È inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l'apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici o delle risultanze istruttorie operata dal giudice di merito.
Quanto al contenuto della sentenza, il vizio di motivazione previsto dall'art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e dall'art. 111 Cost., sussiste quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio, né alcuna disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito, oppure si palesi il profilo della manifesta implausibilità del percorso che lega la verosimiglianza delle premesse alla probabilità delle conseguenze.
Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n. 4352 del 10/02/2022
RITENUTO
che:
Con atto di opposizione notificato il 28/3/2006, A.F. contestò la stima della indennità di espropriazione effettuata dal Comune di Rosolini relativamente alle aree oggetto del Decreto di Esproprio 7 marzo 2006, n. 44 e ne chiese la determinazione. Si costituì il Comune e chiese il rigetto della domanda; intervenne in giudizio A.E., che dedusse di essere comproprietaria unitamente alla sorella F. di parte delle aree espropriate, contestò la stima e chiese la quantificazione dell’indennità.
Espletata la consulenza tecnica, con sentenza parziale la Corte d’appello di Catania determinò l’indennità dovuta per l’espropriazione della particella n. ***** fol. ***** e stabilì che l’indennità delle ulteriori aree oggetto di esproprio rientranti in zona F2/17 doveva essere determinata con riferimento al valore agricolo.
Detta sentenza, impugnata da A.F., venne riformata parzialmente dalla Corte di cassazione (sentenza n. 5631/2012) che confermò l’inedificabilità dei suoli per i quali l’indennità non era stata ancora determinata e stabilì che la valutazione delle aree doveva tenere conto del valore venale del bene e di tutto le possibilità di sfruttamento delle aree.
Con sentenza definitiva la Corte catanese determinò l’indennità definitiva di esproprio delle aree rientranti nella zona F2/17 sulla base del valore agricolo medio, quantificandola in Euro 47.534,70. Anche questa sentenza venne cassata in sede di legittimità (ordinanza n. 20456/2013) perché, a seguito della pronuncia della Corte costituzionale n. 181 del 2011, anche l’indennità di esproprio dei suoli agricoli e non edificabili andava determinata in base al criterio generale del valore venale del bene.
I giudizi in sede di rinvio vennero riassunti nei confronti di M.B., C. e G., quali eredi di A.E., deceduta. Si costituì solo M.B. che dichiarò di essere l’unico erede universale di A.E.. I giudizi vennero riuniti.
La Corte di appello ha dato atto che la qualificazione dei terreni come non edificabili era coperta da giudicato, così come la loro estensione e la loro natura non irrigua, ed ha quantificato l’indennità spettante pro quota a A.F. e M.B. in Euro 673.873,00, oltre agli indennizzi già riconosciuti nelle precedenti sentenze per le part.lle n. ***** e n. *****, sulla scorta di una rinnovata CTU.
In particolare, ha affermato che il valore da attribuire ai terreni non poteva essere che quello derivante dall’utilizzazione meramente agricola che degli stessi era possibile fare ed ha recepito il valore venale agricolo stabilito dal CTU in Euro 9,50/mq per i motivi indicati da questi nell’elaborato tecnico, sulla scorta della media di tre atti di compravendita di terreni agricoli aventi colture similari ubicati in prossimità delle aree espropriate.
Il Comune di Rosolini ha proposto ricorso per cassazione con due mezzi, seguito da memoria. A.F. ha replicato con controricorso e memoria. M.B., C., G. ed E. sono rimasti intimati.
CONSIDERATO
che:
1. Il ricorso è articolato nei seguenti motivi:
I) Violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 40, e della L. n. 2359 del 1865, art. 39. Il ricorrente si duole del fatto che – a suo parere – pur avendo la Corte di Cassazione nelle due pronunce già emesse sul caso, confermato l’accertamento in merito alla natura agricola del bene ablato ed avere stabilito il principio secondo il quale l’indennità di esproprio dei suoli agricoli e non edificabili andava determinata in base al criterio generale del valore venale del bene, la Corte di appello avrebbe errato nel darvi applicazione per avere liquidato l’indennità in base ad un valore unitario (Euro 9,50 /mq), non solo non commisurato al valore delle colture in atto sul fondo, ma addirittura superiore al valore venale del cespite in violazione delle norme anzidette;
II) Nullità della sentenza in relazione all’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4. La ricorrente si duole che la Corte distrettuale abbia recepito esattamente l’indicazione del CTU, nonostante fossero state svolte puntuali critiche a detto elaborato in ordine ai criteri di valutazione dei terreni; sostiene l’apparenza della motivazione, perché la Corte di merito si sarebbe limitata ad esprimere condivisione alle conclusioni del CTU, senza esaminare le controdeduzioni del Comune, anche se aveva, comunque, contenuto la valutazione originaria del CTU (Euro 11,52/mq) portandola a Euro 9,50/mq; a parere del ricorrente questo valore era enormemente – secondo la documentazione prodotta e le osservazioni svolte – superiore ai valori riguardanti le transazioni di fondi attigui documentate dal Comune.
