LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –
Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –
Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –
Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –
Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 23390/2020 proposto da:
M.T., rappresentata e difesa dall’avvocato Assunta Fico, per procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che lo rappresenta e difende ope legis;
– resistente –
avverso la sentenza n. 379/2020 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 10/03/2020;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 10/12/2021 dal Cons. Dott. PARISE CLOTILDE.
FATTI DI CAUSA
1. La Corte d’appello di Catanzaro, con sentenza n. 379/2019 depositata in data 10/3/2020, ha respinto l’impugnazione di M.T., cittadino del *****, avverso ordinanza del Tribunale che aveva respinto la sua richiesta, a seguito di diniego della competente Commissione territoriale, di riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria ed umanitaria. In particolare, i giudici d’appello, ritenuta preliminarmente non necessaria l’audizione del richiedente, hanno affermato che non era credibile il racconto di quest’ultimo, il quale riferiva di essere di etnia ***** e di essere scappato dal Paese d’origine, a seguito del crollo di una fabbrica in cuì lavoravano il fratello e la cognata. In ogni caso, la Corte d’appello ha confermato il giudizio del Tribunale sull’insussistenza dei presupposti del riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, non sussistendo in Bangladesh una situazione di violenza indiscriminata (sulla base dei più accreditati siti di informazione: Ecoi 2015, *****, *****, *****). Neppure ricorrevano i presupposti per la chiesta protezione umanitaria, non essendo sufficiente la mera aspirazione a condizioni di vita migliori ed essendo il Bangladesh un Paese in grado di assicurare adeguata assistenza sanitaria.
2. Avverso il suddetto provvedimento, il ricorrente propone ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno, che si è costituito tardivamente, al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione.
3. Con ordinanza interlocutoria pubblicata il 2-9-2021 la causa è stata rinviata a nuovo ruolo in attesa della decisione delle Sezioni Unite sulla questione in tema di protezione umanitaria rimessa con ordinanza di questa Corte n. 28316/2020.
4. All’esito della pubblicazione della sentenza n. 24413/2021 delle Sezioni Unite di questa Corte, il ricorso è stato nuovamente fissato per l’adunanza in Camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c. e art. 380 bis.1 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. I motivi di ricorso sono così rubricati:”I. Violazione ex art. 360, n. 3 – Violazione di legge – Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 – Violazione e falsa applicazione dell’art. 46, comma 3, della Direttiva n. 2013/32; II. Violazione ex art. 360, comma 1, n. 4: violazione art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4, per omessa valutazione documenti prodotti; III. Violazione ex art. 360 c.p.c., n. 3. Violazione e Falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2,3,5,6,7,8 e 14. Violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27. In merito al riconoscimento dello status di rifugiato per persecuzioni etniche subite; IV. Violazione art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3: violazione D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5 e s.m.i., violazione D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, mancata comparazione tra integrazione sociale e situazione personale del richiedente”. Con il primo motivo, il ricorrente si duole della sua mancata audizione personale, che avrebbe potuto invero fugare i dubbi concernenti le contestazioni avanzate in fase amministrativa e dal giudice di primo grado e determinare una decisione differente in punto di credibilità. Con il secondo motivo lamenta l’omessa valutazione del suo livello di integrazione (in particolare, il lavoro prestato a tempo pieno, dal 2018, presso azienda del Gruppo Fincantieri come aiutante tubista navale, nonché l’acquisizione di stabilità abitativa ed economica e le relazioni amicali instaurate in Italia) e dei documenti prodotti in ordine alla grave patologia di cui era affetto (cronica epatite B), necessitante di trattamento farmacologico e dietetico. Con il terzo motivo, si duole del mancato riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, malgrado gli atti persecutori subiti per motivi etnici, allegati, e la situazione di violenza diffusa, violazione dei diritti umani, corruzione esistente nel Paese d’origine. Con il quarto motivo lamenta il ricorrente la mancata comparazione tra l’integrazione sociale da egli raggiunta in Italia e la situazione personale, ai fini della chiesta protezione umanitaria. Deduce di essere ormai così radicato in Italia che un suo rientro forzoso in Bangladesh (Paese da cui è dovuto fuggire anche per le condizioni di assoluta povertà, oltre che di emarginazione, in cui viveva) lo esporrebbe ad una condizione di vulnerabilità meritevole di tutela con la chiesta protezione per ragioni umanitarie.
2. I motivi primo e terzo sono inammissibili.
2.1. Il ricorrente si duole che non sia stata rinnovata la sua audizione (primo motivo), ma non indica puntualmente i fatti che erano stati dedotti avanti al giudice del merito a sostegno di tale richiesta, difettando così la censura di specificità (Cass. 25312/2020). Inoltre si duole del tutto genericamente del mancato esercizio del potere istruttorio ufficioso da parte della Corte d’appello (terzo motivo), in ordine ai maltrattamenti asseritamente subiti dagli appartenenti all’etnia *****, alla corruzione, al sistema giudiziario iniquo (cfr. pag. 24 ricorso). Il ricorrente richiama informazioni non specificamente riferite a situazioni di violenza indiscriminata e sollecita, in buona sostanza, una rivalutazione dell’accertamento di fatto effettuato, per quanto di rilevanza ai fini della protezione sussidiaria ex art. 14, lett. c) citato, dai giudici d’appello con ampie e diffuse citazioni tratte da fonti informative (pag. 9-10-11 sentenza impugnata), la cui affidabilità non è specificamente censurata in ricorso.
