Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.4394 del 10/02/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 21744/2017 r.g. proposto da:

INTESA SANPAOLO S.P.A., (incorporante per fusione il Banco di Napoli s.p.a.), con sede legale in ***** in persona del suo legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, giusta procura speciale allegata in calce al ricorso, dall’Avvocato G. Carlo Grillo, presso il cui studio elettivamente domicilia in Roma, al Viale Giulio Cesare n. 2.

– ricorrente –

contro

B.E., C.A., C.A.R., e C.A.G., quali eredi del Dott. Cu.Al., tutti rappresentati e difesi, giusta procura speciale allegata in calce al controricorso, dall’Avvocato Bruno Bonanni, presso il cui studio elettivamente domiciliano in Roma, alla via Giovanni Gentile n. 8.

– controricorrenti –

avverso la sentenza, n. cron. 366/2017, della CORTE DI APPELLO DI REGGIO CALABRIA depositata in data 14/06/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del giorno 04/02/2022 dal Consigliere Dott. Eduardo Campese.

FATTI DI CAUSA

1. Con atto notificato il 14.10.2008, Cu.Al. citò il Banco di Napoli s.p.a. davanti al Tribunale di Reggio Calabria, esponendo che: i) era l’unico erede di Cu.An., il quale aveva intrattenuto, per molti anni, rapporti di conto corrente con il Banco predetto, filiale di *****, identificati con i nn. *****, tutti già saldati e chiusi; ii) sia in occasione della chiusura, sia per l’intera durata dei corrispondenti contratti, erano stati ivi contabilizzati interessi e spese non dovuti; iii) su tutti i rapporti il Banco di Napoli aveva applicato spese, valute, competenze ed interessi ultralegali, mai concordati ed accettati, e con capitalizzazione trimestrale degli stessi; iv) in conseguenza di detto comportamento dell’Istituto di credito, il suo dante causa, Cu.An., aveva intrapreso altro giudizio nei confronti del Banco di Napoli – Gruppo Sanpaolo IMI, chiedendo, in relazione ai conti nn. *****, previa declaratoria di nullità delle clausole relative all’anatocismo, alle spese ed agli interessi, la restituzione delle somme indebitamente percepite; v) che detto giudizio si era concluso con la sentenza n. 476/2006, del Tribunale di Reggio Calabria, recante la condanna del Banco medesimo alla restituzione, in favore dell’attore, di Euro 59.301,44, oltre interessi, ma non aveva provveduto alla rivisitazione del conto corrente n. ***** perché lo stesso non era stato indicato nell’atto introduttivo del giudizio, sicché si era reso necessario promuovere l’odierno, diverso giudizio; vi) il conto originario era il n. *****, mentre gli altri due conti n. ***** ed ***** erano stati accesi come conti “di servizio” quando il C. aveva chiesto una prima apertura di credito, per lire 550.000.000, quale anticipo su notule inviate all’ASL ( Cu.An. ed Al. erano titolari di una farmacia sita nel centro storico di *****) ed una seconda apertura di credito, per Lire 150.000.000, il tutto con calcolo di interessi separati sui vari conti, con ristorno di somme ed interessi su tutti i conti e successivi ampliamenti di fido.

1.1. Su tali premesse, chiese, previa rivisitazione del conto corrente n. ***** attraverso una c.t.u. contabile, la condanna del Banco di Napoli s.p.a. alla restituzione della somma di Euro 500.000,00 o di quella, maggiore o minore, eventualmente risultata equa in corso di causa, indebitamente percepita per anatocismo trimestrale, spese ed interessi mai concordati.

1.2. Si costituì il menzionato istituto di credito, concludendo per l’inammissibilità dell’avversa domanda per essersi il tribunale già pronunciato con la decisione n. 476/2006 sopra citata e, nel merito, per il suo rigetto essendo state calcolate valute ed interessi secondo le norme contrattuali e le leggi in materia.

1.3. Disposta ed espletata una c.t.u. contabile, il giudizio fu interrotto per il decesso del procuratore costituito del Banco di Napoli s.p.a., e, avvenutane la riassunzione da parte di Cu.Al., l’adito tribunale, con sentenza del 7 novembre 2013, n. 1870, condannò il Banco predetto alla restituzione, in favore dell’attore, della somma di Euro 496.760,74.

