LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente –
Dott. ABETE Luigi – Consigliere –
Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –
Dott. CASADONTE Annamaria – rel. Consigliere –
Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 28154-2020 proposto da:
A.P., rappresentato e difeso dall’avv. Antonio Giansante, del Foro di Pescara che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
M.U., rappresentato e difeso dall’avvocato Fernando Pracilio, del Foro di Vasto;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 269/2020 della Corte d’appello di L’Aquila, depositata il 13/02/2020;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 06/10/2021 dal Consigliere Annamaria Casadonte.
RILEVATO
che:
– M.U. proponeva azione di negatoria servitutis ai sensi dell’art. 949 c.c., nei confronti di A.P. al fine di far accertare l’inesistenza di alcuna servitù di passaggio su un terreno di sua proprietà, nonostante il convenuto avesse aperto su quella strada privata un cancello senza alcuna sua autorizzazione e sul presupposto che quella strada fosse pubblica;
– l’adito tribunale di Vasto respingeva le domande attoree in considerazione della destinazione al pubblico transito della porzione di strada interessata nonché della gestione e manutenzione sulla stessa svolta dal Comune;
– proposto gravame da parte dell’attore soccombente, la corte d’appello de L’Aquila ha rilevato come, in applicazione del principio di diritto secondo il quale l’attore in negatoria è onerato esclusivamente della prova della proprietà del fondo gravato dalla pretesa servitù, risulta effettivamente dimostrato che al tempo dell’acquisto il terreno era privato e non pubblico;
– inoltre, sono rilevanti ad avviso della corte d’appello le conseguenze di diritto derivanti dalla non contestata affermazione che la strada è un vicolo cieco che non mette in comunicazione due strade e che, quindi, non fa parte della viabilità pubblica, cui si aggiungono gli accertamenti con valenza di giudicato desumibili dalle sentenze prodotte dal M. in ordine alla proprietà della strada in capo all’appellante, circostanze pretermesse dal primo giudice sebbene non contestate dal convenuto;
– infine, neppure l’eventuale difformità tra il titolo e le risultanze catastali possono, ad avviso della corte fondatamente escludere la pretesa del M.;
– la corte d’appello ha, pertanto, accolto la domanda del M. ex art. 949 c.c., respingendo la domanda accessoria di risarcimento dei danni;
– la cassazione della sentenza d’appello è chiesta dall’ A. con ricorso affidato a due motivi, illustrati da memoria, cui resiste con controricorso il M.;
– la relatrice ha formulato proposta di rigetto del ricorso per infondatezza.
CONSIDERATO
che:
– con il primo motivo si deduce, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione e falsa applicazione degli artt. 825 e 949 c.c., nonché degli artt. 115 e 116 c.p.c., per avere la corte territoriale omesso di considerare le risultanze processuali che davano conto dell’asservimento della strada all’uso pubblico;
– la censura è infondata perché non solo non specifica in relazione agli artt. 825 e 949 c.c., quale sarebbe il principio interpretativo violato dalla corte territoriale, ma anzi lo stesso ricorrente riconosce la correttezza del richiamo al consolidato principio interpretativo fatto dal giudice d’appello secondo il quale l’attore che agisce in negatoria servitutis è tenuto a provare con ogni mezzo, anche in via presuntiva, il possesso del fondo in forza di un titolo valido;
– la censura è altresì infondata perché incentrata nella richiesta di riesame del materiale probatorio sul presupposto, ritenuto dal ricorrente dirimente, che la strada in questione, al di là della natura privata, sarebbe stata di fatto e con comportamenti concreti da parte della P.A. gravata di un uso di pubblico passaggio;
– tale tipo di censura non può trovare ingresso avanti al giudice di legittimità essendo il motivato apprezzamento del giudice del merito sindacabile nei limiti individuati a seguito della riforma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, a seguito della quale è stato in particolare precisato che che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr. Cass. Sez. Un. n. 8053/2014);
– nel caso di specie, la corte territoriale ha considerato oltre al non contestato titolo dedotto dal M., le caratteristiche proprie della strada e la sua qualificazione giuridica come strada privata costantemente riconosciuta dagli atti comunali, legittimamente ritenendo recessiva rispetto a detti fatti storici le circostanze della risalente esistenza della stessa e l’allegata manutenzione ad opera del Comune;
-con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., per avere la corte territoriale condannato il ricorrente all’integrale pagamento delle spese di lite nonostante abbia accolto solo in parte la domanda attorea, rigettando la domanda risarcitoria per difetto di prova;
– la censura è infondata poiché la corte territoriale ha deciso in conformità al principio generale della soccombenza sancito dall’art. 91 c.p.c., rispetto al quale non ha ritenuto di ravvisare la sussistenza dei presupposti per la compensazione, così esercitando la facoltà riconosciutagli dalla previsione “il giudice può” contenuta nell’art. 92 c.p.c., comma 2;
– in particolare, il giudice d’appello ha ritenuto, all’esito della valutazione complessiva della posizione delle parti, che l’ A. fosse soccombente e tale valutazione è conforme a legge (cfr. Cass. n. 4371/2000; id. 9631/2003);
– in conclusione il ricorso è da rigettare e, in applicazione del principio della soccombenza, parte ricorrente è tenuta alla rifusione delle spese di lite a favore del controricorrente nella misura liquidata in dispositivo;
-sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater -, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e dichiara il ricorrente tenuto alla rifusione delle spese di lite a favore del controricorrente e liquidate in Euro 4000,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre 15% per rimborso spese generali ed oltre accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta sezione civile-2, il 6 ottobre 2021.
Depositato in Cancelleria il 10 febbraio 2022