LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –
Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –
Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –
Dott. VELLA Paola – Consigliere –
Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 4626/2021 R.G. proposto da:
Fallimento della società di fatto e occulta tra M.M.G., D.C.G. e T.M., nonché degli stessi in proprio quali soci illimitatamente responsabili, tutti in persona del curatore fall.re Dott. P.A., elettivamente domiciliati in Roma, Piazza Vescovio n. 21, presso lo studio dell’Avvocato Tommaso Manferoce, che li rappresenta e difende giusta procura a margine dell’atto di costituzione di nuovo difensore;
– ricorrenti –
contro
T.M., elettivamente domiciliato in Roma, Via delle Fornaci n. 35, presso lo studio dell’Avvocato Giulia Chiesa, che lo rappresenta e difende, unitamente agli Avvocati Concetta D’Arrigo, e Giuseppe Iannaccone, giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
contro
D.C.G., elettivamente domiciliato in Roma, P.le Clodio n. 8, presso lo studio dell’Avvocato Marina Milli, rappresentato e difeso dall’Avvocato Mario Migliorini, giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
contro
Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Venezia, Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione, Pubblico Ministero presso l’Ufficio della Procura della Repubblica di Vicenza, Fallimento di M.M.G. in proprio e quale titolare dell’impresa M. Rea Estate di M.M.G.;
– intimati –
avverso la sentenza n. 11/2021 della Corte d’appello di Venezia, pubblicata l’11/1/2021;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 2/12/2021 dal Cons. Dott. Alberto Pazzi.
RILEVATO
che:
1. Il Tribunale di Vicenza, con sentenza del 29 maggio 2020, dichiarava, ai sensi della L. Fall., art. 147, comma 5, e su istanza del curatore del fallimento di M.M.G., il fallimento in estensione della società di fatto ed occulta costituita fra il medesimo M., D.C.G. e T.M..
2. La Corte d’appello di Venezia, a seguito del reclamo proposto da D.C.G. e T.M., rilevava che il Tribunale non aveva osservato il disposto della L. Fall., art. 25, comma 2, secondo cui il giudice delegato non può trattare i giudizi che abbia autorizzato, perché il magistrato che permesso al curatore di presentare il ricorso per l’estensione del fallimento aveva poi preso parte anche al collegio che, in accoglimento di tale ricorso, aveva dichiarato il fallimento dei reclamanti.
L’inosservanza di questo precetto normativo aveva determinato un vizio di costituzione del giudice, il cui rilievo non era precluso dal fatto che i reclamanti non avessero presentato, nel corso del procedimento L. Fall., ex art. 15, istanza di ricusazione; infatti, l’esercizio della ricusazione presupponeva la conoscenza delle condizioni per esercitare tale facoltà, mentre nel caso di specie i reclamanti non avevano potuto conoscere, prima della pubblicazione della sentenza, quale sarebbe stata la composizione del collegio decidente.
Ne’ valeva a ciò il decreto di delega al giudice relatore dell’audizione delle parti, pronunziato ai sensi della L. Fall., art. 15, comma 6, con la partecipazione del giudice che aveva autorizzato l’esercizio dell’azione, dato che lo stesso aveva contenuto ordinatorio e non serviva a prefissare la composizione del collegio.
3. Per la cassazione di questa sentenza, pubblicata in data 11 gennaio 2021, ha proposto ricorso il fallimento della società di fatto ed occulta fra M.M.G., D.C.G. e T.M. prospettando quattro motivi di doglianza, ai quali hanno resistito con controricorso D.C.G. e T.M..
Questi ultimi hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c..
Gli intimati M.M.G., P.M. presso la Procura della Repubblica di Vicenza, Procuratore generale presso la Corte d’appello di Venezia, Procuratore generale presso la Corte di Cassazione, fallimento di M.M.G. non hanno svolto difese.
CONSIDERATO
che:
4. Il primo motivo di ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione della L. Fall., artt. 27 e 147, artt. 51,52 e 158 c.p.c. e art. 113 c.p.c., perché la Corte d’appello ha ritenuto nulla la sentenza del Tribunale di Vicenza – in irrimediabile contrasto con il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità – dopo aver rilevato un asserito vizio di costituzione del giudice, ex art. 158 c.p.c., dovuto alla mancata astensione del giudice delegato, malgrado simili ipotetici vizi dovessero essere fatti valere con un’istanza di ricusazione mai proposta dai reclamanti.
Questi ultimi avrebbero potuto denunciare la nullità della sentenza, impugnando la sentenza di fallimento, solo se in precedenza avessero assolto l’onere di ricusazione preventiva che su di loro incombeva.
4.2 Il secondo motivo di ricorso, nel lamentare, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione della L. Fall., artt. 25 e 147, artt. 51,52 e 158 c.p.c. e art. 113 disp. att. c.p.c., assume che la Corte d’appello abbia apoditticamente ritenuto che i reclamanti non fossero in grado di conoscere la composizione del collegio prima della pubblicazione della sentenza e di proporre istanza di ricusazione, senza considerare che la parte, essendo sempre in grado di avere contezza della composizione del collegio prima della Camera di consiglio, a mente dell’art. 113 disp. att. c.p.c., è chiamata a verificare in via preventiva tale composizione e a proporre istanza di ricusazione, la quale costituisce non una facoltà ma un onere.