2. Pronunciandosi sui gravami, principale ed incidentale, proposti, rispettivamente, dal Banco di Napoli s.p.a. nonché da B.E., C.A., C.A.R. e C.A.G. (tutti quali eredi di Cu.Al.), la Corte di appello di Reggio Calabria, con sentenza pubblicata il 14 giugno 2017, n. 366, li ha respinti entrambi, compensando le spese del grado.

2.1. Per quanto qui ancora di interesse, quella corte: i) ha ritenuto infondata l’eccezione di prescrizione del diritto degli appellati ad ottenere la restituzione delle somme indebitamente percepite dall’appellante principale, reiterata da quest’ultima, avvalendosi dei principi resi da Cass. n. 24118 del 2010 e considerando idoneo atto interruttivo della prescrizione l’atto stragiudiziale del 12 aprile 2006; ii) ha respinto l’eccezione di violazione dell’art. 2909 c.c., in relazione alla condanna al pagamento di ulteriori somme rinvenienti da rapporti coperti dal giudicato di cui alla precedente sentenza n. 476/07 del Tribunale di Reggio Calabria. Sul punto, richiamando, preliminarmente, i quesiti affidati al c.t.u. in primo grado e la successiva richiesta di chiarimenti rivoltagli in quella stessa sede, ha opinato che “La rivisitazione degli altri conti, per come precisato dal CTU nelle sue relazioni, si è resa necessaria solo per accertare i maggiori oneri derivanti dallo storno di somme dal conto n. ***** – unico rapporto oggetto di questo giudizio – agli altri e particolarmente sul conto corrente principale (sul quale, in definitiva, andavano a gravare le operazioni finali) n. ***** dove erano previsti maggiori interessi rispetto al conto n. *****”; iii) ha osservato che “le relazioni del consulente non lasciano dubbi sull’applicazione al rapporto di conto corrente de quo della capitalizzazione trimestrale degli interessi (anatocismo)” ed ha fatto propria la richiamata giurisprudenza di legittimità in tema di nullità delle clausole anatocistiche stipulate – come quella in esame – anteriormente alla entrata in vigore del Delib. CICR di cui al D.Lgs. n. 342 del 1999, art. 25, comma 2, detta capitalizzazione; iv) ha affermato che, pertanto, “al contratto di conto corrente di cui si discute va applicato il tasso legale ex art. 1284 c.c., fino all’8 luglio 1992, data di entrata in vigore della L. n. 154 del 1992, e per tutto il periodo successivo e fino all’estinzione, il tasso nominale minimo e quello massimo dei buoni ordinari annuali del tesoro, o di altri titoli simili indicati dal Ministero del tesoro, emessi nei dodici mesi precedenti la conclusione del contratto, rispettivamente per le operazioni attive e per quelle passive, ai sensi dell’art. 117 T.U.B.”; v) ha precisato, infine, che “L’entità dell’accrescimento illegittimo – perché conseguenza delle pattuizioni giuridicamente nulle di cui sopra e del transito trimestrale di interessi passivi calcolati sul conto corrente ***** per le movimentazioni di denaro provenienti da accrediti dell’ASL per il pagamento delle forniture e che venivano stornate, con valuta dello stesso giorno sul conto n. ***** – dell’esposizione debitoria del C. è risultata dai conteggi contenuti nella relazione di CTU e nella successiva integrazione ed è pari ad Euro 496.760,74 fino alla data di chiusura dell’11.9.1996”.

3. Avverso questa decisione, ha promosso ricorso per cassazione il Banco di Napoli s.p.a. (successivamente incorporato per fusione da Intesa Sanpaolo s.p.a.), affidandosi a tre motivi, illustrati anche da memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c.. Hanno resistito, con unico controricorso, parimenti corredato da analoga memoria, B.E., C.A., C.A.R. ed C.A.G., tutti quali eredi di Cu.Al..

