LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –
Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –
Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –
Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –
Dott. D’ORIANO Milena – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 20826/2017 R.G. proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore p.t., elett.te domiciliata in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende, ope legis;
– ricorrente –
contro
P.F.E. Costruzioni s.a.s. di B.E. & C., in persona del legale rapp.te p.t.,
– intimata –
avverso la sentenza n. 54/1/17 della Commissione Tributaria Regionale della Calabria, depositata in data 2/2/2017, non notificata;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 21 ottobre 2021 dalla Dott.ssa Milena d’Oriano.
RITENUTO
che:
1. con sentenza n. 54/1/17, depositata in data 2 febbraio 2017, non notificata, la Commissione Tributaria Regionale della Calabria rigettava l’appello proposto dall’Agenza delle Entrate avverso la sentenza n. 6793/11/15 della Commissione Tributaria Provinciale di Cosenza, con compensazione delle spese di lite;
2. il giudizio aveva ad oggetto l’impugnazione di un avviso di liquidazione con cui l’Agenzia delle Entrate aveva rettificato, ai fini delle imposte di registro, ipotecaria e catastale, il valore di alcuni terreni, oggetto di una compravendita rogata in data *****, elevando ad Euro 376.554,00 il valore dichiarato di Euro 249.000,00, previa comparazione con terreni similari;
3. la CTP aveva accolto il ricorso della società contribuente sul presupposto che con atto di rettifica successivo del 28-10-2010 era stata ridotta la consistenza della compravendita da Ha 265,56 ad HA 1.138,41, a seguito della eliminazione di alcune particelle che da una verifica successiva non erano risultate nella proprietà dell’alienante;
4. la CTR aveva rigettato l’appello dell’Agenzia evidenziando, che come rilevato dal giudice di prime cure, l’oggetto della compravendita andava circoscritto alle particelle indicate a seguito della rettifica e l’imposta determinata in riferimento al valore delle stesse;
5. avverso la sentenza di appello l’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso per cassazione, consegnato per la notifica in data 1 settembre 2017, recapitato il 9-9-17, affidato a due motivi; la società contribuente rimaneva intimata.
CONSIDERATO
che:
1. con il primo motivo di ricorso, l’Agenzia delle entrate censurava la sentenza impugnata, denunciando la nullità della sentenza per vizio di motivazione apparente, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, laddove la CTR non aveva motivato in ordine alle ragioni per le quali aveva ritenuto che il valore dell’atto oggetto di imposizione dovesse determinarsi alla luce della successiva rettifica;
2. con il secondo motivo deduceva la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 1,20 e 21, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver individuato il valore dell’atto sottoposto a registrazione sulla base di un successivo atto di rettifica, che non aveva determinato la semplice correzione di un errore materiale ma modificato in modo consistente l’oggetto della compravendita, restando ai fini dell’imposta di registro del tutto irrilevante la validità o meno del primo atto, al cui contenuto e valore andava fatto esclusivo riferimento.
Osserva che:
1 Il primo motivo di ricorso non merita accoglimento.
1.1. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, si è in presenza di una “motivazione apparente” allorché la motivazione, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente, come parte del documento in cui consiste il provvedimento giudiziale, non rende tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perché costituita da argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talché essa non consente alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice. Sostanzialmente omogenea alla motivazione apparente è poi quella perplessa e incomprensibile: in entrambi i casi, invero – e purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali – l’anomalia motivazionale, implicante una violazione di legge costituzionalmente rilevante, integra un error in procedendo e, in quanto tale, comporta la nullità della sentenza impugnata per cassazione (cfr. Sez. 1, 18 giugno 2018 n. 16057; Sez. 6-5, 7 aprile 2017 n. 9097; Sez. U 3 novembre 2016 n. 22232; Sez. U 5 agosto 2016 n. 16599; Sez. U 7 aprile 2014, n. 8053 ed ancora Cass. n. 4891 del 2000; n. 1756 e n. 24985 del 2006; n. 11880 del 2007; n. 161, n. 871 e n. 20112 del 2009).
Si è così precisato che “Ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta ivi di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento” (Vedi Cass. n. 9105 del 2017; n. 20921 del 2019) ed ancora che “La motivazione del provvedimento impugnato con ricorso per cassazione deve ritenersi apparente quando pur se graficamente esistente ed, eventualmente sovrabbondante nella descrizione astratta delle norme che regola la fattispecie dedotta in giudizio, non consente alcun controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento decisorio, così da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost, comma 6" (Vedi Cass. n. 13248 del 2020).
1.2 Si è anche chiarito a che “In seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, non è più deducibile quale vizio di legittimità il semplice difetto di sufficienza della motivazione, ma i provvedimenti giudiziari non si sottraggono all’obbligo di motivazione previsto in via generale dall’art. 111 Cost., comma 6, e, nel processo civile, dall’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4. Tale obbligo è violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero essa risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione (per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perché perplessa ed obiettivamente incomprensibile) e, in tal caso, si concreta una nullità processuale deducibile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4” (Vedi Cass. n. 22598 del 2018).
