LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ESPOSITO Lucia – Presidente –
Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –
Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –
Dott. AMENDOLA Fabrizio – rel. Consigliere –
Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 22323-2020 proposto da:
POSTE ITALIANE SPA, *****, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA L. G. FARAVELLI 22, presso lo studio dell’avvocato ARTURO MARESCA, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
A.A.;
– intimati –
avverso la sentenza n. 688/2020 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 24/02/2020;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 21/09/2021 dal Consigliere Relatore Dott. FABRIZIO AN1ENDOLA.
RILEVATO
che:
1. la Corte d’Appello di Napoli, con la sentenza impugnata, ha confermato la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva condannato Poste Italiane Spa al pagamento di differenze retributive ritenute dovute in favore del dipendente A.A. per il periodo successivo al 1 gennaio 2011 per aver svolto le mansioni di cd. “agente unico”;
2. per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la società con 3 motivi; non ha svolto attività difensiva l’ A.;
3. la proposta del relatore ex art. 380 bis c.p.c., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale;
parte ricorrente ha comunicato memoria.
CONSIDERATO
che:
1. il primo motivo di ricorso denuncia: “violazione c/o falsa applicazione dell’art. 1362 c.c., in relazione all’interpretazione dell’Accordo nazionale del *****, dell’Accordo regionale del ***** e del successivo verbale di incontro dell'*****, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”;
il terzo mezzo, da valutarsi congiuntamente al primo, lamenta: “violazione e falsa applicazione dell’art. 2099 c.c., dell’art. 36 Cost., dell’art. 1362 c.c., in relazione all’interpretazione dell’Accordo del ***** nonché dell’Accordo del ***** (art. 360 c.p.c., n. 3)”;
2. i motivi non possono trovare accoglimento secondo quanto già ritenuto in precedenti recenti di questa Corte in analoghe controversie (cfr. Cass. n. 2790 del 2018; Cass. n. 18031 del 2018; Cass. n. 33715 del 2019), cui si rinvia per ogni ulteriore aspetto ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c., comma 1;
secondo una costante giurisprudenza di questa Corte (cfr.: Cass. n. 26848 del 2016; Cass. n. 10288 del 2016; Cass. n. 20651 del 2014; Cass. n. 11330 del 2014; Cass. n. 5838 del 2014; Cass. n. 4561 del 2013; Cass. n. 4561 del 2012; Cass. n. 17724 del 2010; Cass. n. 6274 del 2010; Cass. n. 20310 del 2008), da cui non vi è ragione di discostarsi, l’indennità in contesa remunera le mansioni di ritiro e consegna di oggetti postali svolte unitamente a quelle di autista, sicché ha causa retributiva, non esclusa dal motivo incentivante’; è oggetto di un obbligo contrattuale con la conseguenza che, in assenza di concorde volontà delle parti, non può essere ridotta e tanto meno abolita neppure ove – in ipotesi siano mutate le condizioni economiche aziendali; è stato, altresì, precisato: che la scadenza del termine di un accordo o contratto collettivo gli toglie efficacia, ma non sottrae il datore di lavoro dall’obbligo di retribuzione ex art. 2099 c.c., il cui ammontare ben può essere determinato dal giudice di merito ex art. 36 Cost., comma 1, con riferimento all’importo già previsto dal contratto individuale, recettivo di quello collettivo (Cass. SS.UU. n. 11325 del 2005); che non sarebbe, invero, plausibile configurare tale indennità sganciandola da un’attività lavorativa effettivamente prestata, poiché in tal modo la stessa si trasformerebbe da oggetto di un’obbligazione corrispettiva in elargizione graziosa; che va richiamato il noto principio di non riducibilità della retribuzione (ricavato dall’art. 2103 c.c., e dell’art. 36 Cost.), esteso alla voce compensativa di particolari modalità di svolgimento del lavoro, ivi compreso l’espletamento di compiti aggiuntivi (cfr., per tutte, Cass. n. 6046 del 2000), sicché è stato ritenuto che l’impegno, assunto con accordo collettivo, di rivedere entro un certo termine l’importo dell’indennità in questione fa sì che, alla scadenza di questo (non seguita da ulteriore accordo modificativo od abolitivo), l’indennità medesima debba essere conservata, eventualmente nel suo ammontare attuale, qualora il datore di lavoro ne abbia disdetto l’accordo istitutivo (cfr. anche Cass. n. 6274 del 2010; Cass. n. 17937 del 2011);
con riguardo al periodo successivo all’Accordo nazionale del ***** ed al successivo verbale di incontro dell'*****, in base ai quali l’attività di carico e scarico di oggetti postali è stata inclusa e ricompresa nell’ordinaria attività di “operatore trasporti”, la giurisprudenza già sopra richiamata, per respingere le doglianze della società, ha ribadito il principio della irriducibilità della retribuzione affermato proprio con riguardo all’indennità di agente unico ed ha ritenuto infondata la tesi della società secondo cui gli accordi collettivi del 2010 e 2011 avrebbero comportato un decisivo cambiamento della precedente organizzazione del lavoro da significare una implicita ed assoluta abrogazione delle precedenti determinazioni patrizie; ha soggiunto che la posizione meramente contrappositiva assunta dalla società – secondo cui con i nuovi accordi la figura dell’agente unico sarebbe confluita in quella dell’operatore dei trasporti prevedente, oltre all’attività di autista, compiti solo collaterali di carico e scarico – non è sùpportata da elementi concreti per dimostrare che tali previsioni pattizie, si fossero in effetti tradotte in modifiche organizzative tali da giustificare il venir meno del diritto alla corresponsione di una indennità che, per il sopra indicato principio della irriducibilità della retribuzione, era destinata ad essere conservata; ha argomentato che le differenti letture dei verbali di incontro e degli accordi regionali sottoscritti al fine di implementare il nuovo modello organizzativo e la stessa individuazione delle attività collaterali da assegnare al personale addetto ai trasporti scivolano sul piano dell’apprezzamento di merito e che non torna utile il richiamo ai precedenti di questa Corte costituiti da Cass. n. 3183 del 2017, Cass. n. 3381 del 2017, cass. n. 3474 del 2017 (ancora attualmente richiamati in memoria da Poste Italiane) atteso che in essi, pur dandosi atto degli interventi delle parti sociali intesi alla ridefinizione della figura dell’agente unico all’interno dell’area operativa, si fanno proprio salve le ipotesi in cui per altra via rilevi il principio della irriducibilità della retribuzione;
3. con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., per avere la Corte territoriale “erroneamente ritenuto che l’Agente Unico fosse sostanzialmente adibito ad una doppia mansione” di autista e di messaggere, nonostante le difese della società è le “carenze probatorie” in cui sarebbe incorsa la difesa del lavoratore; la censura è inammissibile;
la violazione dell’art. 2697 c.c., è censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne fosse onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (Cass. n. 15107 del 2013; Cass. n. 13395 del 2018), mentre nella specie parte ricorrente critica l’apprezzamento operato dai giudici del merito circa le mansioni svolte dal lavoratore che è indubitabilmente una quaestio facti;
4. conclusivamente il ricorso va respinto; nulla per le spese non avendo l’intimato svolto attività difensiva;
occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 (Cass. SS. UU. n. 4315 del 2020).
PQM
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 21 settembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 10 gennaio 2022