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Rileva, pregiudizialmente, il Collegio che, come recentemente chiarito da questa Suprema Corte, “in tema di validità della procura alle liti, ove in corso di causa intervenga la fusione per incorporazione della società in lite, l’incorporante può costituirsi in giudizio avvalendosi della procura in precedenza rilasciata dall’incorporata, poiché l’attuale formulazione dell’art. 2504-bis c.c., prevede la prosecuzione dei rapporti giuridici, anche processuali, in capo al soggetto unificato a seguito della fusione, risolvendosi quest’ultima in una vicenda (non estintiva ma) evolutivo-modificativa, che comporta un mutamento solo formale di un’organizzazione societaria esistente, con la conseguenza che l’originaria procura alle liti rimane valida anche per il periodo successivo all’incorporazione e il difensore già designato è legittimato al compimento di tutti gli atti processuali occorrenti per la difesa della posizione giuridica della società, pur nella sua diversa organizzazione” (cfr. Cass. n. 20621 del 2021).

1.1. Nessun dubbio può sussistere, dunque, circa la ritualità dell’avvenuta costituzione della Intesa Sanpaolo s.p.a., quale incorporante per fusione il Banco di Napoli s.p.a., in forza della medesima procura rilasciata ai difensori di quest’ultima in calce al ricorso introduttivo del giudizio.

2. In estrema sintesi, i formulati motivi denunciano, rispettivamente:

I) “Violazione e falsa applicazione degli artt. 2943 e 2946 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, per avere la corte territoriale attribuito, ad un mero atto stragiudiziale, valore di effetto interruttivo del termine prescrizionale riferito a diritti meramente potestativi e per aver fatto decorrere il termine predetto dalla data di chiusura del conto corrente e non, invece, dalla data in cui è stata annotata ogni singola operazione, pur essendosi al cospetto di rimesse solutorie;

II) “Violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, per aver la medesima corte rimesso in discussione la res judicata e, conseguentemente, per essersi pronunciata, nuovamente, su di un bene della vita, già riconosciuto o negato, sulla base della sentenza n. 476/2007, divenuta cosa giudicata resa dal Tribunale di Reggio Calabria nella precedente controversia, tra il dante causa dell’originario attore e la stessa banca oggi ricorrente, avente ad oggetto i conti nn. *****;

III) “Violazione e falsa applicazione dell’art. 1284 c.c., comma 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, per avere la corte distrettuale, inspiegabilmente, quanto immotivatamente, ritenuto nulla la pattuizione determinativa degli interessi convenzionali, benché intervenuta nel rispetto della forma scritta e con indicazione numerica del tasso.

3. Il primo dei descritti motivi è in parte infondato ed in parte inammissibile.

3.1. E’ infondato nella parte in cui denuncia la violazione dell’art. 2943 c.c., per essere stato ritenuto che un mero atto stragiudiziale sia idoneo ad interrompere la prescrizione con riferimento a diritti meramente potestativi.

3.1.1. Esso, infatti, oblitera completamente che l’azione volta ad ottenere la declaratoria di nullità di un contratto o, come nella specie, di alcune sue clausole, è di mero accertamento, o dichiarativa, in quanto l’unico effetto della sentenza che accolga la corrispondente domanda è quello di accertare la causa di nullità ed il fatto che il contratto, o alcune sue clausole, siano improduttivi di effetti ex tunc, cioè fin dall’origine. In altri termini, tale azione non costituisce una forma di esercizio di un diritto potestativo perché non ha natura costitutiva.

3.1.2. E’ noto, poi, che, la stessa può essere esperita da chiunque vi abbia interesse (art. 1421 del c.c.) – innegabile, essendo, nella specie, per il C., la concreta utilità del provvedimento giudiziale richiesto rispetto alla denunciata lesione di suoi diritti – ed è imprescrittibile (art. 1422 c.c.).

