LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –
Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –
Dott. VELLA Paola – Consigliere –
Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –
Dott. FRAULINI Paolo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16982/2019 R.G. proposto da:
A.A., rappresentato e difeso dall’Avv. Vainer Burani, con domicilio in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria civile della Corte di cassazione;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO;
– intimato –
avverso il decreto del Tribunale di Bologna n. 1957/19, depositato il 17 aprile 2019.
Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 27 ottobre 2021 dal Consigliere Dott. Guido Mercolino.
FATTI DI CAUSA
1. Con decreto del 17 aprile 2019, il Tribunale di Bologna ha rigettato la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato e, in subordine, della protezione sussidiaria o di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposta da A.A., cittadino del Pakistan. Premesso che a sostegno della domanda il ricorrente aveva allegato di essersi allontanato dal Paese di origine per evitare di essere ucciso dal proprio datore di lavoro, il quale aveva tentato di indurlo a recarsi in Arabia Saudita per consegnare sostanze stupefacenti, il Tribunale ha ritenuto la vicenda inattendibile, in quanto generica e priva di elementi di dettaglio, nonché incoerente e non accompagnata dalla produzione di documenti, aggiungendo che il tempo trascorso dall’epoca dell’espatrio escludeva la concretezza e l’attualità del rischio prospettato: ha escluso pertanto il proprio dovere di cooperare nell’acquisizione della prova, concludendo per l’insussistenza del rischio di un danno grave alla persona, nel senso previsto dal D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. a) e b). Ha rilevato inoltre che il ricorrente non aveva neppure allegato un rischio di persecuzione per uno dei motivi previsti dall’art. 8 del predetto decreto, richiamando invece, in ordine alla fattispecie di cui dell’art. 14 cit., lett. c), le informazioni fornite da fonti internazionali autorevoli ed aggiornate, dalle quali ha desunto che in Pakistan non ricorreva una situazione di violenza indiscriminata derivante da un conflitto armato. Ha ritenuto infine insussistenti i presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria, rilevando la mancata allegazione di particolari fattori di vulnerabilità o di violazioni sistematiche dei diritti umani direttamente riferibili alle condizioni ed alla vicenda personale del ricorrente, e ritenendo insufficiente, ai fini dell’integrazione sociale e lavorativa dello stesso in Italia, il mero svolgimento di un’attività lavorativa a tempo parziale.
2. Avverso il predetto decreto l’ A. ha proposto ricorso per cassazione, per un solo motivo. Il Ministero dell’interno non ha svolto attività difensiva.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con l’unico motivo d’impugnazione, il ricorrente censura il decreto impugnato per carenza di motivazione, nella parte in cui ha ritenuto insussistenti i presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria, ribadendo di aver presentato la domanda appena giunto in Italia, di aver compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziarla e di aver reso dichiarazioni coerenti e plausibili. Insiste sulla gravità della situazione sociale esistente nella sua regione di provenienza, che lo ha indotto ad espatriare, e sulle violazioni dei diritti umani commesse dall’esercito, nonché sulla compromissione del diritto alla salute ed all’alimentazione, sostenendo che in caso di rimpatrio si ritroverebbe in condizioni inidonee ad assicurare un’esistenza libera e dignitosa, laddove in Italia ha raggiunto un adeguato livello d’integrazione sociale e lavorativa.
2.1. Il ricorso è inammissibile.
Nel lamentare la carenza di motivazione del decreto impugnato, nella parte concernente il rigetto della domanda di riconoscimento della protezione umanitaria, il ricorrente si limita infatti ad insistere genericamente sulla sussistenza dei relativi presupposti, astenendosi dal precisare se intenda far valere il difetto del requisito di cui all’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, ricorrente nel caso in cui la motivazione del provvedimento impugnato risulti inesistente sotto il profilo grafico o comunque meramente apparente, perplessa o fondata su affermazioni inconciliabili tra loro, oppure il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, configurabile in caso di pretermissione di un fatto storico, principale o secondario, che abbia costituito oggetto del dibattito processuale e risulti idoneo ad orientare in senso diverso la decisione (cfr. Cass., Sez. VI, 25/09/2018, n. 22598; Cass., Sez. III, 12/10/ 2017, n. 23940; Cass., Sez. Un., 7/04/2014, nn. 8053 e 8054). Le censure proposte non risultano accompagnate né dall’individuazione di lacune argomentative o incongruenze della motivazione, talmente gravi da impedire la ricostruzione del percorso logico seguito per giungere alla decisione, né dalla indicazione degli elementi di fatto allegati a sostegno della domanda ed indebitamente trascurati dal Giudice di merito, ma si risolvono nella mera deduzione dell’esistenza di una condizione di vulnerabilità personale, collegata alla situazione generale del Paese di origine ed al livello d’integrazione sociale e lavorativa raggiunto in Italia, la quale si pone in contrasto con il rilievo contenuto nella sentenza impugnata, secondo cui, anche alla luce della ritenuta inattendibilità delle dichiarazioni rese dal ricorrente, non erano ravvisabili particolari fattori di vulnerabilità o elementi ostativi al rimpatrio, tali da giustificare l’applicazione della misura richiesta. In quest’ottica, anche a voler prescindere dalla loro genericità, le doglianze formulate dal ricorrente non appaiono riconducibili alle norme indicate, mirando in realtà a sollecitare un nuovo apprezzamento dei fatti, non consentito a questa Corte, alla quale non spetta il compito di riesaminare il merito della controversia, ma solo quello di controllare la correttezza giuridica delle argomentazioni svolte nel provvedimento impugnato, nonché la coerenza logico-formale delle stesse, nei limiti in cui le relative anomalie sono ancora deducibili con il ricorso per cassazione, a seguito della riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 da parte del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 (cfr. Cass., Sez. I, 13/01/2020, n. 331; Cass., Sez. II, 29/10/2018, n. 27415; Cass., Sez. V, 4/08/2017, n. 19547).
3. La mancata costituzione dell’intimato esclude la necessità di provvedere al regolamento delle spese processuali.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 27 ottobre 2021.
Depositato in Cancelleria il 10 gennaio 2022