4.3 Il terzo motivo di ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione della L. Fall., artt. 25 e 147, artt. 51,52,115,116 e 158 c.p.c. e art. 113 disp. att. c.p.c. e sostiene che la Corte d’appello abbia erroneamente ritenuto che il decreto collegiale di designazione del giudice relatore non fosse idoneo a dimostrare l’effettiva conoscenza in capo ai reclamanti della composizione del collegio giudicante, dato che lo stesso indicava fra i componenti del collegio il magistrato che aveva autorizzato l’esercizio dell’azione e ne riportava la sottoscrizione in veste di presidente.
5. I motivi, da esaminarsi congiuntamente in ragione del rapporto di connessione che li unisce, sono fondati.
5.1 L’attuale disposto della L. Fall., art. 25, comma 2, secondo cui “il giudice delegato non può trattare i giudizi che abbia autorizzato”, fissa una regola di carattere generale tesa ad assicurare nell’ambito della procedura fallimentare l’applicazione del principio di imparzialità del giudice previsto dall’art. 111 Cost., diventato un elemento essenziale del cd. “giusto processo”, e dei principi espressi nell’art. 6, par. 1, della Convenzione EDU, in base al quale ogni persona ha diritto che la sua causa sia esaminata, pubblicamente e in un tempo ragionevole, da parte di un tribunale indipendente e imparziale.
L’ampia latitudine del precetto normativo fa sì che debba essere ricompreso nell’ambito di operatività della norma tanto il caso in cui il curatore abbia presentato istanza di fallimento (Cass. 12066/2017, Cass. 12057/2019), quanto quello in cui il medesimo organo della procedura abbia presentato istanza per l’estensione del fallimento alla società di cui il fallito era socio illimitatamente responsabile ed agli altri soci della medesima compagine ai sensi della L. Fall., art. 147, comma 5 (come già riconosciuto da Cass. 10732/2013).
5.2 La norma in discorso istituisce un’ipotesi di incompatibilità, “determinata dalla manifestazione di un’opinione sia pur delibatoria e prognostica in ordine alla fondatezza dell’azione, dunque di una situazione latamente riconducibile alla previsione dell’art. 51 c.p.c., comma 1, n. 4” (v., in questi termini, Cass. 12066/2017), ma non priva il giudice della potestas iudicandi e comporta un obbligo di astensione suscettibile di essere fatto valere dall’interessato attraverso la ricusazione, ai sensi dell’art. 52 c.p.c..
In altri termini, il giudice incardinato presso il tribunale che adotta il provvedimento ha per ciò solo piena potestas iudicandi, ancorché abbia autorizzato l’iniziativa che abbia portato alla pronunzia della statuizione, della quale non è privato dal disposto della norma in questione, che costituisce una particolare applicazione dell’art. 51 c.p.c., comma 1, n. 4.
Ne discende che la parte, in una simile ipotesi, ha l’onere della ricusazione e non può dedurre la nullità ex art. 158 c.p.c. (Cass. 24718/2015).
Occorre pertanto ribadire il principio più volte enunciato da questa Corte secondo cui il giudice che abbia autorizzato il ricorso per la dichiarazione di fallimento non può, in quanto incompatibile, prendere parte alla decisione del ricorso suddetto ed ha un obbligo di astensione, la cui violazione però, può essere fatta valere dalla parte unicamente con l’istanza di ricusazione nei modi e termini di cui all’art. 52 c.p.c. e non, tranne che per l’ipotesi di interesse diretto del giudice nella causa, come motivo di nullità della sentenza (Cass. 12066/2017, Cass. 22835/2016, Cass. 24866/2014, Cass. 16861/2013, Cass. 12115/2013, Cass. 10900/2010, Cass. 23930/2009, Cass. 13433/2007).
In mancanza di ricusazione, la violazione da parte del giudice dell’obbligo di astenersi, quand’anche riscontrata, non può essere fatta valere in sede di impugnazione come motivo di nullità della sentenza (Cass., Sez. U., 1545/2017, Cass. 13935/2016, Cass. 26223/2014, Cass., Sez. U., 3527/2002), salvi i casi, qui non ricorrenti, di interesse proprio e diretto nella causa, che pone il giudice nella posizione sostanziale di parte, e d’incompatibilità derivante dalla previsione di diversa composizione del collegio giudicante, quale quella contenuta nella sentenza di cassazione con rinvio.
Nel caso di specie, pacificamente, nessuna istanza di ricusazione è stata presentata, sicché rimaneva precluso il rilievo di un vizio di costituzione del giudice ex art. 158 c.p.c..