3.1.3. Ne consegue, dunque, che, da un lato, l’indirizzo giurisprudenziale – oggi invocato dalla banca ricorrente a sostegno della sua doglianza – secondo cui, in tema di esercizio di diritti potestativi, l’effetto interruttivo della prescrizione consegue unicamente alla proposizione della relativa domanda giudiziale, risultando inidoneo all’uopo qualsiasi atto stragiudiziale di costituzione in mora (cfr., ex multis, con riguardo a diverse tipologie di azioni costitutive, Cass. n. 1159 del 2018; Cass. n. 20705 del 2017; Cass. n. 6974 del 2017; Cass. n. 8417 del 2016), è richiamato in modo affatto non pertinente; dall’altro, che l’atto stragiudiziale del 12 aprile 2006, pacificamente ricevuto dalla odierna ricorrente, con cui il C. la diffidò a restituirgli quanto dalla percepito per asseriti storni arbitrari sul conto n. 7/98, era assolutamente idoneo ad interrompere il termine prescrizionale decennale proprio dell’azione di ripetizione di indebito (cfr. Cass. n. 24051 del 2019). Restano inapplicabili, infatti, l’art. 2947 c.c. e art. 2948 c.c., n. 4, relativi al credito risarcitorio ed a quello per interessi: il primo, in quanto il credito del cliente non deriva da fatto illecito della banca; il secondo, perché non si tratta del credito per interessi vantati dal cliente, ma di quello alla ripetizione di somme, sia pure per interessi, addebitate senza titolo, e dunque la prescrizione prevista dall’art. 2948 c.c., n. 4, resta estranea alla fattispecie, riguardando gli interessi dovuti, mentre qui si tratta della ripetizione di interessi non dovuti, che è ipotesi di ripetizione d’indebito.

3.2. Resta solo da rimarcare che la parte ricorrente, nella memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c., mostra di convenire (così parzialmente smentendo le argomentazioni del suo primo motivo) con quanto si è fin qui detto circa la natura dichiarativa dell’azione di nullità, introducendo, tuttavia, affatto inammissibilmente, un nuovo tema di indagine: quello, cioè, del regime giuridico della nullità relativa cd. di protezione, a suo dire eventualmente ipotizzabile nella fattispecie de qua.

3.2.1. Così operando, però, la stessa mostra di non tenere in alcun conto che, come ripetutamente chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, la memoria di cui all’art. 380-bis.1 c.p.c., non può contenere nuove censure o temi di indagine, ma solo illustrare quelli già proposti (cfr., ex multis, Cass. n. 17893 del 2020; Cass. n. 24007 del 2017; Cass. n. 26332 del 2016; Cass., SU, n. 11097 del 2006).

3.3. E’ inammissibile, invece, per carenza di specificità (e non per novità della questione, come pure eccepito dai controricorrenti, a dire dei quali la stessa sarebbe stata proposta per la prima volta dalla banca solo in sede di gravame. La corte distrettuale, infatti, si è comunque pronunciata sulla stessa, senza che i primi abbiano proposto, in via incidentale condizionata, specifica doglianza in parte qua), l’ulteriore profilo della doglianza in esame che contesta alla corte di appello la violazione dell’artt. 2946 c.c., aver fatto decorrere il termine predetto dalla data di chiusura del conto corrente e non, invece, dalla data in cui è stata annotata ogni singola operazione, pur essendosi al cospetto, secondo la banca, di rimesse solutorie (e non meramente ripristinatorie, come ritenuto dalla sentenza impugnata).

3.3.1. E’ noto, infatti, che le rimesse, così come i versamenti, possono essere considerate “alla stregua di pagamenti, tali da poter formare oggetto di ripetizione (ove risultino indebiti), in quanto abbiano avuto lo scopo e l’effetto di uno spostamento patrimoniale in favore della banca. Questo accadrà qualora si tratti di versamenti eseguiti su un conto in passivo (o, come in simili situazioni si preferisce dire “scoperto”) cui non accede alcuna apertura di credito a favore del correntista, o quando i versamenti siano destinati a coprire un passivo eccedente i limiti dell’accreditamento” (cfr., per tutte, Cass., SU, n. 24418 del 2010, richiamata, in motivazione, dalla più recente Cass. n. 2660 del 2019).

3.3.2. Alcunché, invece, la doglianza puntualizza circa il se, al momento di ciascuna delle suddette operazioni, vi fosse stato, o meno, uno sconfinamento dal fido pacificamente accordato al C. sul conto n. *****. Essa, pertanto, si rivela assolutamente generica, perché affidata a mere deduzioni di carattere generale, insufficienti, tuttavia, a scalfire il corretto assunto della corte distrettuale secondo cui la prescrizione (decennale) decorre, nell’ipotesi in cui i versamenti abbiano avuto solo funzione ripristinatoria della provvista, non dalla data di annotazione in conto di ogni singola posta di interessi illegittimamente addebitati, ma dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto, in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati; nell’anzidetta ipotesi, infatti, ciascun versamento non configura un pagamento dal quale far decorrere, ove ritenuto indebito, il termine prescrizionale del diritto alla ripetizione, giacché il pagamento che può dar vita ad una pretesa restitutoria è esclusivamente quello che si sia tradotto nell’esecuzione di una prestazione da parte del solvens con conseguente spostamento patrimoniale in favore dell’accipiens (cfr. Cass. n. 24051 del 2019).