3. Sono fondati i motivi secondo e quarto, con i quali il ricorrente si duole del rigetto della domanda di protezione umanitaria, nella specie disciplinata dal regime anteriore a quello introdotto dal D.L. n. 113 del 2018, deduce, nel riportare stralcio dell’atto di appello (pag. 8 e 9 ricorso), di aver allegato nel giudizio di merito di lavorare a tempo pieno dal 2018 e di aver intessuto relazioni amicali con cittadini italiani, sì da avere raggiunto un elevato grado di integrazione in Italia, e rileva che il giudizio di comparazione è stato svolto erroneamente dalla Corte d’appello.
3.1. Con la recente sentenza n. 24413/2021, le Sezioni Unite di questa Corte, nel ribadire quanto già affermato con la precedente sentenza n. 29459/2019 circa i caratteri di concretezza ed effettività connotanti il giudizio di comparazione, hanno ulteriormente chiarito che i due termini di raffronto sono legati in senso inversamente proporzionale tra loro. In particolare, il maggior grado di integrazione in Italia ovvero le condizioni di vita ben integrate e documentate da parte dello straniero determineranno un minor peso della condizione soggettiva e oggettiva del richiedente nel paese di origine, e ciò in quanto la persona ben integrata e radicata, ove rimpatriata, potrebbe subire un effettivo scadimento delle condizioni di vita personali, familiari e lavorative, con il conseguente probabile vulnus al diritto riconosciuto dall’art. 8 della Convenzione EDU. Il giudizio di comparazione, dunque, dovrà essere effettuato tenendo conto della necessaria correlazione tra gli elementi sopra indicati in rapporto di proporzionalità inversa, mediante attribuzione ai rispettivi fattori di comparazione di un diverso peso nel senso precisato, non potendo porsi su un piano di equivalenza le documentate condizioni di integrazione e la situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine. L’indagine andrà condotta alla stregua del disposto dell’art. 8 CEDU, ossia occorrerà verificare se sussista il profilo di vulnerabilità legato alla comparazione tra il contesto economico, lavorativo e relazionale che il richiedente troverebbe rientrando nel paese di origine e le condizioni di integrazione dal medesimo raggiunta in Italia nel tempo necessario al compimento dell’esame della sua domanda di protezione in sede amministrativa e giudiziaria. A tal fine, eccezion fatta per le ipotesi di radicale incertezza sulla identità o nazionalità stessa del richiedente, non è di ostacolo al riconoscimento del beneficio domandato la ritenuta non credibilità del racconto della vicenda personale reso dal richiedente asilo, dovendosi apprezzare le conseguenze del rimpatrio sulla base delle condizioni generali del Paese di origine correlate alla sua posizione individuale.
Deve, altresì, precisarsi che, in tema di protezione complementare di diritto nazionale, di protezione umanitaria in regime transitorio o di protezione speciale introdotta dal D.L. 21 ottobre 2020, n. 130, convertito con modificazioni dalla L. 18 dicembre 2020, n. 173, sul giudice del procedimento incombe il dovere di cooperazione istruttoria, che attiene alla prova dei fatti e non alla loro allegazione, previsto in tema di esame delle domande di protezione internazionale, ai sensi dell’art. 4 della Direttiva CE 13.12.2011 n. 95, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3,D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8 e dello stesso D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 9 e art. 27, comma 1 bis, limitatamente alle circostanze concernenti la situazione sociale, economica o politica del Paese di provenienza del richiedente e non, quindi, relativamente alle circostanze attinenti alla integrazione sociale, culturale, lavorativa e familiare del richiedente asilo in Italia. In definitiva e in sintesi, alla stregua dei principi affermati con la citata recente pronuncia delle Sezioni Unite, i giudici di merito dovranno accertare: i) se il richiedente abbia dimostrato di aver raggiunto un apprezzabile livello di integrazione in Italia (influendo “..nel giudizio sulla vulnerabilità, non solo il rischio di danni futuri legati alle condizioni oggettive e soggettive che il migrante (ri)troverà nel paese d’origine – ma anche il rischio di un danno attuale da perdita di relazioni affettive, di professionalità maturate, di osmosi culturale riuscita..” così Cass. S.U. 24413/2021 citata); ii) in caso di positivo accertamento del primo requisito, se il ritorno nel paese d’origine renda probabile un significativo scadimento delle condizioni di vita privata e/o familiare, sì da recare un vulnus al diritto riconosciuto dall’art. 8 della Convenzione EDU e da far ritenere perciò sussistente un serio motivo di carattere umanitario, ai sensi dell’art. 5 T.U. Imm., e ciò mediante comparazione tra la situazione del Paese di origine e il grado di integrazione in Italia da effettuarsi in rapporto di proporzionalità inversa.
3.2. Nel caso di specie, la Corte di merito, pur dando atto dell’inserimento sociale e lavorativo del richiedente nel territorio nazionale (pag. 14 sentenza), è pervenuta alla conclusione dell’assenza di vulnerabilità, all’esito del bilanciamento tra le varie situazioni allegate dalla parte. Pertanto, la Corte d’appello non ha effettuato il giudizio comparativo secondo i principi di cui si è detto, atteso che ha valutato su un piano paritario i fattori di raffronto.
4. In conclusione, i motivi secondo e quarto vanno accolti, la sentenza impugnata va cassata, nei limiti dei motivi accolti, e la causa va rinviata alla Corte d’appello di Catanzaro, in diversa composizione, anche per la decisione sulle spese del giudizio di legittimità.
PQM
La Corte accoglie i motivi secondo e quarto di ricorso, dichiarati inammissibili gli altri motivi, cassa la sentenza impugnata nei limiti dei motivi accolti e rinvia la causa alla Corte d’appello di Catanzaro, in diversa composizione, anche per la decisione sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 10 dicembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 10 gennaio 2022