5.3 La Corte territoriale non ha disconosciuto i principi appena richiamati, ma ha ritenuto di disapplicarli in ragione del fatto che i reclamanti non erano stati posti nelle condizioni di esercitare la facoltà di presentare istanza di ricusazione, non essendo in grado di conoscere la composizione del collegio che sarebbe stato chiamato a pronunciarsi sulla domanda di fallimento in estensione.
Questa Corte ha avuto già modo di chiarire che la parte non può utilmente dedurre, a questo proposito, la tardiva conoscenza della composizione del collegio che l’ha pronunciata, avendo la possibilità, alla stregua dell’art. 113 disp. att. c.p.c., di conoscere, prima della Camera di consiglio, l’identità dei magistrati destinati a comporre il collegio e, quindi, di proporre rituale istanza di ricusazione (Cass. 12057/2019, Cass. 2399/2016).
Il che significa che il destinatario di un’istanza di fallimento, ordinaria o in estensione, presentata dal curatore di un fallimento dietro autorizzazione del giudice delegato alla procedura non può sostenere, in linea generale, di non essere in grado di conoscere in anticipo la composizione del collegio che sarà chiamato ad assumere la decisione, giacché, attraverso la combinazione del contenuto delle tabelle organizzative del tribunale, con riferimento alla composizione dei collegi per le cause fallimentari, con quanto disposto con il decreto emesso dal presidente del tribunale ai sensi dell’art. 113 disp. att. c.p.c., comma 1, le è data la possibilità, alla luce della regola prevista dal capoverso di tale norma, di individuare la concreta composizione del collegio che sarà chiamato a decidere la controversia (formato dal presidente, dal giudice relatore e dal giudice più anziano).
E’ poi onere della parte interessata avvalersi di simili strumenti di conoscenza al fine di verificare la composizione del collegio che sarà chiamato a pronunciarsi sull’istanza o sulla richiesta di fallimento e di esercitare il proprio diritto di presentare istanza di ricusazione.
Nel caso di specie la Corte distrettuale non ha accompagnato la valutazione dell’impossibilità di individuare la concreta composizione del collegio giudicante con un’argomentazione che spiegasse in termini specifici, alla luce della disciplina che presiede alla formazione (non casuale) dei collegi che si occupano della trattazione delle cause in materia fallimentare, le ragioni dell’impossibilità di acquisire una simile conoscenza.
Non risulta neppure in atti – che questo collegio può esaminare, quale giudice del “fatto processuale”, essendo stato denunciato un error in procedendo – che i reclamanti avessero accompagnato le proprie doglianze con documentazione atta a dimostrare l’esito delle verifiche a cui erano tenuti, vale a dire che le tabelle organizzative del Tribunale di Vicenza e i decreti emessi ai sensi dell’art. 113 disp. att. c.p.c., portassero all’individuazione di un collegio diverso da quello che aveva in concreto adottato la decisione, onde dar concreta prova della sussistenza di un’effettiva impossibilità di ravvisare la ragione di incompatibilità prevista dalla L. Fall., art. 25, comma 2, e di presentare la relativa istanza di ricusazione.
5.4 Per di più nel caso di specie non è possibile sostenere che fosse preclusa alla parte la possibilità di prevedere un’inclusione nel collegio giudicante del magistrato che aveva autorizzato la proposizione dell’azione, dato che quest’ultimo risultava come presidente del collegio che aveva delegato al giudice relatore l’audizione delle parti, ai sensi della L. Fall., art. 15, comma 6, ed aveva sottoscritto il relativo decreto.
E’ ben vero, come rileva la Corte distrettuale all’interno della decisione impugnata, che un simile provvedimento “non vale a prefissare la composizione del collegio”, determinandone il novero in termini vincolanti al momento dell’adozione della decisione sulla richiesta o istanza di fallimento; lo stesso, però, assumeva un valore programmatico dello sviluppo del procedimento, sicché la parte non può sostenere di non essere stata in grado di presentare istanza di ricusazione nei confronti di chi era stato così previsto come membro del collegio che avrebbe assunto la decisione conclusiva.
Ne’ giova sostenere che il collegio delle delega non comprendesse il giudice relatore, giacché la necessaria inclusione di quest’ultimo nel collegio giudicante non avrebbe certo comportato l’esclusione del magistrato più anziano, in applicazione della regola prevista dall’art. 113 disp. att. c.p.c., comma 2.
6. Per tutto quanto sopra esposto la sentenza impugnata andrà cassata, con rinvio della causa alla Corte distrettuale, la quale, nel procedere al suo nuovo esame, si atterrà ai principi sopra illustrati, avendo cura anche di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Venezia in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 2 dicembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 10 febbraio 2022
Codice Civile > Articolo 2021 - Legittimazione del possessore | Codice Civile
Codice Procedura Civile > Articolo 1 - Giurisdizione dei giudici ordinari | Codice Procedura Civile
Codice Procedura Civile > Articolo 52 - Ricusazione del giudice | Codice Procedura Civile
Codice Procedura Civile > Articolo 113 - Pronuncia secondo diritto | Codice Procedura Civile