, a fronte invece della più seria rilevanza da annettere alla condizione soggettiva del richiedente all’attualità, vale a dire al momento della decisione giudiziale;
VII. – se tanto rappresenta, da un lato, la ragione principe della non essenzialità del giudizio di eventuale inattendibilità del racconto posto a base della domanda di protezione (salvi naturalmente i casi di inaffidabilità integrale in ordine all’identità del soggetto e alla sua specifica provenienza), dall’altro impone al giudice del merito di associare la domanda al contesto attuale di vita del richiedente siccome ottenuto in base alle risultanti dell’impegno profuso nel paese di accoglienza: e quindi all’effettivo grado di integrazione raggiunto da comparare con ciò che, invece, lo attenderebbe in caso di rimpatrio; per modo da stabilire – così – se tra i due livelli della comparazione possa dirsi in effetti esistente una sproporzione tale da ridurre il rimpatrio a mezzo di retrocessione verso condizioni non compatibili col mantenimento di una vita dignitosa;
VIII. – poiché l’integrazione lavorativa è certamente uno dei possibili snodi dell’integrazione sociale, non può che concludersi nel senso della cassazione dell’impugnata sentenza con rinvio, onde far sì che la corte d’appello di Catanzaro, in diversa composizione, rinnovi l’esame della domanda di protezione umanitaria svolgendo le pertinenti valutazioni in fatto in conformità ai principi esposti; la corte d’appello provvederà anche sulle spese del giudizio svoltosi in questa sede di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso, inammissibili gli altri; cassa l’impugnata sentenza in relazione al motivo accolto e rinvia alla corte d’appello di Catanzaro anche per le spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 10 dicembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 10 gennaio 2022