Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.366 del 10/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6599/2015 proposto da:

Far Bar Srl, elettivamente domiciliato in Roma Via Federico Cesi 72 presso lo studio dell’avvocato De Stasio Bernardo che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Bricchi Massimo;

– ricorrente –

contro

Agenzia Delle Entrate Direz. Prov.le ***** Milano, Agenzia Delle Entrate – Sede Centrale Roma;

– intimati –

e contro

Agenzia delle Entrate, Sede Centrale di Roma, in persona del Direttore pro tempore, con domicilio eletto in Roma Via dei Portoghesi n. 12 presso l’Avvocatura Generale dello Stato che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4944/2014 della COMM.TRIB.REG., LOMBARDIA, depositata il 25/09/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21/10/2021 dal Consigliere MONDINI ANTONIO.

PREMESSO che:

1. con la sentenza in epigrafe, la CTR della Lombardia, in riforma della decisione di primo grado, ha rigettato il ricorso della società Far.Bar. srl contro l’avviso di liquidazione di maggiori imposte di registro, ipotecaria e catastale emesso dalla Agenzia delle Entrate in rettifica del valore, dichiarato nel contratto di vendita stipulato dalla predetta società nella veste di cedente, di un ramo di azienda costituito dall'”attività ricompresa nel settore immobiliare”. In particolare la CTR ha ritenuto congrua sia la stima dell’avviamento sia la stima di un fabbricato aziendale adibito a negozio.

Riguardo alla stima dell’avviamento, che era stata contestata dalla contribuente sul motivo che i dati presi dall’ufficio a riferimento erano stati irragionevolmente quelli dell’intera azienda invece che quelli del ramo d’azienda ceduto, la CTR ha specificato che in base agli atti “risulta(va) acclarato che la contribuente aveva sostanzialmente ceduto pressoché l’intero complesso costituente l’azienda” essendo stati esclusi dalla vendita solo “debiti, crediti nonché immobilizzazioni finanziarie” ed ha affermato che, date le risultanze relative all’ammontare dei ricavi aziendali realizzati, era da ritenersi corretta metodologicamente e congrua la stima dell’avviamento effettuata dall’ufficio con “il criterio della attualizzazione del reddito prospettico”, applicato in riferimento “alla media dei ricavi realizzati dalla società nel triennio anteriore alla cessione” con proiezione su un periodo di sette anni “in considerazione della stabilità economica del complesso aziendale trasferito”:

2. la contribuente ricorre per la cassazione della sentenza in epigrafe articolando quattro motivi di doglianza. L’Agenzia, con controricorso, chiede la conferma della sentenza.

CONSIDERATO

che:

1. con il primo motivo di ricorso la contribuente lamenta violazione degli artt. 329 e 112 c.p.c. per essersi la CTR pronunciata in merito alla congruità della stima del fabbricato compravenduto operata dall’ufficio in rettifica del valore indicato in contratto, nonostante che l’ufficio stesso non avesse presentato alcun motivo di appello contro la dichiarazione dei primi giudici secondo cui invece detta rettifica era ingiustificata e nonostante che, per di più, essa contribuente avesse eccepito la definitività di tale dichiarazione;

2. il motivo non è fondato.

L’acquiescenza alla sentenza, preclusiva dell’impugnazione ai sensi dell’art. 329 c.p.c., consiste nell’accettazione della sentenza, ovverosia nella manifestazione da parte del soccombente della volontà di non impugnare, la quale può avvenire sia in forma espressa che tacita: in quest’ultimo caso, sussiste l’acquiescenza soltanto quando l’interessato abbia posto in essere atti dai quali sia possibile desumere, in maniera precisa ed univoca, il proposito di non contrastare gli effetti giuridici della pronuncia, e che siano assolutamente incompatibili con la volontà di avvalersi dell’impugnazione.

Come evidenziato dai giudici di appello, l’ufficio, pur sviluppando articolate considerazioni solo riguardo al valore dell’avviamento, aveva chiesto l’integrale riforma della sentenza di primo grado e la conferma “della legittimità dell’avviso di rettifica e liquidazione”. Aveva quindi posto in discussione l’intero contenuto della pronuncia appellata. Di conseguenza la CTR, pronunciando sulla pretesa impositiva anche per la parte riferita al valore del fabbricato aziendale, non ha commesso la denunciata violazione degli artt. 329 e 112 c.p.c.;

3. con il secondo motivo di ricorso la contribuente lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 che la CTR abbia omesso “l’esame delle argomentazioni proposte da (essa) contribuente” per contestare la rettifica, argomentazioni correlate a ciò che, essendo stato l’immobile compravenduto concesso in locazione ad uso farmacia, l’avviamento avrebbe dovuto essere calcolato non sulla media dei ricavi iscritti in bilancio dalla società nei tre anni precedenti alla vendita e relativi “alla attività commerciale di vendita di materiale edile che non era stata ceduta” ma sul canone di locazione.

