Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.4239 del 10/02/2022

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLITANO Lucio – rel. Presidente –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –

Dott. CENICCOLA Aldo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13040-2015 proposto da:

P.A., elettivamente domiciliato in ROMA, LARGO SOMALIA 67, presso lo studio dell’avvocato RITA GRADARA, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati NICOLETTA DOLFIN e GASPARE FALSITTA;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6098/2014 della COMM.TRIB.REG.LOMBARDIA, depositata il 24/11/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 09/07/2021 dal Consigliere Dott. FRANCESCO FEDERICI.

RILEVATO

Che:

P.A. ricorre per la cassazione della sentenza n. 6098/20/2014, depositata il 24 novembre 2014 dalla Commissione tributaria regionale della Lombardia.

Riferisce che il contenzioso ha tratto origine dalla notifica alla Perfetisol Sud s.r.l., società a ristretta base partecipativa, di cui il ricorrente deteneva una quota pari al 50% del capitale, dell’avviso di accertamento con il quale per l’anno 2006 erano recuperate a tassazione maggiori imposte. L’atto impositivo nei confronti della società diveniva definitivo. L’Agenzia notificò conseguentemente al P. altro avviso di accertamento, con il quale rideterminò l’imponibile e le imposte per i maggiori dividendi presuntivamente distribuiti ai soci e non dichiarati, oltre interessi e sanzioni.

Il contribuente, premettendo di essere receduto dalla compagine sociale in epoca anteriore alla notifica dell’avviso di accertamento alla società, adì la Commissione tributaria provinciale di Milano contestando la mancata conoscenza del suddetto atto, neppure allegato dall’Ufficio all’avviso di accertamento a lui indirizzato, l’insufficienza della prova presuntiva di distribuzione dei maggiori utili ai soci, in ogni caso nel merito il fondamento della pretesa impositiva dell’Amministrazione finanziaria. Il giudice di primo grado, con sentenza n. 400/18/2013, accolse il ricorso del P.. La decisione fu appellata dall’Agenzia delle entrate dinanzi alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, che con la sentenza ora al vaglio della Corte, accogliendo l’impugnazione, riformò la statuizione di primo grado e rigettò il ricorso introduttivo del contribuente. Il giudice d’appello ha ritenuto privo di rilievo che il socio, che prima della notificazione dell’atto impositivo alla società aveva già esercitato la facoltà di recesso dalla compagine sociale, avesse lamentato la compromissione del diritto di difesa per mancata allegazione al proprio atto impositivo di quello già notificato alla società.

Il ricorrente ha censurato la sentenza con tre motivi, chiedendo la cassazione della pronuncia, cui ha resistito l’Agenzia delle entrate con controricorso.

Nell’adunanza camerale del 9 luglio 2021 la causa è stata discussa e decisa sulla base degli atti depositati dalle parti, da ultimo memoria del contribuente ex art. 380 bis 2 c.p.p..

CONSIDERATO

Che:

il contribuente ha dedotto:

con il primo motivo la violazione della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 42 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perché la pronuncia ha escluso che la mancata conoscenza dell’avviso di accertamento, notificato alla società, viziasse l’atto impositivo a lui notificato;

con il secondo motivo la violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per omessa decisione sulla questione proposta dal contribuente relativa alla carenza probatoria sulla presunta distribuzione degli utili societari;

con il terzo motivo la violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per omesso esame delle difese proposte dal contribuente sulla presunta distribuzione di utili extracontabili.

Con il primo motivo il P. sostiene che l’atto impositivo notificatogli sarebbe viziato per violazione dell’art. 7 dello statuto del contribuente e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42. Entrambe le norme prescrivono che per l’ipotesi in cui la motivazione dell’atto impositivo faccia riferimento ad altro atto, questo vada allegato, o riprodotto nell’atto notificato. L’art. 42 cit. espressamente sanziona la mancata allegazione, o la mancata riproduzione del contenuto essenziale dell’atto richiamato, con la nullità dell’avviso di accertamento (comma 3).

Il motivo è fondato.

Innanzitutto va escluso che l’avviso d’accertamento notificato al contribuente contenesse i passaggi essenziali dell’atto impositivo notificato alla società, come pretende la controricorrente. Il mero accenno alle voci di maggior imponibile accertato in capo alla società non sopperisce al procedimento logico-motivazionale su cui regge l’avviso di accertamento che ha attinto la compagine sociale.

Ciò chiarito, questa Corte ha affermato che in materia di accertamento tributario di un maggior reddito nei confronti di una società di capitali, organizzata nella forma della società a responsabilità limitata ed avente ristretta base partecipativa, e di accertamento conseguenziale nei confronti dei soci, l’obbligo di motivazione degli atti impositivi notificati ai soci è soddisfatto anche mediante rinvio per relationem alla motivazione dell’avviso di accertamento riguardante i maggiori redditi percepiti dalla società, anche se solo a quest’ultima notificato, giacché il socio, ex art. 2476 c.c., ha il potere di consultare la documentazione relativa alla società e, quindi, di prendere visione dell’accertamento presupposto e dei suoi documenti giustificativi (Cass., 2/10/2020, n. 21126; cfr. anche 28/11/2014, n. 25296; 4/06/2018, 14275; 18/02/2020, n. 3980, queste ultime richiamano il diritto di controllo della documentazione sociale da parte dei soci, previsto dall’art. 2261 c.c.). Questo condivisibile orientamento incontra tuttavia il limite della persistente posizione di socio, facente capo al partecipante alla ristretta compagine sociale, e dunque al facile accesso alla conoscenza e comunque alla conoscibilità degli atti che attingono la società.

