Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.430 del 10/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12917/2020 proposto da:

A.A.A., rappresentato e difeso dall’avvocato Antonella Macaluso, per procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che lo rappresenta e difende ope legis;

– resistente –

avverso la sentenza n. 645/2019 della CORTE D’APPELLO di CALTANISSETTA, depositata il 16/10/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 10/12/2021 dal Cons. Dott. PARISE CLOTILDE.

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 645/2019 pubblicata il 16-10-2019 la Corte d’appello di Caltanissetta ha respinto l’appello proposto da A.A.A., cittadino del Pakistan, avverso l’ordinanza del Tribunale di Caltanissetta che aveva rigettato la sua domanda avente ad oggetto in via gradata il riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria. Il richiedente riferiva di avere lasciato una prima volta il paese, nel 2011, per andare in Gran Bretagna perché si era sentito in pericolo a seguito di un attacco posto in essere dalle forze armate pakistane presso il quartier generale di ***** che andato prima a ***** dai suocero e poi a *****, era entrato nel partito ***** e, dopo avere saputo di rischiare l’arresto come attivista del *****, era tornato a ***** e poi a *****; infine, era partito per l’Europa, lasciando a ***** la moglie e la figlia. La Corte di appello ha ritenuto le dichiarazioni del richiedente lacunose e contraddittorie e ha affermato che non sussistevano i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria, anche in ragione della situazione del paese di provenienza (nell’atto di appello intercettato ora con riferimento alla Provincia del Sindh, ora a quella del Punjab), alla luce delle fonti internazionali consultate e specificamente indicate; quanto alla protezione umanitaria, è stato precisato che se la documentazione prodotta profilava un significativo radicamento nel territorio italiano, la scarsa credibilità del racconto impediva di avere adeguata contezza di uno sradicamento dal territorio di origine, emergendo di contro il profilo di un migrante economico fortemente motivato, che dopo avere tentato di insediare il proprio nucleo familiare in Gran Bretagna, aveva cercato un’occasione di riscatto in Italia senza però inserirsi nei flussi dell’immigrazione legale; né la situazione del Paese di origine giustificava, in caso di rientro, il timore di essere ucciso.

2. Avverso il suddetto provvedimento, il ricorrente propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno, che si è costituito tardivamente, al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione.

3. Con ordinanza interlocutoria pubblicata il 10-5-2021 la causa è stata rinviata a nuovo ruolo in attesa della decisione delle Sezioni Unite sulla questione in tema di protezione umanitaria rimessa con ordinanza di questa Corte n. 28316/2020.

4. All’esito della pubblicazione della sentenza n. 24413/2021 delle Sezioni Unite di questa Corte, il ricorso è stato nuovamente fissato per l’adunanza in Camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c. e art. 380 bis.1 c.p.c..

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. I motivi di ricorso sono così rubricati:”I. Violazione e falsa applicazione dell’art. 1 della convenzione di Ginevra e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. e) e artt. 5, 7 e 8, anche alla luce del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3; II. Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 e omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio; III. Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 2, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 1 (T.U. Immigrazione) in ordine alla concessione di un permesso per motivi umanitari e al riconoscimento di una protezione di tipo umanitaria, ai sensi dell’art. 3 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio”. Con il primo motivo il ricorrente, denunciando il vizio di violazione delle leggi indicate in rubrica, si duole del diniego dello status di rifugiato, per non avere la Corte d’appello riscontrato la sussistenza di una chiara forma di persecuzione per motivi politici nei suoi confronti, deducendo che il narrato era verosimile alla luce delle notizie pervenute nel contesto della società pakistana e nella sua zona di provenienza. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 e l’omesso esame del fatto che, tornando in Pakistan, avrebbe potuto subire trattamenti inumani e degradanti per motivi di persecuzione politica; la Corte, inoltre, non aveva riconosciuto il clima di assoluta instabilità che caratterizzava il paese di provenienza. Con il terzo motivo il ricorrente si duole del diniego della protezione umanitaria, anche ai sensi dell’art. 3 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, e lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, in quanto la popolazione pakistana viveva attualmente in un contesto di grave emergenza umanitaria, rimarca che egli, mancando dal suo Paese dal 2015, in caso di rientro incorrerebbe nelle difficoltà tipiche di un nuovo inserimento sociale e lavorativo e denuncia l’erroneità del giudizio di comparazione effettuato dalla Corte di merito per violazione dell’art. 2 Cost. e dell’art. 8Cedu.