2. I motivi vanno esaminati cumulativamente, in quanto fonte di una comune contestazione circa il valore attribuito ai beni ablati; sono affetti da pregiudiziale inammissibilità in quanto, pur prospettando violazioni di legge, sono intesi a censurare l’apprezzamento di fatto operato dal giudice di merito nel procedere alla liquidazione dell’indennità, notoriamente non sindacabile in questa sede sotto il profilo qui denunciato.
3. Giova rammentare che è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici o delle risultanze istruttorie operata dal giudice di merito (Cass. Sez. U. n. 34476/2019; Cass. n. 5987/2021; Cass. n. 29404/2017; Cass. n. 19547/2017; Cass. n. 8758/2017; Cass. n. 16056/2016). Quanto al contenuto della sentenza, il vizio di motivazione previsto dall’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e dall’art. 111 Cost., sussiste quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio, né alcuna disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito (Cass. n. 3819/2020), oppure si palesi il profilo della manifesta implausibilità del percorso che lega la verosimiglianza delle premesse alla probabilità delle conseguenze (Cass. n. 16502 del 05/07/2017).
Va aggiunto che ove la parte lamenti l’acritica ed immotivata adesione del giudice di merito alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, non può limitarsi a far valere genericamente lacune di accertamento o errori di valutazione commessi dal consulente o dalla sentenza che ne abbia recepito l’operato, ma, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione ed al carattere limitato del mezzo di impugnazione, ha l’onere di indicare specificamente le circostanze e gli elementi rispetto ai quali invoca il controllo di logicità, trascrivendo integralmente nel ricorso almeno i passaggi salienti e non condivisi della relazione e riportando il contenuto specifico delle critiche ad essi sollevate, al fine di consentire l’apprezzamento dell’incidenza causale del difetto di motivazione (Cass. n. 19989/2021; Cass. n. 16368/2014).
4. Nel caso in esame, contrariamente a quanto assume il ricorrente la Corte distrettuale si è attenuta ai principi fissati dalla Corte di legittimità nei due giudizi rescindenti, circa la natura agricola e non irrigua dei beni ed il criterio del valore venale del bene da utilizzare ai fini liquidatori, giungendo alla quantificazione finale su cui sono incentrate le due censure.
Orbene, la prima censura è inammissibile perché pur prospettando una violazione di legge, mira ad una rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (Cass. n. 8758 del 04/04/2017).
Essa, infatti, per un verso, si appunta sulla tipologia di coltivazione praticata sui beni ablati al momento dell’immissione in possesso (foraggere), nonostante questo specifico elemento di fatto non risulti essere stato oggetto di discussione e/o di accertamento in fase di merito, alla stregua della sentenza impugnata e del ricorso – ove viene riportato solo un passaggio decontestualizzato e non autosufficiente della CTU e lo stralcio della comparsa conclusionale del Comune, sicuramente inidonea a far ritenere tempestivamente introdotto tale tema di indagine in fase di merito – e, per l’altro, non considera che la Corte territoriale nella decisione impugnata dà conto della determinazione del valore del bene proprio sulla scorta della media di atti di compravendita di terreni agricoli aventi colture similari, e quindi dimostra di avere tenuto conto della coltivazione del terreno.
La seconda censura, posto che la motivazione c’e’, risulta inammissibile perché priva di specificità, alla stregua dell’enunciato principio (Cass. n. 19989/2021; Cass. n. 16368/2014), in quanto la critica alla CTU è svolta mediante la parziale trascrizione delle controdeduzioni svolte dal CT di parte alla CTU, ma di quest’ultima relazione non è trascritto alcun passaggio saliente e non condiviso, necessario al fine di consentire l’apprezzamento dell’incidenza causale del difetto di motivazione lamentato, sub specie di motivazione apparente.
5. In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile;
Le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.
Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (Cass. S.U. n. 23535 del 20/9/2019).
PQM
– Dichiara inammissibile il ricorso;
– Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese processuali che liquida in Euro 12.000,00, oltre Euro 200,00, per esborsi, spese generali liquidate forfettariamente nella misura del 15% ed accessori di legge;
– Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 24 novembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 10 febbraio 2022