Nel caso di specie invece il ricorrente, ancora socio nell’anno d’imposta sottoposto a verifica fiscale, nello spazio temporale tra tale annualità e quella in cui l’Amministrazione finanziaria ha dato corso all’attività accertativa nei riguardi della compagine sociale, e successivamente nei suoi confronti, era receduto. Se è indiscutibile che astrattamente può rispondere anch’egli della presunta distribuzione degli utili extracontabili accertati in via definitiva in capo alla società, è tutt’altro che scontato che, ceduta la propria partecipazione sociale ed uscito da quella compagine sociale, egli sia stato ancora in condizione di accedere alla documentazione della società, e, prima ancora, abbia potuto conoscere dell’attività di verifica cui la società medesima è stata sottoposta. Per conseguenza ci si deve chiedere se quella giurisprudenza di legittimità, afferente il socio della società a ristretta base partecipativa, possa adagiarsi anche all’ipotesi del socio già receduto dalla società. Oppure, al contrario, se la prescrizione della L. n. 212 del 2000, art. 7 e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42 debba trovare piena applicazione, con l’effetto della nullità dell’avviso di accertamento indirizzato al socio receduto, motivato mediante rinvio all’atto impositivo precedentemente notificato alla società, senza allegazione o riproduzione dei suoi contenuti essenziali nell’atto impositivo che attinge il socio.

Questo Collegio ritiene corretta la seconda interpretazione. Se infatti è corretta l’interpretazione che riconosce in capo al socio la conoscibilità degli atti indirizzati alla società, anche per la peculiare ristrettezza della compagine sociale, non può certo affermarsi che il socio receduto abbia accesso agli atti e alla documentazione sociale, così come prevede gli artt. 2261 e 2320 c.c. per le società di persone, oppure l’art. 2476 c.c., comma 2, per le società a responsabilità limitata. Ci si troverebbe in altri termini di fronte ad un soggetto che, ricevuta notificazione di un avviso d’accertamento con il quale gli si ridetermina il reddito da partecipazione in una società, di cui non è più socio, ma relativamente ad una annualità in cui tale era, deve apprestare nei successivi sessanta giorni la propria difesa (o anche solo valutare se ciò convenga), senza alcuna garanzia di accesso alla documentazione notificata alla società, cui per relationem fa rinvio l’atto impositivo ricevuto.

Deve pertanto affermarsi che a tale ipotesi non si attaglia la giurisprudenza pur invocata dall’Agenzia delle entrate. Conseguentemente l’avviso di accertamento notificato al P., che ai fini della motivazione ha fatto rinvio all’avviso di accertamento indirizzato alla società, doveva essere corroborato dalla allegazione della documentazione citata, o dalla riproduzione dei suoi contenuti essenziali.

Il giudice regionale, al contrario ritenendo irrilevante e non compromesso il diritto di difesa del contribuente, non si è attenuto a tale principio, in contraddizione con le regole di garanzia che presidiano la motivazione dell’atto impositivo. Il motivo trova dunque accoglimento, dovendosi affermare il seguente principio di diritto: “in tema di accertamento nei confronti del socio di società a ristretta partecipazione sociale, ove tra l’anno d’imposta sottoposto ad accertamento ed il momento della notificazione alla società dell’atto impositivo il socio sia receduto dalla compagine sociale, è nullo l’avviso di accertamento a lui notificato per i maggiori redditi di capitale presuntivamente distribuiti, quando esso, rinviando per relationem alla motivazione dell’avviso di accertamento indirizzato alla società, manchi dell’allegazione della documentazione citata o della riproduzione dei suoi contenuti essenziali”.

L’accoglimento del primo motivo assorbe il secondo ed il terzo. La sentenza va dunque cassata.

Non essendo peraltro necessario alcun ulteriore accertamento di fatto, la causa può essere decisa nel merito. A tal fine la carenza di allegazione o riproduzione degli atti cui l’atto impositivo impugnato faceva rinvio per relationem vizia la sua stessa validità. Di esso ne va dunque dichiarata la nullità, con conseguente accoglimento del ricorso introduttivo del contribuente.

Le spese processuali vanno regolate con la compensazione dei gradi di merito e la condanna dell’Agenzia delle entrate alla rifusione di quelle relative al giudizio di legittimità, nella misura specificata in dispositivo. Rilevato che risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1- quater.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo, assorbiti il secondo ed il terzo. Cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso introduttivo del P.A.. Condanna l’Agenzia delle entrate alla rifusione delle spese sostenute dal ricorrente nel giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 7.800,00 per competenze, Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura forfettaria del 15% e accessori come per legge. Compensa le spese processuali dei gradi di merito.

Così deciso in Roma, il 9 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 10 febbraio 2022

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472