4. Il secondo motivo di ricorso è fondato.

4.1. Invero, giova ricordare che, come riferito dallo stesso Cu.Al. nella citazione introduttiva di questo giudizio, egli era l’unico erede di Cu.An., il quale aveva intrattenuto, per molti anni, rapporti di conto corrente con il Banco di Napoli s.p.a., filiale di *****, identificati con i nn. *****8-1023*****, tutti già saldati e chiusi. In particolare, il conto originario era il n. *****, mentre gli altri due conti n. ***** ed ***** erano stati accesi come conti “di servizio” quando il C. aveva chiesto una prima apertura di credito, per Lire 550.000.000, quale anticipo su notule inviate all’ASL ( Cu.An. ed Al. erano titolari di una farmacia sita nel centro storico di *****) ed una seconda apertura di credito, per Lire 150.000.000, il tutto con calcolo di interessi separati sui vari conti, con ristorno di somme ed interessi su tutti i conti e successivi ampliamenti di fido.

4.2. L’odierna doglianza contesta alla corte territoriale di avere rimesso in discussione una res judicata per essersi pronunciata, nuovamente, su di un bene della vita, già riconosciuto o negato, sulla base della sentenza n. 476/2007, pacificamente divenuta definitiva. Quest’ultima, resa dal Tribunale di Reggio Calabria nella precedente controversia, tra il dante causa dell’originario attore e la stessa banca oggi ricorrente, avente ad oggetto i conti nn. *****, previa declaratoria di nullità delle clausole relative all’anatocismo, alle spese ed agli interessi, di quei due conti, condannò il Banco di Napoli s.p.a. medesimo alla restituzione, in favore dell’istante, di Euro 59.301,44, oltre interessi, senza provvedere alla rivisitazione (anche) del conto corrente n. ***** perché lo stesso non era stato indicato nell’atto introduttivo del giudizio.

4.3. Va rimarcato, poi, che la giurisprudenza di legittimità ha chiarito (cfr. nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 6575 del 2018 e Cass. n. 13449 del 2011) che i cd. conti anticipi (tali essendo, sostanzialmente, quelli “di servizio” precedentemente menzionati come pure accesi dal C.) non sono normalmente operativi, ma rappresentano un mera evidenza contabile dei finanziamenti, per aperture di credito o per anticipazioni su crediti, concessi dalla banca al cliente. Su di essi, in sostanza, come concretamente avvenuto nel caso di specie, l’istituto annota in “dare” al correntista l’importo delle anticipazioni, di volta in volta erogate in occasione della presentazione di effetti o della cd. carta commerciale, e glielo riannota in “avere” una volta che abbia provveduto a riscuotere il credito sottostante (in virtù del mandato all’incasso usualmente conferitogli o della cessione di credito in suo favore): attraverso l’annotazione del rientro delle somme anticipate, il cliente può, dunque, tornare ad usufruire di nuove anticipazioni, sino al limite dell’affidamento concessogli.

4.3.1. Alteris verbis, il conto corrente “anticipi” salvo buon fine è un contratto accessorio e funzionale alla concessione e gestione di una apertura di credito da utilizzarsi per lo smobilizzo di crediti commerciali rappresentati, ad esempio, da fatture. Su tale conto, quindi, non può essere assolutamente effettuato qualunque tipo di operazione (come per esempio per i conti correnti ordinari) ma solo ed esclusivamente quelle strettamente legate e connesse all’anticipazione. Tale conto permette di gestire e tenere evidenza degli importi relativi alle singole presentazioni anticipate in modo da sapere in ogni momento quale sia l’utilizzo dell’affidamento concesso. Operativamente, sul conto “anticipi” predetto viene addebitato l’importo di volta in volta anticipato (in modo da ottenere così un pari utilizzo dell’affidamento concesso) per essere quindi successivamente accreditato e messo a disposizione sul conto corrente ordinario del cliente. Sul medesimo conto in esame maturano e vengono contabilizzati, poi, con la periodicità pattuita (nella specie trimestralmente) gli interessi debitori a favore della banca nonché ogni altra spesa relativa alla gestione del rapporto: tali competenze vengono poi addebitate sul conto corrente ordinario del cliente. Per il rapporto di connessione che li lega, il conto in argomento viene contestualmente chiuso con la rinuncia, il recesso o la risoluzione della relativa apertura di credito. La menzionata anticipazione può essere concessa dalla banca, ed utilizzabile dal cliente, sotto forma di un unico affidamento utilizzabile in modo promiscuo o suddiviso, a seconda delle esigenze, fra le diverse tecniche eventualmente contrattualizzate tra le parti.

