Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.45 del 04/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 17998/2017 proposto da:

D.D.R., rappresentato e difeso dall’Avv. Salvatore Asero Milazzo, giusta procura a margine del ricorso per cassazione;

– ricorrente –

contro

M.M.A.;

– intimata –

avverso la sentenza della Corte di appello di ***** n. 312/2017, depositata il 21 febbraio 2017, non notificata;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 07/07/2021 dal consigliere Dott. Lunella Caradonna.

RILEVATO

CHE:

1. Con sentenza del 7 luglio 2021, la Corte di appello di ***** ha rigettato l’appello proposto da D.D.R. avverso la sentenza del Tribunale di ***** del *****, che aveva pronunciato la cessazione degli effetti civili del matrimonio, contratto il *****, con M.M.A., e disposto la corresponsione in favore di quest’ultima di un assegno divorzile di Euro 150,00 mensili.

2. I giudici di secondo grado, dopo avere rilevato una rilevantissima sperequazione patrimoniale e reddituale esistente tra i coniugi, che risultavano entrambi privi di beni immobili, e che il matrimonio aveva avuto una lunga durata, circostanza questa che fondava la ragionevole aspettativa di un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio in capo alla moglie, confermavano la statuizione dell’assegno divorzile in favore della moglie, anche per quanto riguarda la quantificazione dello stesso.

3. D.D.R. ricorre in cassazione con atto affidato a due motivi.

4. M.M.A. non ha svolto difese.

5. Il ricorrente ha depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione, l’erronea interpretazione e la falsa applicazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, come modificato dalla L. n. 741 del 1987, art. 10 per avere la Corte d’appello riconosciuto l’assegno divorzile in favore della resistente basandosi sul parametro del “tenore di vita” che era stato superato dalla giurisprudenza della Suprema Corte, perché ritenuto non più attuale e non più coincidente con la natura stessa del divorzio.

2. Con il secondo motivo il ricorrente chiede l’annullamento della statuizione di condanna alle spese e della statuizione sul raddoppio del contributo unificato in conseguenza della cassazione della sentenza impugnata.

2.1 Le esposte doglianze, da esaminarsi congiuntamente in quanto strettamente correlate, sono inammissibili.

2.2 Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, operando una riconsiderazione dell’intera materia, hanno affermato che all’assegno divorzile in favore dell’ex coniuge deve attribuirsi, oltre alla natura assistenziale, anche natura perequativo-compensativa, che discende direttamente dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà, e conduce al riconoscimento di un contributo volto a consentire al coniuge richiedente non il conseguimento dell’autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, bensì il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate (Cass., Sez. U., 11 luglio 2018, n. 18287).

Questa Corte ha, altresì, affermato che, a seguito della pronuncia delle Sezioni Unite, il parametro della conservazione del tenore di vita non ha più cittadinanza nel nostro sistema; l’onere di provare l’esistenza delle condizioni legittimanti l’attribuzione e la quantificazione dell’assegno grava sul coniuge richiedente l’assegno; la detta funzione assistenziale può anche concorrere con la funzione compensativa-perequativa o, a determinate condizioni, essere assorbita da quest’ultima ed entrambe sono espressione della solidarietà post-coniugale (Cass., 9 agosto 2019, n. 21234).

2.3 Tanto premesso, le censure sono inammissibili perché trascurano di censurare il secondo iter argomentativo della Corte del merito, che con specifico riguardo alle condizioni economiche del coniuge destinatario della domanda, ha precisato sostanzialmente che sussisteva una rilevantissima sperequazione patrimoniale e reddituale tra i coniugi, atteso che la moglie lavorava come operaia part time per 12 ore settimanali e guadagnava circa Euro 5.495,00 annue, mentre il marito era lavoratore dipendente con reddito pari ad Euro 15.768,00 annue, di gran lunga superiore al reddito della moglie (cfr. pagg. 4 e 5 della sentenza impugnata).

I giudici di secondo grado, inoltre, hanno precisato, pure in questo caso con una ratio decidendi che non è stata minimamente censurata dal ricorrente, che l’assegno divorzile, determinato in Euro 150,00 mensili, rappresentava una misura minima e meramente integrativa, proprio in considerazione del fatto che il ricorrente si era costituito un nuovo nucleo familiare, con due figlie, e che esistevano due passività gravanti sul suo reddito.

2.4 E’ utile ricordare che questa Corte ha statuito che nel caso in cui venga impugnata con ricorso per cassazione una decisione che si fondi su più ragioni, tutte autonomamente idonee a sorreggerla, è necessario, per giungere alla cassazione della pronuncia, non solo che ciascuna di esse abbia formato oggetto di specifica censura, ma anche che il ricorso abbia esito positivo nella sua interezza con l’accoglimento di tutte le censure, affinché si realizzi lo scopo proprio di tale mezzo di impugnazione, il quale deve mirare alla cassazione del provvedimento, per tutte le ragioni che autonomamente lo sorreggano (Cass., 12 ottobre 2007, n. 21431).

Ne consegue che è sufficiente che anche una sola delle dette ragioni non abbia formato oggetto di censura, ovvero, che pur essendo stata impugnata, sia stata rigettata, perché il ricorso debba essere respinto nella sua interezza, divenendo inammissibili, per difetto di interesse, le censure avverso le altre ragioni poste a base del provvedimento impugnato” (Cass., Sez. U., 8 agosto 2005, n. 16602).

3. Il ricorso va, conseguentemente, dichiarato inammissibile.

Nessuna statuizione deve essere assunta sulle spese, poiché la parte intimata non ha svolto difese.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Dispone che ai sensi del D.Lgs. n. 198 del 2003, art. 52 siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi in caso di diffusione del presente provvedimento.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 7 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 4 gennaio 2022

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