2. I primi due motivi, da esaminarsi congiuntamente per la loro connessione, sono inammissibili.

2.1. Le censure riferite al giudizio di non credibilità espresso dai giudici di merito, sotto l’apparente denuncia del vizio di violazione di legge, sono in realtà dirette a sollecitare il riesame del merito. La Corte d’appello ha evidenziato, con motivazione adeguata e facendo applicazione dei parametri legali di cui al D.Lgs. n. 151 del 2007, art. 3, plurimi profili di inverosimiglianza e contraddittorietà del narrato (cfr. pag. 6 e 7 della sentenza impugnata). L’art. 3 citato obbliga il giudice a sottoporre le dichiarazioni del richiedente, ove non suffragate da prove, non soltanto ad un controllo di coerenza interna ed esterna, ma anche ad una verifica di credibilità razionale della concreta vicenda narrata a fondamento della domanda (da ultimo Cass. n. 21142/2019; Cass. n. 20580/2019).

Il ricorrente contrappone, impropriamente, la propria ricostruzione dei fatti narrati a quella effettuata dai giudici di merito e si duole dell’omessa attivazione dei doveri istruttori ufficiosi, che, invece, non vi è ragione di effettuare, una volta esclusa la credibilità della vicenda personale allegata (tra le tante Cass. n. 3340/2019 e Cass. n. 27336/2018).

2.2. E’ inammissibile anche la censura relativa al diniego della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 151 del 2007, art. 14, lett. c). La Corte di merito, indicando le fonti di conoscenza (pag. 9 e 10 sentenza), ha escluso la sussistenza di una situazione di violenza indiscriminata sia nel Sindh sia nel Punjab, e la doglianza si risolve in un’impropria e inconferente critica a detto accertamento fattuale, mediante il riferimento ad una situazione di “instabilità” che è estranea a quella di rilevanza ai fini della protezione di cui trattasi.

3. E’ fondato il terzo motivo, con cui il ricorrente, nel dolersi del diniego della protezione umanitaria, nella specie disciplinata dal regime anteriore a quello introdotto dal D.L. n. 113 del 2018, censura il giudizio di comparazione, effettuato dalla Corte di merito, tra le condizioni di vita (grado di integrazione) del richiedente in Italia e quella che egli potrebbe avere in caso di rientro nel paese di origine.

3.1. Con la recente sentenza n. 24413/2021, le Sezioni Unite di questa Corte, nel ribadire quanto già affermato con la precedente sentenza n. 29459/2019 circa i caratteri di concretezza ed effettività connotanti il suddetto giudizio, hanno ulteriormente chiarito che i due termini di comparazione sono legati in senso inversamente proporzionale tra loro. In particolare, il maggior grado di integrazione in Italia ovvero le condizioni di vita ben integrate e documentate da parte dello straniero determineranno un minor peso della condizione soggettiva e oggettiva del richiedente nel paese di origine, e ciò in quanto la persona ben integrata e radicata, ove rimpatriata, potrebbe subire un effettivo scadimento delle condizioni di vita personali, familiari e lavorative, con il conseguente probabile vulnus al diritto riconosciuto dall’art. 8 della Convenzione EDU. Il giudizio di comparazione, dunque, dovrà essere effettuato tenendo conto della necessaria correlazione tra gli elementi sopra indicati in rapporto di proporzionalità inversa, mediante attribuzione ai rispettivi fattori di comparazione di un diverso peso nel senso precisato, non potendo porsi su un piano di equivalenza le documentate condizioni di integrazione e la situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine. L’indagine andrà condotta alla stregua del disposto dell’art. 8 CEDU, ossia occorrerà verificare se sussista il profilo di vulnerabilità legato alla comparazione tra il contesto economico, lavorativo e relazionale che il richiedente troverebbe rientrando nel paese di origine e le condizioni di integrazione dal medesimo raggiunta in Italia nel tempo necessario al compimento dell’esame della sua domanda di protezione in sede amministrativa e giudiziaria. A tal fine, eccezion fatta per le ipotesi di radicale incertezza sulla identità o nazionalità stessa del richiedente, non è di ostacolo al riconoscimento del beneficio domandato la ritenuta non credibilità del racconto della vicenda personale reso dal richiedente asilo, dovendosi apprezzare le conseguenze del rimpatrio sulla base delle condizioni generali del Paese di origine correlate alla sua posizione individuale.

