LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –
Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –
Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –
Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –
Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 17969/2020 proposto da:
I.M., rappresentato e difeso dall’avvocato Diego Giuseppe Perricone, per procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore;
– intimato –
avverso la sentenza n. 244/2020 della CORTE D’APPELLO di CALTANISSETTA, depositata il 13/02/2020;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 10/12/2021 dal Cons. Dott. PARISE CLOTILDE.
FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza n. 244/2020 del 13-02-2020 la Corte d’appello di Caltanissetta ha respinto l’appello proposto da I.M., cittadino del Pakistan, avverso l’ordinanza del Tribunale di Caltanissetta che aveva rigettato la sua domanda avente ad oggetto in via gradata il riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria. Il richiedente riferiva di essere fuggito dal suo Paese per il timore di essere ucciso o arrestato dalla polizia in quanto testimone di un omicidio. La Corte d’appello ha ritenuto che fosse non credibile la vicenda personale narrata dal richiedente e che non ricorressero i presupposti per il riconoscimento di alcuna forma di protezione, avuto anche riguardo alla situazione generale del Pakistan, con indicazione delle fonti di conoscenza.
2. Avverso il suddetto provvedimento, il ricorrente propone ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno, che è rimasto intimato.
3. Con ordinanza interlocutoria pubblicata il 30-4-2021 la causa è stata rinviata a nuovo ruolo in attesa della decisione delle Sezioni Unite sulla questione in tema di protezione umanitaria rimessa con ordinanza di questa Corte n. 28316/2020.
4. All’esito della pubblicazione della sentenza n. 24413/2021 delle Sezioni Unite di questa Corte, il ricorso è stato nuovamente fissato per l’adunanza in Camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c. e art. 380 bis.1 c.p.c.. La Procura Generale ha depositato conclusioni ai sensi del D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8 bis, conv. in L. n. 176 del 2020, chiedendo accogliersi il quinto motivo di ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. I motivi di ricorso sono così rubricati: “I. Violazione D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3 e violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. B, in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3; II. Violazione D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 9, in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3; III. Violazione D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3; IV. Violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. C, in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3; V. Violazione del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6, in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3”. Con il primo motivo il ricorrente deduce che la Corte d’appello, nell’esprimere il giudizio di non credibilità della vicenda personale, non ha applicato i criteri dettati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e non ha indicato gli elementi di non credibilità, erroneamente rigettando la domanda di protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b) e non considerando le minacce subite dal ricorrente e dalla sua famiglia. Con i motivi secondo, terzo e quarto si duole del rigetto della domanda di riconoscimento della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), rileva che la Corte di merito ha indicato un’unica fonte di consultazione e, richiamando la pronuncia della Corte di Giustizia 30 gennaio 2014, adduce che non poteva escludersi, in forza di detta pronuncia, l’esistenza di una situazione di scontro tra le forze governative con uno o più gruppi armati terroristici in Pakistan e anche nel Punjab, nonché di attacchi terroristici, come da fonti UNHCR e report delle principali ONG. Con il quinto motivo si duole del rigetto della domanda di protezione umanitaria, rileva che la stessa Corte d’appello ha dato atto della sua integrazione in Italia, rimarca che conosce e parla correntemente la lingua italiana e lavora sin dal 2017 presso lo stesso datore di lavoro, da agosto 2018 con contratto a tempo indeterminato, mentre il suo Paese è caratterizzato da instabilità e persistente violazione di diritti umani.
2. I primi quattro motivi, da esaminarsi congiuntamente per la loro connessione, sono inammissibili.
2.1. Le censure espresse in ordine al giudizio non credibilità del narrato sono del tutto generiche e prive di riferimenti al caso di specie, non avendo neppure il ricorrente descritto quale sia la sua vicenda personale ed essendosi lo stesso limitato a riportare la normativa di riferimento e pronunce di questa Corte, senza evidenziarne il collegamento con il decisum.
Circa il diniego della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 151 del 2007, art. 14, lett. c), ugualmente le censure sono generiche e prive di concreta critica alle corrispondenti statuizioni di cui alla sentenza impugnata. In particolare, nel ricorso non sono indicate con precisione, mancando il riferimento all’anno di aggiornamento, le fonti richiamate e neppure ne risulta riportato il contenuto, mentre la Corte di merito – pag. 7 sentenza – ha dato conto della situazione del Punjab, escludendo la situazione di violenza indiscriminata, con motivazione adeguata e mediante indicazione delle fonti di conoscenza (Easo ottobre 2019).
3. E’ fondato il quinto motivo, con cui il ricorrente, nel dolersi del diniego della protezione umanitaria, nella specie disciplinata dal regime anteriore a quello introdotto dal D.L. n. 113 del 2018, censura il giudizio di comparazione, effettuato dalla Corte di merito, tra le condizioni di vita (grado di integrazione) del richiedente in Italia e quella che egli potrebbe avere in caso di rientro nel paese di origine.