4. il motivo è inammissibile.

Va premesso che, come questa Corte ha già avuto modo di precisare (v. ordinanza n. 22397 del 6/9/2019), “l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nell’attuale testo modificato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 2 riguarda un vizio specifico denunciabile per cassazione relativo all’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, da intendersi riferito a un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni, sicché sono inammissibili le censure che, irritualmente, estendano il paradigma normativo a quest’ultimo profilo”.

Ciò premesso, poiché il vizio suddetto deve essere riferito ad un fatto, oltre che “preciso”, già allegato nei gradi di merito, sono inammissibili le censure che, come la censura in esame, siano riferite a prospettazioni di fatto in contrasto o anche solo diverse da quelle esposte a base del ricorso originario. Nel ricorso la ricorrente ricorda di avere impugnato la rettifica, da un lato, quanto al valore dell’avviamento, facendo valere che i dati di bilancio, precisamente i ricavi, presi in considerazione dall’Agenzia erano stati quelli relativi all’intera azienda laddove invece avrebbero dovuto essere quelli relativi al ramo ceduto, dall’altro lato, quanto al valore dell’immobile prospettando “che la vendita non riguardava la piena proprietà dello stesso ma bensì un diritto di superficie novantennale”. La prospettazione a base del motivo ha riferimento ad altro;

5. con il terzo motivo di ricorso la contribuente lamenta violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 32 e 33 per avere la CTR trattato la causa in camera di consiglio invece che in pubblica udienza dopo avere comunicato, in un primo momento, che la trattazione sarebbe avvenuta in pubblica udienza per una certa data e poi, proprio in tale data, che sarebbe invece avvenuta in camera di consiglio in quanto l’istanza di trattazione in pubblica udienza presentata da essa contribuente non risultava essere stata notificata all’ufficio appellante. La contribuente aggiunge che la CTR avrebbe dovuto immediatamente evidenziare il difetto di notifica consentendo così di ovviarvi;

6. il motivo è inammissibile. La ricorrente, con la denuncia della violazione della norma processuale, non ha prospettato alcun concreto pregiudizio subito per effetto della violazione medesima. La denuncia di vizi fondati sulla pretesa violazione di norme processuali non tutela l’interesse all’astratta regolarità dell’attività giudiziaria, ma garantisce l’eliminazione del pregiudizio subito dal diritto di difesa della parte in conseguenza della denunciata violazione cosicché in tanto l’impugnazione con la quale si lamenti un vizio del processo è ammissibile sotto il profilo dell’interesse (art. 100 c.p.c.) in quanto vengano prospettate anche le ragioni per le quali l’erronea applicazione della regola processuale ha comportato, per la parte, una lesione del diritto di difesa o altro pregiudizio per la decisione di merito;

7. con il quarto motivo di ricorso la contribuente lamenta violazione della L. n. 241 del 1990, art. 6, commi 5 e 7 e art. 12, comma 7 e dell’art. 24 Cost. per avere la CTR respinto l’eccezione “di nullità degli atti del procedimento (relativo all’avviso impugnato) per mancata costituzione del contraddittorio tra ufficio impositore e contribuente, non esistendo nel nostro ordinamento tributario un obbligo di carattere generale a pena di nullità…”;

8. il motivo è infondato.

Le sezioni unite di questa Corte, con sentenza n. 24823 del 09/12/2015, hanno puntualizzato che “In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, esclusivamente per i tributi “armonizzati”, mentre, per quelli “non armonizzati”, non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, sicché esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito”.

Nel caso che occupa, per un verso, l’avviso di liquidazione non è stato emesso a seguito di sottoposizione della contribuente a verifica fiscale e non riguarda tributi armonizzati, per altro verso, nessuna norma del D.P.R. n. 131 del 1986 in tema di imposta di registro o del D.Lgs. n. 347 del 1990 in tema di imposte ipo-catastali, sancisce l’obbligo di contraddittorio endoprocedimentale (tanto meno a pena di nullità dell’avviso);

9. in ragione di quanto precede il ricorso deve essere rigettato;

10. le spese seguono la soccombenza.

PQM

la Corte rigetta il ricorso e condanna la contribuente a rifondere alla Agenzia delle Entrate le spese di causa, liquidate in Euro 5600,00, oltre spese prenotate a debito;

ai sensi del testo unico approvato con il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il pagamento, a carico della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, svolta con modalità da remoto, il 21 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 10 gennaio 2022

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