LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BERRINO Umberto – Presidente –
Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –
Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –
Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –
Dott. DE FELICE Alfonsina – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 8674-2016 proposto da:
I.N.A.I.L. – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE 144, presso lo studio degli avvocati LUCIANA ROMEO, LOREDANA DI SALVO, che lo rappresentano e difendono;
– ricorrente –
contro
C.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FRANCESCO DE SANCTIS 4, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE TENCHINI, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati GIOVANNI PRUNEDDU, VALERIA ATZERI;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 435/2015 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI, depositata il 07/01/2016 R.G.N. 166/2013;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 03/11/2021 dal Consigliere Dott. ALFONSINA DE FELICE;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MUCCI ROBERTO, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;
udito l’avvocato CRIPPA LETIZIA, per delega verbale avvocato LUCIANA ROMEO.
FATTI DI CAUSA
La Corte d’appello di Cagliari, in riforma della sentenza del Tribunale della stessa città, ha accolto il ricorso di C.A., diretto ad ottenere l’indennizzo del danno biologico conseguente alla malattia professionale (tecnopatia angionEurotica) denunciata nel 2007, asseritamente contratta lavorando come operaio addetto all’uso di strumenti vibranti.
La Corte territoriale ha ritenuto provata in giudizio la rilevanza dell’esposizione al rischio ai fini dell’insorgenza della malattia professionale, essendo emerso dalle testimonianze e dall’esame compiuto dal consulente medico legale, che l’appellante aveva fatto uso di strumenti vibranti, sia in edilizia sia in agricoltura, per diverse ore al giorno e quasi tutti i giorni per complessivi e continuativi diciassette anni.
Quanto alla concreta valutazione del danno biologico ha stabilito, recependo le conclusioni convergenti dei consulenti incaricati nei due gradi di merito, che il danno rientrava nel n. 34 delle Tabelle “Vasculopatia Sindrome Raynaud” con un danno biologico riconosciuto “fino al 12%”, ritenendo che all’assicurato spettasse l’indice massimo per via delle alterazioni radiologicamente riscontrate a carico di pressoché tutte le dita di entrambe le mani; ha poi condiviso l’esito della perizia medico legale circa l’applicazione del criterio della cd. “semisomma” per cui, riconosciuto il deficit funzionale rilevato a carico delle articolazioni di spalle, gomiti, polsi e mani (Cod. 224, 227, 232 e 267 delle Tabelle), all’originario danno stimato del 12% andava aggiunta un’ulteriore percentuale, fino a raggiungere la misura complessiva del 15,75%; in più, ha applicato l’arrotondamento del danno (per eccesso) alla percentuale del 16%, con la motivazione che tanto è quanto notoriamente viene applicato nella prassi medico-legale.
La cassazione della sentenza è domandata dall’Inail sulla base di due motivi di ricorso.
C.A. ha depositato controricorso.
Il P.G. ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Col primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, parte ricorrente deduce “Violazione del D.Lgs. 23 febbraio 2000, n. 38, art. 13, comma 2”; afferma che la Corte avrebbe illegittimamente applicato l’arrotondamento della percentuale di inabilità dal 15% al 16%, determinando il mutamento stesso del titolo della prestazione previdenziale (rendita invece che indennizzo in capitale), in violazione dei criteri indicati dal legislatore, dai quali si evince l’intento di prendere in considerazione le percentuali di inabilità solo in termini di unità intere, senza peraltro prevedere, in nessun caso, la possibilità di arrotondamento; che la percentuale minima per accedere al diritto alla rendita è del 16% sicché, l’arrotondamento per eccesso di inabilità stimate di grado inferiore, pur se in frazione di punto, si traducono nel riconoscimento di un diritto in assenza dei presupposti derivanti dalla legge.
Col secondo motivo, ancora formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, contesta “Violazione D.Lgs. n. 38 del 2000, art. 13, e Tabella delle Menomazioni approvata con D.M. 12 luglio 2000, allegato al D.Lgs. 23 febbraio 2000, n. 38”.