4.4. Tanto premesso, l’assunto del Banco di Napoli s.p.a. secondo cui “le somme, oggetto della condanna pronunciata con la sentenza appellata, rinvenivano dal riesame del rapporto del c/c rubricato con il suffisso n. ***** in relazione al quale si era formato l’intervenuto ed opposto giudicato portato dalla detta sentenza n. 476/07” (cfr. pag. 20 del ricorso) merita piena condivisione.

4.4.1. Invero, la corte territoriale, dopo aver richiamato, integralmente, i quesiti che il giudice di prime cure aveva sottoposto all’esame del nominato c.t.u. (tra cui il seguente: “7. Dica, (..), se sono transitati interessi dal c/c n. ***** al c/c ordinario (quello n. *****. Ndr), specificando se ciò ha comportato, o meno, maggiori oneri per il correntista, nel senso di aumentare l’esposizione debitoria a titolo di interessi, anche per effetto delle diverse pattuizioni in tema di interessi con riferimento all’uno e all’altro rapporto”) nonché quello, ulteriore, che aveva formato oggetto della disposta integrazione peritale (“letti gli atti di causa e previo esame della documentazione contabile in atti riguardante il c/c n. *****, il consulente, con riferimento al quesito n. 7 (…), quantifichi i maggiori oneri derivanti al correntista dal transito degli interessi dal c/c ***** al c/c ordinario, nel senso di aumentata esposizione debitoria a titolo di interessi”), ha affermato che “La rivisitazione degli altri conti, per come precisato dal CTU nelle sue relazioni, si è resa necessaria per accertare i maggiori oneri derivanti dallo storno di somme dal conto n. ***** – unico rapporto oggetto di questo giudizio – agli altri e particolarmente sul conto principale (sul quale, in definitiva, andavano a gravare le operazioni finali) n. *****….” (cfr. pag. 7 della sentenza impugnata).

4.4.2. E’ assolutamente evidente, dunque, che la stessa corte di merito riconosce che le pretese restitutorie reclamate dagli eredi C. ed oggetto dell’intervenuta condanna della Banca ivi appellante rinvenivano causa e ragione dal ricalcolo del c/c n. ***** e, cioè, dello stesso conto la rivisitazione del cui saldo costituiva, ormai, res judicata, perché oggetto del precedente giudizio, definito con la già menzionata sentenza n. 476/07.

4.4.3. Una siffatta conclusione, del resto, trova piena conferma proprio negli ampi stralci della relazione c.t.u. – oggi specificamente riprodotti nel ricorso del Banco di Napoli s.p.a. e anche puntualmente localizzati da quest’ultima – invocata dalla medesima corte a fondamento della propria decisione.

4.4.3.1. Ivi si legge, che lo stesso c.t.u. riferisce: i) di aver “dovuto rielaborare il conto *****” (vale a dire quello già oggetto del definitivo accertamento giurisdizionale contenuto nella precedente sentenza n. 476/07, con la quale era stato definitivamente, un saldo attivo, su detto conto, pari ad Euro 59.301,44); ii) di aver “dovuto ricomputare gli interessi maturati sul conto ordinario” (gli stessi interessi, cioè, annotati su c/c n. *****, ormai definitivamente accertati e quantificati con la citata sentenza n. 476/07); iii) le concrete modalità operative utilizzate, da esse desumendosi chiaramente che egli ha ricalcolato l’intero conto ordinario n. *****, riclassificando le singole operazioni a credito ed a debito ivi annotate, poi riepilogando le competenze calcolate dalla banca in apposito prospetto (quindi ha espunto da quel conto e ricalcolato tutte le competenze periodicamente addebitate in tale conto ordinario), depurando, infine, “lo scalare delle sole competenze maturate relative a conto ordinario” (così pervenendo ad un nuovo e diverso saldo del detto conto ordinario, depurato da tutte le competenze come sopra ricalcolate).