1.3. Tale vizio, pur correttamente dedotto, non ricorre nel caso in esame, laddove la C.T.R., sia pure in maniera sintetica, ha ritenuto di confermare quanto statuito dai giudici di primo grado dando rilievo, ai fini della determinazione del valore dell’atto registrato, alla successiva rettifica che ne aveva ridotto l’oggetto.
Si tratta di una motivazione che non può considerarsi meramente apparente, in quanto esplicita le ragioni della decisione, nei termini innanzi descritti.
2. Il secondo motivo di ricorso merita invece accoglimento.
2.1 Sul piano generale, si osserva che, in tema di imposta di registro, ai sensi del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 20, quale modificato dalla L. 27 dicembre 2017, n. 205, art. 1, comma 87, e dalla L. 30 dicembre 2018, n. 145, art. 1, comma 1084, nella parte in cui prevede che, ai fini dell’imposta di registro, l’interpretazione degli atti presentati alla registrazione debba avvenire solo in base al loro contenuto, senza fare riferimento ad atti collegati o ad elementi extratestuali, (norme che hanno già superato il vaglio di costituzionalità come da sentenze della Corte costituzionale n. 158 del 2020 e n. 39 del 2021), l’Amministrazione finanziaria è tenuta ad attenersi al contenuto dell’atto sottoposto a registrazione ed al valore dello stesso, da determinarsi in riferimento al momento in cui si realizza il presupposto impositivo e quindi all’atto della registrazione.
2.2 Quanto all’eventualità che un atto sottoposto a registrazione sia poi oggetto di una successiva rettifica, questa Carte ha già affermato che “La rettifica di un atto soggetto a registrazione il quale non si limiti alla mera correzione di un errore ma determini una nuova configurazione dell’oggetto del negozio giuridico originario, non costituisce atto meramente ricognitivo, con conseguente assoggettabilità dello stesso a tassazione” (Vedi Cass. n. 15131 del 2021) e che “In tema d’imposta di registro, il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, secondo cui “l’imposta è applicata secondo l’intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione”, prescrive di tener conto della natura e degli effetti del singolo atto da registrare, sicché le successive rettifiche, ove comportino una diversa destinazione di beni, vengono ad integrare e completare l’atto originario, mentre, sul piano negoziale, costituiscono nuovi atti, separatamente tassabili, in quanto modificativi degli effetti giuridici del primo atto, che conserva piena autonomia.” (Vedi Cass. n. 16019 del 2015 e Cass. n. 4220 del 2006).
In relazione al principio fondamentale posto dal citato art. 20, la natura giuridica dell’atto, – dalle parti contrattuali qualificato come meramente rettificativo, o integrativo, di precedente pattuizione sottoposta a registrazione, – va dunque ricostruita in relazione alla “concreta portata della correzione operata”, verificando se “il contenuto dell’atto qualificato come “rettifica” effettivamente sia meramente ricognitivo e non (anche in parte) modificativo-traslativo” (Cass., 29 novembre 1991, n. 12869), ovvero avuto riguardo all’operare dei suoi effetti giuridici in termini di mera stabilizzazione, o anche di modifica, di quelli riconducibili all’atto rettificato.
3. Nella specie, risultando pacifico che l’atto di rettifica non si è limitato ad operare una mera correzione materiale di un errore materiale compiuto nell’atto sottoposto a registrazione, ma ne ha modificato in modo rilevante l’oggetto, escludendo una serie di particelle erroneamente attribuite alla proprietà dell’alienante, e quindi dallo stesso non suscettibili di disposizione, in applicazione dei principi innanzi indicati va ritenuta l’autonomia dei due atti, quello di rettifica e quello rettificato, e quindi la loro autonoma tassabilità, ciascuno in riferimento al contenuto suo proprio.
3.1 Ne consegue che il valore dell’atto sottoposto a registrazione, a prescindere dalla successiva modifica in sede di rettifica, va determinato sulla base del suo oggetto, come identificato al momento della registrazione, l’unico rilevante ai fini dell’insorgenza del presupposto impositivo e quindi della determinazione della base imponibile.
4. La CTR, che nel determinare il valore dell’atto ha tenuto conto anche del successivo atto di rettifica modificativo, non ha fatto corretta applicazione di tali principi.
4.1 In accoglimento del secondo motivo, rigettato il primo, la sentenza impugnata va pertanto cassata e, poiché non sono necessari ulteriori accertamenti in fatto, né risultano dedotte altre questioni controverse, sussistono i presupposti per la decisione nel merito, ex art. 384 c.p.c., mediante il rigetto del ricorso introduttivo.
4.2 Le spese del presente giudizio di legittimità vengono poste a carico della contribuente, con compensazione delle spese dei giudizi di merito, atteso il consolidarsi in data successiva all’introduzione della lite dell’orientamento di legittimità posto a fondamento della decisione.
PQM
La Corte:
accoglie il secondo motivo, rigettato il primo, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso della società contribuente;
pone a carico dell’intimata le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre spese prenotate a debito; compensa le spese dei giudizi di merito.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale effettuata da remoto, il 21 ottobre 2021.
Depositato in Cancelleria il 10 gennaio 2022