LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ESPOSITO Lucia – Presidente –
Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –
Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –
Dott. AMENDOLA Fabrizio – rel. Consigliere –
Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 22078-2020 proposto da:
B.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ALESSANDRIA N 119, presso lo studio dell’avvocato FRANCO CICCHIELLO, rappresentata e difesa dagli avvocati MICHELA MARIA MASSANELLI e MARCO STORTI;
– ricorrente –
contro
POSTE ITALIANE SPA, *****, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, V.LE MAZZINI 134, presso lo studio dell’avvocato LUIGI FIORILLO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato FRANCESCA BONFRATI;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 306/2019 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositata il 27/1272019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 21/09/2021 dal Consigliere Relatore Dott. FABRIZIO AMENDOLA.
RILEVATO
CHE:
1. la Corte d’Appello di Ancona, con la sentenza impugnata, in seguito a rinvio disposto da questa Corte con l’ordinanza n. 11635 del 2018, ha accolto l’eccezione “di risoluzione contrattuale per mutuo consenso”, riproposta da Poste Italiane Spa su questione dichiarata assorbita in sede di legittimità, riformando così la pronuncia di primo grado e rigettando la domanda di B.M. volta a far accertare l’illegittimità del termine apposto a contratti stipulati con la società;
2. i giudici d’appello hanno, in sintesi, rilevato come “dato non contestato quello secondo il quale all’esito dell’ultimo rapporto lavorativo, conclusosi il 31/10/2007, la B. avesse ricevuto le spettanze di fine rapporto, nulla obiettando sulla mancata prosecuzione del rapporto, né mettendo a disposizione le proprie energie lavorative per il periodo successivo alla conclusione del rapporto instaurando il presente giudizio soltanto tre anni dopo la predetta conclusione”; per la Corte “ugualmente incontestata è la circostanza secondo cui la B., ripetutamente convocata nel periodo dal dicembre 2007 al luglio 2010, da Poste Italiane per la stipulazione di un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato ha omesso di presentarsi alla convocazione oppure, in altre occasioni, ha rinunciato espressamente all’assunzione”; secondo il Collegio tale comportamento della lavoratrice “risulta del tutto incompatibile con la volontà di esercitare il proprio diritto di continuare ad espletare attività lavorativa di tipo subordinato alle dipendenze della società”;
3. per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la soccombente con due motivi; ha resistito con controricorso Poste Italiane Spa;
4. la proposta del relatore ex art. 380 bis c.p.c. è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale;
parte ricorrente ha comunicato memoria.
CONSIDERATO
CHE:
1. la B. sottopone a questa Corte due motivi “trattati congiuntamente”, che così sintetizza: “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione all’art. 1372 c.c., comma 1, artt. 1175,1375,2697,1427 e 1431 c.c. e art. 100 c.p.c.” (primo motivo); “Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”, perché la Corte avrebbe omesso di esaminare: “1) il fatto che la ricorrente. B.M. aveva impugnato i contratti a termine dopo circa un anno e mezzo dalla scadenza dell’ultimo rapporto lavorativo, dunque in termini relativamente brevi; 2) il fatto che le mancate presenze alle convocazioni e le dichiarazioni di inesistenza di posizione lavorative di interesse non determinavano la rinuncia all’assunzione e/o la decadenza dalla graduatoria, essendo la manifestazione di un diritto/facoltà espressamente riconosciuto alla ricorrente in base a precedenti accordi, noto alle Poste Italiane; 3) il fatto che, dopo la formalizzazione dell’impugnazione del contratto a termine e nonostante le precedenti dichiarazioni di non interesse e/o le mancate presenze, Poste Italiane ha comunque poi continuato a convocare la ricorrente sino al 2010, o quantomeno sino al luglio 2009, ritenendo che comunque permanesse il diritto della ricorrente l’assunzione”;
2. le censure sono inammissibili;
2.1. questa Corte ha da tempo chiarito che, in tema di contratti a tempo determinato, l’accertamento della sussistenza di una concorde volontà delle parti diretta allo scioglimento del vincolo contrattuale costituisce apprezzamento di merito che si sottrae al sindacato di legittimità al di fuori delle rigorose regole sui motivi che possono essere fatti valere al fine di incrinare la ricostruzione di ogni vicenda storica antecedente al contenzioso giudiziale, previste dall’art. 360 c.p.c., n. 5, tempo per tempo vigente (ab Cass. n. 29781 del 2017, cui si rinvia integralmente; successive conformi, tra le altre: Cass. n. 13660 del 2018; Cass. n. 13661 del 2018; Cass. n. 13958 del 2018; Cass. n. 16948 del 2018);
2.2. tanto premesso in iure, nel caso sottoposto all’attenzione del Collegio, come risulta dallo storico della lite, il giudice del fatto ha considerato una serie di elementi fattuali pervenendo alla valutazione complessiva e congruamente motivata che nella fattispecie concreta fosse stata fornita la prova del mutuo consenso sullo scioglimento del rapporto; per dirla con SS.UU. n. 21691 del 2016, proprio in tema di mutuo consenso: “il giudizio di merito si chiude qui”, senza che tale giudizio possa mutare natura a seconda che l’esito di esso giunga ad affermare che vi fosse oppure non vi fosse mutuo consenso, poiché in entrambi i casi è escluso possa essere suscettibile di un diverso o rinnovato apprezzamento in sede di legittimità;
tutte le censure proposte, da un lato, non investono omissioni, insufficienze o contraddittorietà del discorso giustificativo su fatti realmente decisivi della controversia, intesi come idonei a determinare un diverso esito della lite con giudizio di certezza, e non di mera probabilità o possibilità, e, d’altro canto, si infrangono contro la palese sussistenza, nella sentenza impugnata, dei requisiti strutturali dell’argomentazione, mentre le doglianze si sostanziano nel ripercorrere criticamente il ragionamento decisorio svolto dal giudice a quo, sicché incidono sull’intrinseco delle opzioni nelle quali propriamente si concreta il giudizio di merito, risultando per ciò stesso estranee all’ambito meramente estrinseco entro il quale è circoscritto il giudizio di legittimità (cfr. Cass. SS.UU. n. 8054 del 2014, che richiama Cass. n. 14953 del 2000);
3. conclusivamente il ricorso va dichiarato inammissibile, con spese che seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo;
occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, (Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020).
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese liquidate in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori secondo legge e spese generali al 15%. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 21 settembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 10 gennaio 2022