Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.396 del 10/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23760/2020 proposto da:

A.S., rappresentato e difeso dall’avvocato Antonella Macaluso, per procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che lo rappresenta e difende ope legis;

– resistente –

avverso la sentenza n. 759/2019 della CORTE D’APPELLO di CALTANISSETTA, depositata il 06/12/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 10/12/2021 dal Cons. Dott. PARISE CLOTILDE.

FATTI DI CAUSA

1. Il ricorrente A.S., cittadino pakistano, ha narrato di avere lasciato il paese perché il figlio aveva subito abusi sessuali da persone protette dall’Imam del villaggio, che aveva denunciato e da cui era stato minacciato di morte. Respinta la richiesta di protezione internazionale dalla competente Commissione territoriale, il ricorrente ha adito il Tribunale di Caltanissetta che ha ritenuto la storia poco credibile e confermato il giudizio della Commissione.

La Corte d’appello di Caltanissetta ha respinto l’appello dell’odierno ricorrente rilevando che il racconto della vicenda individuale è contraddittorio e privo di dettagli. La Corte ha quindi escluso il rischio di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), rilevando che, secondo le informazioni tratte dal report EASO 2018 nel paese di provenienza del ricorrente (Punjab) non si rileva una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato. La Corte ha infine escluso il diritto riconoscimento della protezione umanitaria, pur dando atto della integrazione in Italia, anche in ragione di un rapporto di lavoro, considerandola argomento recessivo rispetto alla ritenuta inattendibilità del racconto.

2. Avverso il suddetto provvedimento, il ricorrente propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno, che si è costituito tardivamente, al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione.

3. Con ordinanza interlocutoria pubblicata il 10-9-2021 la causa e stata rinviata a nuovo ruolo in attesa della decisione delle Sezioni Unite sulla questione in tema di protezione umanitaria rimessa con ordinanza di questa Corte n. 28316/2020.

4. All’esito della pubblicazione della sentenza n. 24413/2021 delle Sezioni Unite di questa Corte, il ricorso è stato nuovamente fissato per l’adunanza in Camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c. e art. 380 bis.1 c.p.c..

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. I motivi di ricorso sono così rubricati:”I.Vio/azione e falsa applicazione dell’art. 1 della convenzione di Ginevra e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. e) e artt. 5, 7 e 8, anche alla luce del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3,; IL Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 e omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio; III. Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 2, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 1 (T.U. Immigrazione) in ordine alla concessione di un permesso per motivi umanitari e al riconoscimento di una protezione di tipo umanitaria, ai sensi dell’art. 3 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio”.

2. In via pregiudiziale, va dichiarata la tempestività dell’odierno ricorso, benché notificato (il 2 settembre 2020) oltre il termine di cui all’art. 327 c.p.c., rispetto alla data di pubblicazione della sentenza impugnata (6 dicembre 2019), attese le misure adottate dal legislatore per far fronte all’emergenza epidemiologica da Covid-19, in particolare quanto disposto dal D.L. n. 18 del 2020, art. 83, comma 2 (convertito, con modificazioni, dalla L. n. 27 del 2020), che ha sospeso, per il periodo dal 9 marzo 2020 al 15 aprile 2020, successivamente allungato fino all’11 maggio 2020 dal D.L. n. 23 del 2020, art. 36 (convertito, con modificazioni, dalla L. n. 40 del 2020), il decorso dei termini per il compimento di qualsiasi atto dei procedimenti civili e penali.

3. I primi due motivi, da esaminarsi congiuntamente per la loro connessione, sono inammissibili.

3.1. Il ricorrente censura, ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, il giudizio di non credibilità della vicenda personale narrata, per non avere la Corte di merito fatto applicazione del principio dell’onere probatorio attenuato e della cooperazione istruttoria ufficiosa e per non avere considerato il contesto politico del Pakistan, nonché deduce che nel suo Paese e nel Punjab esiste una situazione di instabilità, come risulta dalle fonti del 2017 e del 2018 che richiama (pag. 5 e 6 ricorso).

3.2. Le censure riferite al giudizio di non credibilità, sotto l’apparente denuncia del vizio di violazione di legge e motivazionale, sono in realtà dirette a sollecitare il riesame del merito. La Corte d’appello ha evidenziato, con motivazione adeguata e facendo applicazione dei parametri legali di cui al D.Lgs. n. 151 del 2007, art. 3, profili di inverosimiglianza e contraddittorietà del narrato (cfr. pag. 4 e 5 della sentenza impugnata). L’art. 3 citato obbliga il giudice a sottoporre le dichiarazioni del richiedente, ove non suffragate da prove, non soltanto ad un controllo di coerenza interna ed esterna, ma anche ad una verifica di credibilità razionale della concreta vicenda narrata a fondamento della domanda (da ultimo Cass. n. 21142/2019; Cass. n. 20580/2019).

Il ricorrente contrappone la propria ricostruzione dei fatti narrati a quella effettuata dai giudici di merito e si duole dell’omessa attivazione dei doveri istruttori ufficiosi, che, invece, non vi è ragione di effettuare, una volta esclusa la credibilità della vicenda personale allegata (tra le tante Cass. n. 3340/2019 e Cass. n. 27336/2018).

3.3. E’ inammissibile anche la censura relativa al diniego della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 151 del 2007, art. 14, lett. c). La Corte di merito, indicando le fonti di conoscenza (pag.7 della sentenza), ha escluso la sussistenza di una situazione di violenza indiscriminata nel Paese di origine del ricorrente e la doglianza si risolve in un’impropria e inconferente critica a detto accertamento fattuale, mediante il richiamo di fonti che si riferiscono ad attentati terroristici, ossia a situazioni non di specifica rilevanza ai fini della protezione di cui trattasi.