Occorre, altresì, precisare che, in tema di protezione complementare di diritto nazionale, di protezione umanitaria in regime transitorio o di protezione speciale introdotta dal D.L. 21 ottobre 2020, n. 130, convertito con modificazioni dalla L. 18 dicembre 2020, n. 173, sul giudice del procedimento incombe il dovere di cooperazione istruttoria, che attiene alla prova dei fatti e non alla loro allegazione, previsto in tema di esame delle domande di protezione internazionale, ai sensi dell’art. 4 della Direttiva CE 13.12.2011, n. 95, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3,D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8 e dello stesso D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 9 e art. 27, comma 1 bis, limitatamente alle circostanze concernenti la situazione sociale, economica o politica del Paese di provenienza del richiedente e non, quindi, relativamente alle circostanze attinenti alla integrazione sociale, culturale, lavorativa e familiare del richiedente asilo in Italia. In definitiva e in sintesi, alla stregua dei principi affermati con la citata recente pronuncia delle Sezioni Unite, i giudici di merito dovranno accertare:i) se il richiedente abbia dimostrato di aver raggiunto un apprezzabile livello di integrazione in Italia (influendo “..nel giudizio sulla vulnerabilità, non solo il rischio di danni futuri legati alle condizioni oggettive e soggettive che il migrante (ri)troverà nel paese d’origine – ma anche il rischio di un danno attuale da perdita di relazioni affettive, di professionalità maturate, di osmosi culturale riuscita..” così Cass. S.U. 24413/2021 citata); in caso di positivo accertamento del primo requisito, se il ritorno nel paese d’origine renda probabile un significativo scadimento delle condizioni di vita privata e/o familiare sì da recare un vulnus al diritto riconosciuto dall’art. 8 della Convenzione EDU e da far ritenere, perciò, sussistente un serio motivo di carattere umanitario, ai sensi dell’art. 5 T.U. Imm. e ciò mediante comparazione tra la situazione del Paese di origine e il grado di integrazione in Italia da effettuarsi in rapporto di proporzionalità inversa.

3.2. Nel caso di specie, la Corte di merito, pur dando atto del significativo radicamento del richiedente in Italia (pag. 10 e 11 sentenza) ha negato la protezione umanitaria limitandosi ad affermare che “la complessiva inattendibilità del racconto fatto alla Commissione territoriale non dà adeguata contezza di uno sradicamento qualificato dal territorio di origine, tale da profilare una specifica condizione di vulnerabilità nel caso di rientro” (pag. 11 sentenza), e non ha, pertanto, effettuato il giudizio comparativo secondo i principi di cui si è detto.

4. In conclusione, il terzo motivo va accolto, la sentenza impugnata va cassata, nei limiti del motivo accolto, e la causa va rinviata alla Corte d’appello di Caltanissetta, in diversa composizione, anche per la decisione sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso, dichiarati inammissibili i primi due motivi, cassa la sentenza impugnata nei limiti del motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d’appello di Caltanissetta, in diversa composizione, anche per la decisione sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 10 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 10 gennaio 2022

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