LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRIA Lucia – Presidente –
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –
Dott. ESPOSITO Lucia – rel. Consigliere –
Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –
Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 4220-2020 proposto da:
M.A., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato RICCARDO RUBBOLI;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO – Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale di BOLOGNA SEZIONE FORLI’ – CESENA, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA alla VIA DEI PORTOGHESI 12;
– resistente con mandato –
avverso la sentenza n. 2990/2019 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 23/10/2019 R.G.N. 1814/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29/09/2021 dal Consigliere Dott. ESPOSITO LUCIA.
RILEVATO
che:
1. La Corte d’appello di Bologna, con sentenza n. 4220 del 2019, ha respinto l’appello proposto da M.A., cittadino del Pakistan, avverso l’ordinanza del Tribunale che, confermando il provvedimento emesso dalla competente Commissione Territoriale, aveva negato al richiedente il riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria.
2. Il richiedente aveva allegato di essere fuggito dal Pakistan per il timore di subire violenza a causa del legame di lavoro intrattenuto con una persona di fede cristiana, essendo la sua famiglia di fede musulmana, avendo ciò provocato un assalto da parte dei concittadini al suo luogo di lavoro ed alla casa di famiglia, a seguito del quale era morto il padre a causa di un incendio appiccato dagli assalitori. Aveva precisato che nel suo villaggio i cristiani sono odiati e vengono uccisi e, pur essendo musulmano, egli era creduto cristiano dalla sua gente.
3. La Corte, dopo aver rilevato che lo straniero non aveva depositato alcun documento rilasciato dal proprio paese di origine riguardante l’identità e la cittadinanza, né la storia propria e dei propri familiari, ha osservato che aveva reso dichiarazioni poco circostanziate, prive di elementi di dettaglio e di adeguati riferimenti spazio temporali e che non era plausibile un assalto di tale ferocia, dato che il richiedente e la sua famiglia erano di religione musulmana ed egli stesso aveva dichiarato che il proprio datore di lavoro viveva attualmente in Pakistan senza problemi, dopo essersi trasferito a Karaki.
4. Sulla base della rilevata non credibilità erano rigettate, quindi, tutte le richieste di protezione.
5. Avverso la sentenza il richiedente la protezione ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
6. Il Ministero dell’Interno si è costituito al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione.
CONSIDERATO
che:
1. Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione di legge (art. 360 c.p.c., n. 3) in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 lett. c), per non avere la Corte d’appello riconosciuto la sussistenza di una minaccia grave alla vita del cittadino straniero derivante da una situazione di violenza indiscriminata nella zona di provenienza (Punjab), essendo sempre doverosa al fine di escludere la protezione sussidiaria la valutazione della condizione oggettiva del paese di origine.
2. Con il secondo motivo deduce violazione di legge art. 360 c.p.c., n. 3) in relazione all’art. 5 del D.Lgs. n. 251 del 2007 per non aver con Corte d’appello riconosciuto la sussistenza di una minaccia grave alla vita del cittadino proveniente anche da soggetti non statali, così come descritta dal richiedente nelle sue dichiarazioni circostanziate al riguardo, rilevando come in Pakistan vi siano leggi sulla blasfemia che colpiscono anche i musulmani che in qualche modo entrano in contatto con le minoranze religiose, sicché una volta che una persona viene accusata entra in un sistema che non le offre protezione e non la tutela da coloro che intendono usarle violenza.
3. Con il terzo motivo deduce violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, perché il giudice ha negato la protezione umanitaria pur versando il ricorrente in una condizione oggettiva di vulnerabilità e tenuto conto della sua condizione lavorativa e sociale in Italia.
4. I motivi possono essere trattati unitariamente e sono fondati.
5. Va rilevato preliminarmente, quanto all’assolvimento dell’onere della prova, che questa Corte ha già affermato (Cass. n. 28974 del 08/11/2019) che in tema di protezione internazionale, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, le lacune probatorie del racconto del richiedente asilo non comportano necessariamente inottemperanza al regime dell’onere della prova, potendo essere superate dalla valutazione che il giudice del merito è tenuto a compiere delle circostanze indicate alle lettere da a) ad e) della citata norma (Cass. 10 luglio 2014, n. 15782, e in precedenza Cass. 18 febbraio 2011, n. 4138, secondo cui ove il richiedente non abbia fornito prova di alcuni elementi rilevanti ai fini della decisione, le allegazioni dei fatti non suffragati da prova devono essere ritenuti comunque veritieri se ricorrano le richiamate condizioni).
6. Nel caso in esame la Corte è pervenuta al giudizio di non credibilità del richiedente in ragione della ritenuta non plausibilità della vicenda persecutoria narrata, perché motivata da ragioni di odio religioso nei confronti dei cristiani, pur essendo il richiedente e la sua famiglia di religione musulmana.
7. Orbene, costituisce principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità quello in forza del quale quando il richiedente alleghi il timore di essere soggetto nel suo paese di origine ad una persecuzione a sfondo religioso o comunque ad un trattamento inumano o degradante fondato su motivazioni a sfondo religioso, il giudice deve effettuare una valutazione sulla situazione interna del Paese di origine del richiedente, indagando espressamente l’esistenza di fenomeni di tensione a contenuto religioso.
8. Le prescrizioni richiamate riguardano, evidentemente, sia il caso che la persecuzione religiosa sia determinata da ragioni reali ed effettive, sia il caso che tali ragioni siano solo apparenti, ma ugualmente idonee a generare pericolo, secondo le vicende narrate.
9. Ne’ in tema di protezione sussidiaria, e avuto riguardo alla libertà religiosa dello straniero, il diritto a tale forma di protezione può essere escluso dalla circostanza che il danno grave possa essere provocato da soggetti privati, qualora nel Paese d’origine non vi sia un’autorità statale in grado di fornire adeguata ed effettiva tutela, con conseguente dovere del giudice di effettuare una verifica officiosa sull’attuale situazione di quel Paese e, quindi, sull’eventuale inutilità di una richiesta di protezione alle autorità locali (n. 23604 del 09/10/2017 n. 26823 del 21/10/2019).
10. Una indagine di tal genere nella specie è mancata e anche la protezione umanitaria e stata esclusa senza alcuna specifica valutazione, sicché la sentenza va cassata, con rinvio alla Corte d’appello di Bologna, in diversa composizione, che deciderà applicando i principi di diritto enunciati provvederà anche alla liquidazione delle spese di giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 21 settembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 10 gennaio 2022