Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.394 del 10/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Presidente –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 31910-2020 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, *****, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende, ope legis;

– ricorrente-

contro

D.D.A.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 911/24/2020 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DELLA PUGLIA, depositata il 26/05/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 16/11/2021 dal Consigliere Relatore Dott. LORENZO DELLI PRISCOLI.

RILEVATO

Che:

la parte contribuente, venditore di mobili, proponeva ricorso avverso un avviso di accertamento per IRPEF e altro per l’anno d’imposta 2009;

la Commissione Tributaria Provinciale accoglieva il ricorso della parte contribuente ma la Commissione Tributaria Regionale accoglieva parzialmente l’appello dell’Agenzia delle entrate affermando che la contabilità parallela ritrovata dà analiticamente conto delle vendite di mobili non riportate in contabilità perché non fatturate e la scheda intestata al contribuente presso un produttore di mobili prova l’esistenza di un costo e della relativa evasione IVA, tuttavia la richiesta dell’Ufficio è eccessiva perché, trattandosi di accertamento induttivo, il reddito va calcolato sui ricavi considerando però una percentuale di costi da determinarsi in maniera forfettaria nella misura del 29%;

l’Agenzia delle entrate proponeva ricorso affidato ad un unico motivo mentre la parte contribuente non si costituiva.

CONSIDERATO

Che:

con l’unico motivo di impugnazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’Agenzia delle entrate denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, per aver ritenuto deducibili dei costi indicati dalla sentenza impugnata in maniera forfettaria pur trattandosi nel caso di specie non di accertamento induttivo ma di accertamento analitico induttivo, ove i costi possono essere dedotti solo se di essi il contribuente fornisce la prova.

Il motivo di impugnazione è fondato.

Secondo questa Corte, infatti:

“L’accertamento con metodologia analitico-induttiva procede dall’esame di una contabilità formalmente regolare, dalla quale possa comunque trarsi il giudizio di sostanziale o complessiva inattendibilità, sulla base di elementi che consentano di accertare, in via presuntiva, maggiori ricavi (Cass., Sez. V, 11 aprile 2018, n. 8923). Non e’, pertanto, la gravità delle irregolarità a denotare il corretto ricorso o meno alla metodologia analitica-induttiva, bensì la gravità dei numerosi elementi indiziari, riscontrati dall’Ufficio e valorizzati dal giudice di appello, dai quali trarre la complessiva inattendibilità dei dati contabili (Cass., Sez. V, 12 dicembre 2018, n. 32129; Cass., Sez. V, 13 luglio 2018, n. 18695), elementi che si sarebbero anche potuti identificare in un unico grave elemento indiziario (Cass., Sez. V, 14 ottobre 2020, n. 22184). Analogamente, la sola ricorrenza di una anomalia contabile particolarmente grave come la sussistenza di un saldo negativo di cassa (che implica l’esistenza di voci di spesa superiori alle entrate, come indicato dalla sussistenza nel caso di specie di prelievi di cassa in date in cui non vi era liquidità), è elemento idoneo a far presumere l’esistenza di ricavi non contabilizzati in misura pari almeno al disavanzo (Cass., Sez. V, 26 marzo 2020, n. 7538; Cass., Sez. V, 25 ottobre 2017, n. 25289).

Nella specie, la CTR ha correttamente proceduto dall’analisi di una singolare e significativa anomalia contabile – come la cassa negativa – e ha poi valorizzato, ai fini dell’inattendibilità

complessiva della contabilità, una serie di ulteriori e concordanti elementi indiziari (la mancata crescita dei redditi al crescere dei ricavi, la non congruità dell’attività alla luce degli studi di settore e l’elevato tenore di vita della famiglia del contribuente non giustificato da redditi dichiarati o esenti), al fine di ritenere correttamente redatto l’avviso impugnato con metodologia analitico-induttiva, integrando con gli elementi induttivi (quale il calcolo della percentuale di ricarico del costo del venduto) gli elementi contabili che risultavano inattendibili” (Cass. n. 26299 del 2021);

in tema di accertamento dei redditi di impresa, l’Ufficio può procedere a quello analitico-induttivo, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, anche in presenza di scritture formalmente regolari, ove la contabilità risulti complessivamente inattendibile sulla base di elementi indiziari gravi e precisi, come il sensibile scostamento delle percentuali di ricarico anche in relazione allo stesso periodo di imposta oggetto dell’accertamento (Cass. n. 32129 del 2018);

in tema di reddito d’impresa, ai fini della deducibilità dei costi sostenuti, il contribuente è tenuto a dimostrarne l’inerenza, intesa in termini qualitativi e dunque di compatibilità, coerenza e correlazione, non già ai ricavi in sé, ma all’attività imprenditoriale svolta, sicché deve provare e documentare l’imponibile maturato, ossia l’esistenza e la natura dei costi, i relativi fatti giustificativi e la loro concreta destinazione alla produzione (Cass. n. 2224 del 2021);

