Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.360 del 10/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ESPOSITO Lucia – Presidente –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – rel. Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17630-2020 proposto da:

SOCIETA’ ACQUAENNA S.c.p.A., in persona dell’Amministratore Delegato e legale rappresentante pro tempore, domiciliata presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA, rappresentata e difesa dall’avvocato FULVIA FAZZI;

– ricorrente –

contro

C.L., domiciliato presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA, rappresentato e difeso dall’avvocato AGOSTINO FULVIO LICARI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 344/2019 della CORTE D’APPELLO di CALTANISSETTA, depositata il 09/10/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 21/09/2021 dal Consigliere Relatore Dott. FABRIZIO AMENDOLA.

RILEVATO

CHE:

1. la Corte d’Appello di Caltanissetta, con la sentenza impugnata, in riforma della pronuncia di primo grado, ha rigettato l’opposizione proposta da Acquaenna s.c.p.a. avverso l’atto di precetto notificatole in data 14.1.2015 a cura di C.L.;

2. i giudici d’appello, in sintesi, hanno ritenuto “la certezza e liquidità del credito oggetto di intimazione” in relazione al titolo esecutivo, azionato con il precetto, rappresentato da una sentenza del Tribunale di Enna che aveva dichiarato la sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato tra la società ed il C. con decorrenza dal 21 luglio 2005 e condannato la datrice di lavoro alla reintegrazione del lavoratore ed al risarcimento del danno pari alle retribuzioni non percepite dalla data di costituzione in mora del 24.1.2008 sino all’effettiva reintegrazione;

per la Corte nissena, “al fine di scongiurare il pericolo di opposizioni pretestuose e prive di reale fondamento”, il giudice dell’esecuzione ha l’obbligo di verificare se il credito possa essere quantificato in maniera certa alla stregua degli elementi ritualmente acquisiti al processo, non potendosi limitare l’intimato “a resistere trincerandosi esclusivamente dietro la presunta genericità del titolo”; ha quindi ritenuto che “nel giudizio ove il titolo esecutivo azionato si è formato sono stati raccolti tutti gli elementi necessari al fine della esatta quantificazione del credito azionato, soprattutto attraverso l’acquisizione dei prospetti paga, di certa formazione della società appellata, che, in applicazione delle norme del CCNL Gas Acqua all’interno della stessa applicato dato questo del tutto pacifico ed incontestato tra le parti – davano esattamente conto di tutti i parametri contrattuali alla cui stregua all’appellante era corrisposta la retribuzione, ossia la qualifica di impiegato di livello 5 del CCNL in menzione, non potendo condividersi quanto sostenuto dal primo giudice che i suddetti elementi non sarebbero utilizzabili ai fini della corretta quantificazione del credito giacché di essi non si darebbe conto in sentenza, trattandosi comunque, osserva questa Corte, di elementi pacificamente acquisiti nell’ambito dello stesso procedimento, assolutamente non contestati dalla società AcquaEnna, né nel corso dello stesso né con l’opposizione a precetto in trattazione “;

3. per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la società soccombente con un unico articolato motivo; ha resistito con controricorso C.L.;

4. la proposta del relatore ex art. 380 bis c.p.c. è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale; entrambe le parti hanno comunicato memorie.

CONSIDERATO

CHE:

1. con il motivo di ricorso si denuncia: “violazione e falsa applicazione di norma di legge di cui all’art. 474 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e violazione e falsa applicazione di norma di legge di cui all’art. 116 c.p.c. e art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”; si argomenta diffusamente come il tribunale in primo grado avesse correttamente ritenuto la illiquidità del titolo esecutivo e si critica il diverso avviso espresso dai giudici d’appello, contestando l’esistenza nella specie degli elementi extratestuali utili ad integrare la condanna generica e che gli stessi siano stati ritualmente acquisiti al processo;

2. il motivo non merita accoglimento;

la sentenza impugnata è conforme al principio di diritto espresso da questa Corte a Sezioni unite (cent. n. 11066 del 2012) secondo cui: “Il titolo esecutivo giudiziale, ai sensi dell’art. 474 c.p.c., comma 2, n. 1, non si identifica, né si esaurisce, nel documento giudiziario in cui è consacrato l’obbligo da eseguire, essendo consentita l’interpretazione extratestuale del provvedimento, sulla base degli elementi ritualmente acquisiti nel processo in cui esso si è formato. Ne consegue che il giudice dell’opposizione all’esecuzione non può dichiarare d’ufficio la illiquidità del credito, portato dalla sentenza fatta valere come titolo esecutivo, senza invitare le parti a discutere la questione e a integrare le difese, anche sul piano probatorio” (nello stesso senso Cass. n. 19641 del 2015; Cass. n. 26567 del 2016; Cass. n. 5049 del 2020; Cass. n. 26935 del 2020);

va aggiunto che “la valutazione della rilevanza ed idoneità di tali fonti d’integrazione extratestuale dell’accertamento contenuto nel titolo spetta al giudice di merito” (in termini: Cass. n. 19641 del 2015), con un apprezzamento che non può essere sindacato in questa sede di legittimità;

la censura, quindi, laddove contesta la valutazione operata dalla Corte territoriale in ordine agli elementi extratestuali idonei ad offrire la determinazione del credito che – come riportato nello storico della lite – la motivazione impugnata specifica, inevitabilmente impinge nel merito, come è conclamato dall’improprio riferimento alla violazione sia dell’art. 2697 c.c. (cfr. Cass. n. 15107 del 2013; Cass. n. 13395 del 2018) che dell’art. 116 c.p.c. (cfr. Cass. n. 24395 del 2020, Cass. n. 1229 del 2019, Cass. n. 27000 del 2016), cui si aggiungono i gravi difetti di specificità di cui è affetta la formulazione del motivo che non riporta neanche il contenuto per esteso della motivazione della sentenza che ha dato luogo all’azione esecutiva;

3. conclusivamente il ricorso va respinto, con spese che seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo;

occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, (Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020).

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese liquidate in Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori secondo legge e rimborso spese generali al 15%.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 21 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 10 gennaio 2022

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