LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ESPOSITO Lucia – rel. Presidente –
Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –
Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –
Dott. BUFFA Francesco – Consigliere –
Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 31464-2019 proposto da:
INPS – ISTITUTO NAZIONALE della PREVIDENZA SOCIALE, in persona del Dirigente pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso lo studio dell’avvocato CARLA D’ALOISIO, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati ANTONINO SGROI, LELIO MARITATO, EMANUELE DE ROSE;
– ricorrente –
contro
D.A.;
– intimato –
avverso la sentenza n. 267/2019 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 18/04/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 21/10/2021 dal Presidente Relatore Dott. LUCIA ESPOSITO.
RILEVATO
che:
1. la Corte d’appello di L’Aquila, con sentenza n. 267 pubblicata il 18.4.2019, ha respinto l’appello dell’INPS avverso la pronuncia di primo grado di accoglimento della domanda di D.A. volta ad accertare l’illegittimità dell’iscrizione d’ufficio alla Gestione separata quale libero professionista e della conseguente richiesta di contributi per l’anno 2009, ritenendo prescritta la relativa pretesa;
2. la Corte di merito, richiamati i precedenti di legittimità, ha identificato il momento di decorrenza della prescrizione dei contributi in oggetto (relativi a redditi prodotti nell’anno 2005) con la scadenza del termine per il versamento dei contributi, nel caso di specie il ***** ed ha rilevato il decorso del termine quinquennale rispetto alla intimazione di pagamento notificata il *****;
3. avverso tale sentenza l’INPS ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo;
4. controparte è rimasta intimata;
5. la proposta del relatore è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c..
CONSIDERATO
che:
1. con l’unico motivo di ricorso l’INPS ha dedotto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 2935 c.c., della L. n. 335 del 1995, art. 2, commi 26 – 31, perché la Corte di merito aveva errato nella individuazione del dies a quo del decorso della prescrizione, per non essere stato considerato che il termine per il pagamento dei contributi era stato prorogato al ***** per effetto del D.P.C.M. 10 giugno 2010, pubblicato su GU il 19/6/2010 n. 141;
2. Va anzitutto ribadito che la prescrizione dei contributi dovuti alla Gestione separata decorre dal momento in cui scadono i termini per il relativo pagamento e non già dalla data di presentazione della dichiarazione dei redditi ad opera del titolare della posizione assicurativa (così, tra le tante, Cass. n. 27950 del 2018, Cass. n. 19403 del 2019, Cass. n. 1557 del 2020): l’obbligazione contributiva nasce infatti in relazione ad un preciso fatto costitutivo, che è la produzione di un certo reddito da parte del soggetto obbligato, mentre la dichiarazione che costui è tenuto a presentare ai fini fiscali, che è mera dichiarazione di scienza, non è presupposto del credito contributivo, così come non lo è rispetto all’obbligazione tributaria;
3. Pur sorgendo il debito contributivo sulla base della produzione di un certo reddito, la decorrenza del termine di prescrizione dell’obbligazione dipende dall’ulteriore momento in cui scadono i termini previsti per il suo pagamento: lo si desume dal R.D.L. n. 1827 del 1935, art. 55, secondo il quale i contributi obbligatori si prescrivono “dal giorno in cui i singoli contributi dovevano essere versati”.
4. Viene quindi in rilievo il D.Lgs. n. 241 del 1997, art. 18, comma 4, che ha previsto che “i versamenti a saldo e in acconto dei contributi dovuti agli enti previdenziali da titolari di posizione assicurativa in una delle gestioni amministrate da enti previdenziali sono effettuati entro gli stessi termini previsti per il versamento delle somme dovute in base alla dichiarazione dei redditi”: 5. nel caso di specie il citato D.P.C.M. 10 giugno 2010, art. 1, comma 1, emanato giusta la previsione generale del citato D.Lgs. n. 241 del 1997, art. 18, ha previsto, per quanto qui rileva, che “i contribuenti tenuti ai versamenti risultanti dalle dichiarazioni dei redditi (…) entro il 16 giugno 2010, che esercitano attività economiche per le quali sono stati elaborati gli studi di settore di cui al D.L. 30 agosto 1993, n. 331, art. 62-bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 ottobre 1993, n. 427, e che dichiarano ricavi o compensi di ammontare non superiore al limite stabilito per ciascuno studio di settore dal relativo decreto di approvazione del Ministro dell’economia e delle finanze”, debbano effettuare i versamenti “entro il 6 luglio 2010, senza alcuna maggiorazione” (lett. a) e “dal 7 luglio 2010 al 5 agosto 2010, maggiorando le somme da versare dello 0,40 per cento a titolo di interesse corrispettivo” (lett. b).
6. Segue da quanto sopra che erroneamente la sentenza impugnata ha fatto decorrere il termine prescrizionale dal *****: detto termine, infatti, risultava differito al 6 luglio successivo in virtù della previsione del citato D.P.C.M., art. 1, comma 1, lett. a), irrilevante all’uopo restando invece la previsione di cui alla successiva lett. b), in considerazione della previsione della maggiorazione a titolo di interesse corrispettivo, che palesa l’avvenuta scadenza del debito e la volontà di istituire una forma di agevolazione per il suo pagamento (così da ult. Cass. n. 21472 del 2020).
6. Ne’ può ritenersi che l’odierna controricorrente rientrasse nel novero dei “contribuenti estranei agli studi di settore, in quanto in regime dei c.d. minimi”, atteso che, giusta la lettera del citato D.P.C.M., art. 1, comma 1, il differimento del termine di pagamento concerneva tutti “contribuenti (…) che esercitano attività economiche per le quali sono stati elaborati gli studi di settore” e non soltanto coloro che, in concreto, alle risultanze di tali studi fossero fiscalmente assoggettati per non aver scelto un diverso regime d’imposizione, quale quello di cui alla L. n. 244 del 2007, art. 1, commi 96 e ss., (Cass. 10273 del 19 aprile 2021);
7. pertanto, non essendosi la Corte territoriale uniformata all’anzidetto principio di diritto, la sentenza impugnata va cassata e la causa rinviata alla Corte d’appello di L’Aquila, in diversa composizione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata, e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di L’Aquila in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 21 ottobre 2021.
Depositato in Cancelleria il 10 gennaio 2022