4.4.3.2. E’ innegabile, quindi, come, al cospetto di tali risultanze, si riveli fallace e frutto di errore il presupposto assunto dalla corte del merito laddove ha ritenuto ed affermato che il conto n. ***** è stato l'”unico rapporto oggetto di questo giudizio” e che, pertanto, il pur opposto giudicato non aveva alcuna interferenza e/o incidenza con il nuovo e successivo giudizio. Invero, l’indagine peritale, come si è visto, ha riguardato (né poteva essere altrimenti, per la verità, tenuto conto del concreto meccanismo operativo dei conti anticipi come prima descritto), non il detto conto anticipi ma il conto ordinario (n. *****), il cui saldo, tuttavia, era stato già definitivamente quantificato nei termini di cui all’intervenuta e precedente condanna portata dalla menzionata sentenza n. 476/07, pacificamente divenuta cosa giudicata.

4.4.3.3. L’errore in cui è incorsa la corte distrettuale nel disattendere la ivi ribadita (dall’appellante principale) eccezione di giudicato emerge ancor più ove si consideri – come agevolmente desumibile proprio dalla sentenza oggi impugnata – che il tribunale, preso atto (dalla prima relazione peritale) che il predetto conto anticipi n. ***** aveva recepito, esclusivamente, annotazioni contabili delle poste creditorie e debitorie ivi transitate e, pertanto, era rimasto indenne dagli effetti di ogni e qualsiasi capitalizzazione, conferì ulteriore incarico al già nominato consulente di ufficio perché verificasse gli effetti anatocistici subiti (non dal conto dedotto in giudizio e rubricato con il n. *****, ma) dal c/c di addebito e cioè dal conto corrente n. *****, benché il saldo di quest’ultimo fosse stato definitivamente accertato dalla precedente sentenza n. 476/07, da tempo divenuta cosa giudicata, come tale idonea a coprire sia il dedotto che il deducibile, così precludendo che la res judicata potesse essere messa in discussione nuovamente nel giudizio di cui oggi si discute.

4.4.4. Per mera completezza, osserva il Collegio che la fin qui descritta conclusione non cambierebbe anche a voler ritenere che il giudice di merito abbia inteso disporre il solo conteggio degli interessi provenienti dal conto anticipi esclusivamente in questo andando ad interferire con il ricalcalo già effettuato nella precedente causa conclusa dalla sentenza n. 476/2006 del Tribunale di Reggio Calabria, pacificamente divenuta cosa giudicata.

4.4.5. Non è possibile, infatti, ormai, – posto che, come è noto, il giudicato copre il dedotto ed il deducibile – rimettere in discussione il tema della eventuale illegittimità/illiceità, o non, degli interessi addebitati sul conto anticipi de quo, perché intimamente collegata ed implicata dagli accertamenti relativi al già avvenuto ricalcolo del (saldo del) conto corrente ordinario (atteso il già descritto meccanismo di funzionamento e collegamento di quest’ultimo con i conti di servizio) e, quindi, alla già avvenuta considerazione, nel complessivo scalare degli importi su di esso transitati ed indipendentemente dalla loro effettiva causale, di quanto concretamente riconducibile agli interessi del menzionato conto anticipi.

5. Il terzo motivo, infine, può considerarsi assorbito.

6. In definitiva, pertanto, il ricorso deve essere accolto limitatamente al suo secondo motivo, rigettandosene il primo e dichiarandosene assorbito il terzo. Da ciò consegue la cassazione della sentenza impugnata ed il rinvio della causa alla Corte di appello di Reggio Calabria, in diversa composizione, per il corrispondente nuovo esame e per la regolamentazione delle spese di questo giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, rigettandone il primo e dichiarandone assorbito il terzo. Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di appello di Reggio Calabria, in diversa composizione, per il corrispondente nuovo esame e per la regolamentazione delle spese di questo giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 4 febbraio 2022.

Depositato in Cancelleria il 10 febbraio 2022

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