LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRIA Lucia – Presidente –
Dott. LEONE Margherita Maria – rel. Consigliere –
Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –
Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –
Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 7030-2020 proposto da:
G.R., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato ROSA VIGNALI;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO – COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI GORIZIA in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12;
– resistente con mandato –
avverso la sentenza n. 589/2019 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE, depositata il 03/09/2019 R.G.N. 162/2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 20/10/2021 dal Consigliere Dott. MARGHERITA MARIA LEONE.
RILEVATO
che:
1. La corte di appello di Trieste con sentenza n. 598/2019, respingeva il ricorso proposto da G.R. cittadino del Pakistan, avverso il provvedimento con il quale il tribunale aveva rigettato la domanda di riconoscimento di status di rifug1iato, protezione sussidiaria o umanitaria di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998 proposta dall’interessato. Quest’ultimo aveva dichiarato di essere fuggito dal suo paese perché aveva subito una aggressione sparatoria per strada) allorché, svolgendo la propria attività di agente immobiliare, aveva affittato una casa a persone ritenute appartenenti a organizzazioni guerrigliere (talebani). Aveva denunciato alla polizia l’aggressione ricevendo la risposta di impossibilità di protezione.
La Corte territoriale aveva ritenuto che:
2. Il racconto non era credibile in quanto inverosimile che il ricorrente si fosse salvato dalla sparatoria gettandosi a terra. Aveva anche valutato che nessun danno grave era ipotizzabile in caso di rientro in quanto il Punjab, trattandosi di zona che, pur a forte radicalizzazione religiosa, è altresì la provincia più industrializzata e meno colpita da violenza.
Con riguardo alla protezione umanitaria il giudice d’appello riteneva non sufficiente l’allegazione del contratto di lavoro e delle buste paga.
3. Il ricorrente proponeva ricorso avverso detta decisione.
4. Il Ministero dell’Interno non si costituiva e depositava memoria al solo fine di eventuale partecipazione all’udienza di discussione.
CONSIDERATO
che:
5. il ricorso è articolato in tre motivi;
5.1. Con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, e all’art. 132 c.p.c., carenza motivazionale e motivazione apparente.
5.2. La seconda censura ha ad oggetto la violazione/falsa applicazione dell’art. 3, anche in relazione al D.Lgs n. 251 del 2007, art. 14: mancato utilizzo dei poteri istruttori per accertare la situazione del Pakistan e in particolare del gruppo TTP per verificare la verosimiglianza del racconto.
Entrambe le censure possono essere trattate congiuntamente poiché attinenti alle ragioni della decisione assunta dal giudice d’appello asseritamente non sufficienti a supportare la valutazione. In particolare il ricorrente si duole del giudizio di non credibilità del suo racconto espresso senza riscontro concreto con le fonti attestative della situazione del suo paese.
Questa Corte ha avuto modo di chiarire che “Ai fini della valutazione dei presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale, il giudizio sulla valutazione di credibilità del racconto del richiedente che sia ben circostanziato ma inverosimile, può essere espresso solo all’esito dell’acquisizione di pertinenti informazioni sul suo paese di origine e delle sue condizioni, personali, a differenza di quanto accade nell’ipotesi di racconto intrinsecamente inattendibile alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva, in cui essendo il racconto affetto da estrema genericità o da importanti contraddizioni interne, la ricerca delle Coi è inutile, perché manca alla base una storia individuale rispetto alla quale valutare la coerenza esterna, la plausibilità ed il livello di rischio” (Cass. n. 6738 del 2021) Il principio impone al giudice di confrontare un racconto dettagliato e non artefatto soggettivamente, ma comunque poco verosimile, con le effettive condizioni riscontrate nel paese di origine da fonti a ciò qualificate. Nel caso in esame detto esame comparativo non è stato svolto poiché non sono state acquisite ed utilizzate informazioni sul paese, essendosi, il giudice d’appello, limitato a considerare che il Punjab, “pur essendo una zona a forte rischio di radicalizzazione religiosa, è la provincia pakistana più industrializzata e meno colpita da violenza”. Giudizio, quello riportato, privo di riscontro ed indicazione delle fonti accreditate. motivi sono pertanto fondati.
5.3. Con il terzo motivo è denunciata la violazione e falsa applicazione (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma l, n. 3), del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, in Relazione al D.Lgs n. 286 del 1998, art. 5, comma 6. Il ricorrente si duole della errata valutazione sulla richiesta protezione umanitaria, in particolare rilevando che nessun esame è stato svolto sulla situazione di vulnerabilità del soggetto con riguardo alla situazione attuale ed alla sua integrazione nel nostro paese.
Con riguardo al riconoscimento della protezione umanitaria questa Corte ha recentemente statuito che “…ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, occorre operare una valutazione comparativa tra la situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine e la situazione d’integrazione raggiunta in Italia, attribuendo alla condizione del richiedente nel paese di provenienza un peso tanto minore quanto maggiore risulti il grado di integrazione che il richiedente dimostri di aver raggiunto nella società italiana, fermo restando che situazioni di deprivazione dei diritti umani di particolare gravità nel paese originario possono fondare il diritto alla protezione umanitaria anche in assenza di un apprezzabile livello di integrazione in Italia; qualora poi si accerti che tale livello è stato raggiunto e che il ritorno nel paese d’origine renda probabile un significativo scadimento delle condizioni di vita privata e/o familiare tali da recare un “vulnus” al diritto riconosciuto dalla Convenzione EDU, art. 8, sussiste un serio motivo di carattere umanitario, ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, per riconoscere il permesso di soggiorno” (Cass. SU n. 24413 del 2021).
Il principio enunciato richiede, come visto, una valutazione attenta, da comparare, sulle condizioni del paese di origine. Tale motivo, pertanto, collegato a quanto sopra rilevato sui primi due motivi di censura in ordine alla acquisizione delle COI, sarà oggetto di nuovo esame del giudice del merito all’esito di tali incombenze.
Il ricorso deve essere accolto, cassata la sentenza e rinviata la causa alla corte di appello di Trieste per la decisione alla luce dei principi posti, oltre che sulle spese del giudizio di legittimità.
PQM
Accoglie il ricorso; cassa la sentenza e rinvia la causa alla Corte di appello di Trieste in diversa composizione, anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 20 ottobre 2021.
Depositato in Cancelleria il 10 gennaio 2022