3.1. Con la recente sentenza n. 24413/2021, le Sezioni Unite di questa Corte, nel ribadire quanto già affermato con la precedente sentenza n. 29459/2019 circa i caratteri di concretezza ed effettività connotanti il suddetto giudizio, hanno ulteriormente chiarito che i due termini di comparazione sono legati in senso inversamente proporzionale tra loro. In particolare, il maggior grado di integrazione in Italia ovvero le condizioni di vita ben integrate e documentate da parte dello straniero determineranno un minor peso della condizione soggettiva e oggettiva del richiedente nel paese di origine, e ciò in quanto la persona ben integrata e radicata, ove rimpatriata, potrebbe subire un effettivo scadimento delle condizioni di vita personali, familiari e lavorative, con il conseguente probabile vulnus al diritto riconosciuto dall’art. 8 della Convenzione EDU. Il giudizio di comparazione, dunque, dovrà essere effettuato tenendo conto della necessaria correlazione tra gli elementi sopra indicati in rapporto di proporzionalità inversa, mediante attribuzione ai rispettivi fattori di comparazione di un diverso peso nel senso precisato, non potendo porsi su un piano di equivalenza le documentate condizioni di integrazione e la situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine. L’indagine andrà condotta alla stregua del disposto dell’art. 8 CEDU, ossia occorrerà verificare se sussista il profilo di vulnerabilità legato alla comparazione tra il contesto economico, lavorativo e relazionale che il richiedente troverebbe rientrando nel paese di origine e le condizioni di integrazione dal medesimo raggiunta in Italia nel tempo necessario al compimento dell’esame della sua domanda di protezione in sede amministrativa e giudiziaria. A tal fine, eccezion fatta per le ipotesi di radicale incertezza sulla identità o nazionalità stessa del richiedente, non è di ostacolo al riconoscimento del beneficio domandato la ritenuta non credibilità del racconto della vicenda personale reso dal richiedente asilo, dovendosi apprezzare le conseguenze del rimpatrio sulla base delle condizioni generali del Paese di origine correlate alla sua posizione individuale.
Occorre, altresì, precisare che, in tema di protezione complementare di diritto nazionale, di protezione umanitaria in regime transitorio o di protezione speciale introdotta dal D.L. 21 ottobre 2020, n. 130, convertito con modificazioni dalla L. 18 dicembre 2020, n. 173, sul giudice del procedimento incombe il dovere di cooperazione istruttoria, che attiene alla prova dei fatti e non alla loro allegazione, previsto in tema di esame delle domande di protezione internazionale, ai sensi dell’art. 4 della Direttiva CE 13.12.2011, n. 95, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3,D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8 e dello stesso D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 9 e art. 27, comma 1 bis, limitatamente alle circostanze concernenti la situazione sociale, economica o politica del Paese di provenienza del richiedente e non, quindi, relativamente alle circostanze attinenti alla integrazione sociale, culturale, lavorativa e familiare del richiedente asilo in Italia. In definitiva e in sintesi, alla stregua dei principi affermati con la citata recente pronuncia delle Sezioni Unite, i giudici di merito dovranno accertare: i) se il richiedente abbia dimostrato di aver raggiunto un apprezzabile livello di integrazione in Italia (influendo “..nel giudizio sulla vulnerabilità, non solo il rischio di danni futuri legati alle condizioni oggettive e soggettive che il migrante (ri)troverà nel paese d’origine – ma anche il rischio di un danno attuale da perdita di relazioni affettive, di professionalità maturate, di osmosi culturale riuscita..” così Cass. S.U. 24413/2021 citata); in caso di positivo accertamento del primo requisito, se il ritorno nel paese d’origine renda probabile un significativo scadimento delle condizioni di vita privata e/o familiare sì da recare un vulnus al diritto riconosciuto dall’art. 8 della Convenzione EDU, e da far ritenere perciò sussistente un serio motivo di carattere umanitario, ai sensi dell’art. 5 T.U. Imm., e ciò mediante comparazione tra la situazione del Paese di origine e il grado di integrazione in Italia da effettuarsi in rapporto di proporzionalità inversa.
3.2. Nel caso di specie, la Corte di merito, pur dando atto del radicamento del richiedente in Italia (pag. 8 e 9 sentenza), nonché della situazione oggettiva del Paese di origine, caratterizzata da significative tensioni, ha negato la protezione umanitaria affermando che “la complessiva inattendibilità del racconto fatto alla Commissione territoriale non dà adeguata contezza di uno sradicamento qualificato dal territorio di origine, tale da profilare una specifica condizione di vulnerabilità nel caso di rientro a distanza di alcuni anni” (pag. 9 sentenza) e non ha, pertanto, effettuato il giudizio comparativo secondo i principi di cui si è detto.
4. In conclusione, il quinto motivo va accolto, la sentenza impugnata va cassata, nei limiti del motivo accolto, e la causa va rinviata alla Corte d’appello di Caltanissetta, in diversa composizione, anche per la decisione sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il quinto motivo di ricorso, dichiarati inammissibili gli altri motivi, cassa la sentenza impugnata nei limiti del motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d’appello di Caltanissetta, in diversa composizione, anche per la decisione sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 10 dicembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 10 gennaio 2022