Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.447 del 10/01/2022

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – rel. Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7025-2020 proposto da:

L.S., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato FRANCESCO DI PIETRO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 728/2019 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA, depositata il 21/11/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21/11/2019 dal Consigliere Dott.ssa LEONE MARGHERITA MARIA.

RILEVATO

CHE:

1. La corte di appello di Perugia con sentenza n. 728/2019, respingeva il ricorso proposto da L.S., cittadino del Senegal avverso il provvedimento con il quale il tribunale di Perugia aveva rigettato la domanda di riconoscimento di status di rifugiato, protezione sussidiaria o umanitaria di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998 proposta dall’interessato, fuggito dal suo paese per ragioni politiche. Il richiedente aveva dichiarato di aver rivestito un ruolo politico importante nel partito (PDS) sostenitore del Presidente del Senegal sino al 2012.

Successivamente alla elezione del nuovo Presidente era stato aggredito da uomini mascherati che presumeva appartenenti al partito del nuovo presidente. Per timore era partito e temeva di essere arrestato in caso di rientro.

La corte aveva ritenuto che:

2. Non era credibile il racconto in quanto non provata l’appartenenza al partito politico perdente e neppure la rapportabilità dell’aggressione subita agli avversari politici. Rilevava inoltre che non fosse di rilievo la generale situazione di violenza del paese in quanto nel Senegal e in particolare a DAKAR, la situazione è pacificata.

La Corte escludeva altresì il possibile riconoscimento della protezione umanitaria essendo stati allegati solo elementi di “debole integrazione” nella società italiana e riteneva conclusivamente che la carenza di credibilità del racconto escludesse i presupposti per ogni tipo di protezione.

3. Il ricorrente proponeva ricorso avverso detta decisione.

4. Il Ministero dell’Interno non si costituiva e depositava memoria al solo fine di eventuale partecipazione all’udienza di discussione.

CONSIDERATO

CHE:

5. il ricorso è articolato in un solo motivo;

5.1. Con il motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 in relazione art. 10 Cost., comma 3.

Il ricorrente lamenta la errata valutazione sulla richiesta protezione umanitaria. In particolare rileva l’assenza di valutazione della situazione di vulnerabilità del soggetto con riguardo alla situazione del 2012 in Senegal, anno in cui veniva picchiato ed in cui erano torturate persone che partecipavano a manifestazioni pacifiche (si veda Rapporto Amnesty anche sull’attuale situazione).

Contestava anche la assenza di considerazione circa la condizione di vulnerabilità in riferimento alle minime condizioni che assicurino una vita tranquilla nel paese di provenienza. Il richiedente soggiungeva infine di essersi integrato in Italia imparando la lingua, svolgendo lavori e attività di volontariato anche pubblicando un libro a sua scrittura (pg 6 ricorso).

La censura risulta fondata.

6. Questa Corte (Cass.n. 28406/2020) ha chiarito che il giudizio di credibilità deve essere “sempre frutto di una valutazione complessiva di tutti gli elementi e che non possa essere motivata soltanto con riferimento ad elementi isolati e secondari o addirittura insussistenti, quando invece venga trascurato un profilo decisivo e centrale del racconto (Cass. 8 giugno 2020, n. 10908); il giudice, prima di pronunciare il proprio giudizio sulla sussistenza dei presupposti per la concessione della protezione, (deve) osservare l’obbligo di compiere le valutazioni di coerenza e plausibilità delle dichiarazioni del richiedente, non già in base alla propria opinione, ma secondo la procedimentalizzazione legale della decisione sulla base dei criteri indicati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 (Cass. 11 marzo 2020, n. 6897; Cass. 6 luglio 2020, n. 13944; Cass. 9 luglio 2020, n. 14674)”.

Ed ancora (Cass. 28406/2020) “La valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 (soltanto il mancato rispetto dei parametri procedimentali di tale norma integrando un errore di diritto denunciabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3: Cass. 30 giugno 2020, n. 13257) e tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ovvero mancanza assoluta della motivazione, motivazione apparente o perplessa od obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Cass. 5 febbraio 2019, n. 3340);

7. Se, come evidenziato, la verifica di credibilità è elemento di primo rilievo nella valutazione della domanda del richiedente, essa deve essere svolta anche ponendo eventualmente in atto il dovere di cooperazione istruttoria cui il giudice è tenuto al fine di acquisire tutte le informazioni utili a chiarire l’effettiva condizione del Paese di origine del richiedente Cass. n. 28349/2020), oltre che le reali ragioni della richiesta.

8. A tali principi e tali oneri la corte territoriale non ha dato sufficiente ingresso nella decisione assunta poiché non ha approfondito l’indagine sulla concreta situazione lasciata dal richiedente nel suo paese, ed in particolare la condizione di carenza di tutela rispetto a ritorsioni di tipo politico con caratteristiche di violenza fisica. Deve a riguardo richiamarsi il principio secondo cui ” nei giudizi di protezione internazionale, a fronte del dovere del richiedente di allegare, produrre o dedurre tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la domanda, la valutazione delle condizioni socio-politiche del Paese d’origine del richiedente deve avvenire, mediante integrazione istruttoria officiosa, tramite l’apprezzamento di tutte le informazioni, generali e specifiche di cui si dispone pertinenti al caso, aggiornate al momento dell’adozione della decisione, sicché il giudice del merito non può limitarsi a valutazioni solo generiche ovvero omettere di individuare le specifiche fonti informative da cui vengono tratte le conclusioni assunte, potendo incorrere in tale ipotesi, la pronuncia, ove impugnata, nel vizio di motivazione apparente (Cass.n. 13897/2019).

9. Il doveroso esame delle fonti così indicate non è presente nella decisione della corte di merito così come non è presente uno specifico accertamento sulla condizione di attuale integrazione nel nostro paese.

10. Il ricorrente ha allegato di aver imparato la lingua, di aver svolto lavori e attività di volontariato, e di aver anche scritto e pubblicato un libro [NDR: testo originale non comprensibile].

Tali elementi di fatto non sono stati valutati dal giudice d’appello alla luce dei principi secondo cui fini del riconoscimento della protezione umanitaria, occorre operare una valutazione comparativa tra la situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine e la situazione d’integrazione raggiunta in Italia, attribuendo alla condizione del richiedente nel paese di provenienza un peso tanto minore quanto maggiore risulti il grado di integrazione che il richiedente dimostri di aver raggiunto nella società italiana, fermo restando che situazioni di deprivazione dei diritti umani di particolare gravità nel paese originario possono fondare il diritto alla protezione umanitaria anche in assenza di un apprezzabile livello di integrazione in Italia; qualora poi si accerti che tale livello è stato raggiunto e che il ritorno nel paese d’origine renda probabile un significativo scadimento delle condizioni di vita privata e/o familiare tali da recare un “vulnus” al diritto riconosciuto dall’art. 8 della Convenzione EDU, sussiste un serio motivo di carattere umanitario, ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, per riconoscere il permesso di soggiorno” (Cass.SU n. 24413/2021).

Il principio impone una attenta disamina delle condizioni di vita del richiedente sia nel nostro paese che in quello di origine e le allegazioni dallo stesso fornite, come sopra evidenziate, devono essere “lette” in ragione del vaglio richiesto.

Il ricorso deve essere accolto, cassata la sentenza e rimessa la causa alla corte di appello di Perugia, diversa composizione, per la decisione alla luce dei principi posti, oltre che sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso; cassa la sentenza e rinvia la causa alla Corte di appello di Perugia in diversa composizione, anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il all’adunanza, il 20 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 10 gennaio 2022

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472