LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRIA Lucia – Presidente –
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –
Dott. ESPOSITO Lucia – rel. Consigliere –
Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –
Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 4255-2020 proposto da:
O.P.O., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato MARIO MARCUZ;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, – Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale di BOLOGNA, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA alla VIA DEI PORTOGHESI 12;
– resistente con mandato –
avverso la sentenza n. 3212/2019 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 13/11/2019 R.G.N. 1012/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29/09/2021 dal Consigliere Dott. LUCIA ESPOSITO.
FATTI DI CAUSA
1.La Corte d’appello di Bologna, con sentenza n. cronol. 3212/2019, depositata il 13/11/2019, ha confermato il provvedimento di primo grado che aveva respinto la richiesta di O.P.O., proveniente dalla Nigeria, di riconoscimento, a seguito del diniego della competente Commissione territoriale, dello status di rifugiata e della protezione sussidiaria o umanitaria. In particolare, i giudici di merito hanno ritenuto non credibile e priva di elementi di riscontro la vicenda narrata dalla richiedente, la quale aveva raccontato di essere fuggita dal suo paese perché rimasta sola in seguito all’avvelenamento del padre ad opera dello zio, il quale si era appropriato di tutti i beni di famiglia, all’assassinio del fratello e alla sparizione della madre; di aver conosciuto in un’altra città una donna che, dichiarando di volerla aiutare, l’aveva condotta in Libia in una casa di prostituzione, dove avrebbe dovuto ripagare, prostituendosi, il prezzo di Euro 5000 al quale era stata venduta, casa dalla quale era fuggita per poi finire in prigione, riuscendo, infine, a scappare e giungere in Italia. La richiedente ha riferito di aver paura di ritornare nel paese di origine perché la donna che l’aveva fatta arrivare in Libia avrebbe potuto reagire in qualsiasi modo contro di lei, non avendo ella ripagato il debito. Ha riferito, inoltre, di essere ricercata da tale C., alla quale doveva 15.000 quale prezzo per il viaggio in Italia.
3. La Corte, quindi, sulla scorta della ritenuta non credibilità, ha disatteso tutte le richieste di protezione.
4. Avverso la suddetta pronuncia la richiedente ha proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno (che dichiarava di costituirsi al solo fine di partecipare all’udienza pubblica di discussione).
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo la ricorrente deduce violazione dell’art. 360, comma 1, n. 4 e dell’art. 112 c.p.c. – nullità della sentenza per mancata corrispondenza tra chiesto e pronunciato, rilevando che il giudice d’appello non aveva preso in considerazione le richieste di gravame avanzate, limitandosi ad argomentare esclusivamente in riferimento alla concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari e tralasciando del tutto le altre due forme di protezione internazionale richieste.
2. Con il secondo motivo deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 e art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, nullità della sentenza per apparenza della motivazione, argomentata per relationem.
3. Con il terzo motivo deduce violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 in relazione all’onere probatorio attenuato previsto in materia di riconoscimento della protezione internazionale.
4. Con il quarto motivo deduce violazione art. 360 c.p.c., n. 5 e D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 4 e del principio di verosimiglianza, oltre a omessa e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, risultando del tutto sintomatico della credibilità del racconto della richiedente la statuizione della Commissione territoriale, ove lo stesso organo amministrativo riconosce che “le circostanze riferite dalla richiedente con riguardo ad adescamento, promessa di un lavoro all’estero, debito contratto, modalità di viaggio, inganno e richiesta di esercizio della prostituzione, unitamente al profilo personale della richiedente, giovanissima ragazza del sud Nigeria, sono indicatori del fenomeno della tratta degli esseri umani”.
5. Con il quinto motivo deduce che non sono state considerate la condizione di vulnerabilità della richiedente, la situazione del paese di origine e l’integrazione della stessa in Italia, anche dal punto di vista lavorativo.
6. Il primo motivo di ricorso va disatteso poiché la lettura della sentenza (specificamente da pg. 5 in poi) consente di individuare le risposte alle censure poste con l’appello.
7. Allo stesso modo si rivela infondato il secondo motivo, poiché non si indica sotto quale profilo la motivazione sarebbe carente nel rinvio per relationem ed evincendosi nell’iter motivazionale della sentenza il nucleo minimo essenziale, secondo le indicazioni delle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. 8053/2014), idoneo a consentire la comprensione del ragionamento ad essa sotteso.
8. Gli altri motivi di ricorso devono essere accolti perché la Corte di merito, nella valutazione in ordine alla credibilità della richiedente, non ha tenuto conto del principio secondo cui “In tema di protezione internazionale, nel caso in cui la domanda di asilo sia presentata da una donna e, nel giudizio, emerga un quadro indiziario, ancorché incompleto, che faccia temere che quest’ultima sia stata vittima, non dichiarata, di tratta, il giudice non può arrestarsi di fronte al difetto di allegazione (o anche all’esistenza di allegazione contraria), ma deve avvalersi degli strumenti di cui dispone per conoscerne la vera storia, ricorrendo, in particolare, allo strumento dell’audizione, paradigmaticamente indispensabile, al fine di consentire alla intravista realtà, occultata dalla stessa richiedente, di emergere in sede giurisdizionale. (Cass. n. 24573 del 04/11/2020).
9. Le dichiarazioni della richiedente, pertanto, devono essere riconsiderate alla luce del principio sopra enunciato, in forza del quale non può essere attribuita esclusiva rilevanza in termini di decisività alle evidenziate contraddizioni ed imprecisioni di contorno del racconto, nell’intento di cogliere il nucleo essenziale della vicenda narrata nel suo reale contenuto e nelle sue implicazioni.
10. Il deficit valutativo evidenziato si riverbera anche sulla valutazione delle specifiche condizioni per l’eventuale concessione della protezione sussidiaria e umanitaria.
11. Conseguentemente la sentenza deve essere cassata, con rinvio alla Corte d’appello di Bologna, in diversa composizione, che effettuerà l’indagine secondo i parametri indicati, provvedendo anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Bologna in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 29 settembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 10 gennaio 2022