“in tema di imposte sui redditi, l’Amministrazione finanziaria deve riconoscere una deduzione in misura percentuale forfettaria dei costi di produzione soltanto in caso di accertamento induttivo “puro” D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 2, mentre in caso di accertamento analitico o analitico presuntivo (come in caso di indagini bancarie) è il contribuente ad avere l’onere di provare l’esistenza di costi deducibili, afferenti ai maggiori ricavi o compensi, senza che l’Ufficio possa, o debba, procedere al loro riconoscimento forfettario” (Cass. n. 22868 del 2017; Cass. n. 7743 del 2019; Cass. n. 8590 del 2020; Cass. n. 8613 del 2021);

in tema di imposte sul reddito d’impresa, in presenza di contestazione dell’Amministrazione finanziaria relativa all’insussistenza di una posta passiva iscritta a bilancio, è onere del contribuente dimostrare l’esistenza e l’ammontare della stessa, oltre che l’inerenza all’attività di impresa esercitata ai fini della deduzione, senza che rilevi l’eventuale inerzia dell’Ufficio relativamente alla dichiarazione resa per i periodi di imposta precedenti, contenente la medesima posta, stante l’autonomia di ciascun periodo ai fini dell’esercizio del potere impositivo, tale per cui il termine decadenziale va valutato con riferimento al periodo di imposta cui si riferisce la dichiarazione rettificata (Cass. n. 16430 del 2021; Cass. n. 14999 del 2020);

il principio in virtù del quale è consentito all’imprenditore, in sede di accertamento dell’imposta sul reddito, dedurre dal reddito imponibile anche i costi d’impresa non risultanti dalle scritture contabili non costituisce una deroga alle regole generali in tema di riparto dell’onere della prova, restando, quindi, a carico dell’imprenditore (ovvero, dopo il suo fallimento, del curatore fallimentare) dimostrare di avere effettivamente sostenuto i costi dei quali chiede la deduzione, prova, questa, che, ai sensi dell’art. 2709 c.c., non può essere fornita attraverso la mera annotazione del costo nel libro giornale (Cass. n. 16430 del 2021; Cass. n. 5079 del 2017);

in tema di imposte sui redditi d’impresa, l’abrogazione, ad opera del D.P.R. n. 917 del 1996, art. 5, del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75, comma 6, che impediva la deduzione dei costi non regolarmente registrati nelle scritture contabili, non ne determina l’automatica deducibilità, dovendo l’imprenditore dimostrare di averli effettivamente sostenuti: tale prova, tuttavia, non può essere fornita esclusivamente mediante le annotazioni del libro giornale, in quanto le stesse, per un verso, non fanno fede della veridicità dei dati in esso esposti e, per un altro, non costituiscono prova a favore dell’imprenditore ai sensi dell’art. 2709 c.c. (Cass. n. 16430 del 2021; Cass. n. 18401 del 2018);

in tema di accertamento delle imposte sui redditi, spetta al contribuente l’onere della prova dell’esistenza, dell’inerenza e, ove contestata dall’Amministrazione finanziaria, della coerenza economica dei costi deducibili. A tal fine non è sufficiente che la spesa sia stata contabilizzata dall’imprenditore, occorrendo anche che esista una documentazione di supporto da cui ricavare, oltre che l’importo, la ragione e la coerenza economica della stessa, risultando legittima, in difetto, la negazione della deducibilità di un costo sproporzionato ai ricavi o all’oggetto dell’impresa (nella specie, la Cassazione ha negato la deducibilità dei premi, di importo cospicuo, corrisposti dall’amministratore della società alle proprie affiliate in assenza di un supporto documentale: Cass. n. 16430 del 2021; Cass. n. 13300 del 2017).

La Commissione Tributaria Regionale non si è attenuta ai suddetti principi laddove – di fronte ad una contabilità parallela che “dà analiticamente conto delle vendite di mobili non riportate in contabilità perché non fatturate” – ha ciò nonostante ritenuto trattarsi di un accertamento induttivo “puro” e non di un accertamento analitico-induttivo, senza considerare la possibilità che tale contabilità parallela consentisse di attuare un accertamento fondato non solo su un metodo induttivo ma anche su un metodo analitico, basato appunto sull’analisi di tale contabilità parallela, che dà analiticamente conto delle vendite. Dunque, qualora, in sede di giudizio di rinvio, si ritenga trattarsi in fatto di un accertamento avvenuto con metodo analitico-induttivo, i costi deducibili non potranno essere dedotti forfettariamente ma dovranno essere provati nella loro esistenza dalla parte contribuente.

Pertanto, ritenuto fondato il motivo di impugnazione, il ricorso dell’Agenzia delle entrate va conseguentemente accolto e la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale della Puglia, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale della Puglia, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 16 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 10 gennaio 2022

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