4. E’ fondato il terzo motivo, con cui il ricorrente si duole del rigetto della domanda di protezione umanitaria, nella specie disciplinata dal regime anteriore a quello introdotto dal D.L. n. 113 del 2018, e deduce, richiamando la pronuncia 4455/2018 di questa Corte, che ha raggiunto un elevato grado di integrazione in Italia e che il giudizio di comparazione è stato svolto erroneamente dalla Corte d’appello.

4.1. Con la recente sentenza n. 24413/2021, le Sezioni Unite di questa Corte, nel ribadire quanto già affermato con la precedente sentenza n. 29459/2019 circa i caratteri di concretezza ed effettività connotanti il giudizio di comparazione, hanno ulteriormente chiarito che i due termini di raffronto sono legati in senso inversamente proporzionale tra loro. In particolare, il maggior grado di integrazione in Italia ovvero le condizioni di vita ben integrate e documentate da parte dello straniero determineranno un minor peso della condizione soggettiva e oggettiva del richiedente nel paese di origine, e ciò in quanto la persona ben integrata e radicata, ove rimpatriata, potrebbe subire un effettivo scadimento delle condizioni di vita personali, familiari e lavorative, con il conseguente probabile vulnus al diritto riconosciuto dall’art. 8 della Convenzione EDU. Il giudizio di comparazione, dunque, dovrà essere effettuato tenendo conto della necessaria correlazione tra gli elementi sopra indicati in rapporto di proporzionalità inversa, mediante attribuzione ai rispettivi fattori di comparazione di un diverso peso nel senso precisato, non potendo porsi su un piano di equivalenza le documentate condizioni di integrazione e la situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine. L’indagine andrà condotta alla stregua del disposto dell’art. 8 CEDU, ossia occorrerà verificare se sussista il profilo di vulnerabilità legato alla comparazione tra il contesto economico, lavorativo e relazionale che il richiedente troverebbe rientrando nel paese di origine e le condizioni di integrazione dal medesimo raggiunta in Italia nel tempo necessario al compimento dell’esame della sua domanda di protezione in sede amministrativa e giudiziaria. A tal fine, eccezion fatta per le ipotesi di radicale incertezza sulla identità o nazionalità stessa del richiedente, non è di ostacolo al riconoscimento del beneficio domandato la ritenuta non credibilità del racconto della vicenda personale reso dal richiedente asilo, dovendosi apprezzare le conseguenze del rimpatrio sulla base delle condizioni generali del Paese di origine correlate alla sua posizione individuale.

Deve, altresì, precisarsi che, in tema di protezione complementare di diritto nazionale, di protezione umanitaria in regime transitorio o di protezione speciale introdotta dal D.L. 21 ottobre 2020, n. 130, convertito con modificazioni dalla L. 18 dicembre 2020, n. 173, sul giudice del procedimento incombe il dovere di cooperazione istruttoria, che attiene alla prova dei fatti e non alla loro allegazione, previsto in tema di esame delle domande di protezione internazionale, ai sensi dell’art. 4 della Direttiva CE 13.12.2011 n. 95, del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3,D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8 e dello stesso D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 9 e art. 27, comma 1 bis, limitatamente alle circostanze concernenti la situazione sociale, economica o politica del Paese di provenienza del richiedente e non, quindi, relativamente alle circostanze attinenti alla integrazione sociale, culturale, lavorativa e familiare del richiedente asilo in Italia. In definitiva e in sintesi, alla stregua dei principi affermati con la citata recente pronuncia delle Sezioni Unite, i giudici di merito dovranno accertare:i) se il richiedente abbia dimostrato di aver raggiunto un apprezzabile livello di integrazione in Italia (influendo “..nel giudizio sulla vulnerabilità, non solo il rischio di danni futuri legati alle condizioni oggettive e soggettive che il migrante (ri)troverà nel paese d’origine – ma anche il rischio di un danno attuale da perdita di relazioni affettive, di professionalità maturate, di osmosi culturale riuscita..” così Cass. S.U. 24413/2021 citata); in caso di positivo accertamento del primo requisito, se il ritorno nel paese d’origine renda probabile un significativo scadimento delle condizioni di vita privata e/o familiare, sì da recare un vulnus al diritto riconosciuto dall’art. 8 della Convenzione EDU e da far ritenere perciò sussistente un serio motivo di carattere umanitario, ai sensi dell’art. 5 T.U. Imm., e ciò mediante comparazione tra la situazione del Paese di origine e il grado di integrazione in Italia da effettuarsi in rapporto di proporzionalità inversa.

4.2. Nel caso di specie, la Corte di merito, pur dando atto che il ricorrente ha dimostrato di aver raggiunto un certo grado di integrazione nel territorio nazionale (pag. 8 sentenza) e che la situazione oggettiva del Paese di origine è caratterizzata da significative tensioni, è pervenuta alla conclusione dell’assenza di vulnerabilità, affermando che “la complessiva inattendibilità del racconto fatto alla Commissione territoriale non dà adeguata contezza di uno sradicamento qualificato dal territorio di origine, tale da profilare una specifica condizione di vulnerabilità nel caso di rientro a distanza di alcuni anni” (pag. 8 sentenza).

Pertanto, la Corte d’appello non ha effettuato il giudizio comparativo secondo i principi di cui si è detto.

5. In conclusione, il terzo motivo va accolto, la sentenza impugnata va cassata, nei limiti del motivo accolto, e la causa va rinviata alla Corte d’appello di Caltanissetta, in diversa composizione, anche per la decisione sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso, dichiarati inammissibili i primi due motivi, cassa la sentenza impugnata nei limiti del motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d’appello di Caltanissetta, in diversa composizione, anche per la decisione sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 10 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 10 gennaio 2022

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