Contesta la valutazione del danno biologico nella misura del 16% sì come assunta “alla luce della prassi medico legale segnalata dall’ausiliare” (p. 10 sent.), insistendo che in seguito all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 38 del 2000, art. 13, il giudice, e per esso il CTU, ha l’obbligo di far riferimento al D.M. 12 luglio 2000, di approvazione delle tabelle delle menomazioni, della tabella d’indennizzo del danno biologico e della tabella dei coefficienti, che indica per ciascuna menomazione un minimo e un massimo di punti in percentuale di menomazione dell’integrità psicofisica.
I due motivi, esaminati congiuntamente per logica connessione, sono fondati.
E’ andato consolidandosi, nella giurisprudenza di questa Corte, il principio secondo cui, nel regime di liquidazione del danno da infortunio successivo all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 38 del 2000, art. 13, il D.M. 12 luglio 2000, recante approvazione delle tabelle delle menomazioni, d’indennizzo del danno biologico e dei coefficienti, ha natura di norma regolamentare con rilevanza esterna, la cui violazione è denunciabile in cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, (In tal senso cfr. Cass. n. 13574 del 2014, Cass. n. 990 del 2016, Cass. n. 23896 del 2021).
Ciò premesso, il D.Lgs. n. 38 del 2000, art. 13, ha introdotto per la prima volta l’indennizzabilità delle menomazioni per danno biologico nell’ambito della tutela INAIL, prevedendo che le prestazioni per il ristoro delle stesse siano determinate in misura indipendente dalla capacità di produzione di reddito del danneggiato; in quest’ottica si è stabilito che, ove al lavoratore residui un danno biologico, per i danni conseguenti a infortuni sul lavoro o malattie professionali, viene corrisposto un indennizzo che, per le menomazioni di grado pari o superiore al 6 per cento ed inferiore al 16 per cento è erogato in capitale, e, dal 16 per cento è erogato in rendita.
Le menomazioni di pari grado o superiore al 16 per cento danno diritto all’erogazione, oltre che della parte per danno biologico, di un’ulteriore quota di rendita per l’indennizzo delle conseguenze delle menomazioni che incidono sulla capacità lavorativa del soggetto.
Il D.Lgs., art. 13, rimanda, per la determinazione e la quantificazione – sia del danno biologico che della rendita – in base alla percentuale del danno e/o dell’inabilità che residua al lavoratore, alle tabelle che sono state in seguito approvate con D.M. Lavoro 12 luglio 2000. Tali tabelle hanno quantificato le percentuali d’invalidità e di danno biologico, nonché i valori monetari corrispondenti a ciascun grado di danno biologico riconosciuto e la misura della rendita annua per i gradi di inabilità superiori al 16 per cento.
In conseguenza della modifica normativa il sistema di determinazione e quantificazione della rendita, previsto originariamente dal Testo Unico delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali (T.U. n. 1124 del 1965), non trova più applicazione.
Il nuovo sistema di liquidazione dell’indennizzo sostituisce, infatti, la vecchia regolamentazione di liquidazione della rendita. Dalle “nuove” disposizioni discende che per la lesione fisica derivante da infortunio o malattia professionale che ha sempre, quale conseguenza, un danno biologico, trova applicazione in via esclusiva il nuovo metodo di calcolo dei postumi permanenti.
Pertanto, quest’ultimo prevede che la rendita INAIL è corrisposta solo in caso di menomazioni che hanno determinato un grado d’inabilità superiore al 16%; di contro, le invalidità residuate in misura pari o superiore al 6 per cento e fino al 16 per cento, vengono indennizzate in capitale.
Il Consulente tecnico incaricato e il giudice, nel determinare la percentuale di danno al fine del riconoscimento del beneficio di legge, devono dunque fare riferimento unicamente al D.M. del 2000, ove detta percentuale è indicata, a seconda dei casi, con un valore unico ovvero in un intervallo di valori o ancora con locuzioni “superiore a” ovvero “fino a”.
In conclusione, va ritenuto che il sistema vigente escluda la possibilità per il giudice di disporre arrotondamenti, per eccesso o per difetto, (e anche per frazioni di punto), così come questa Corte ha, peraltro, avuto modo di affermare in precedenti arresti resi per fattispecie analoghe, quando non sovrapponibili (cfr. Cass. n. 15245 del 2014 la quale negò la facoltà di arrotondamento al sei per cento, per una frazione di punto, ai fini del riconoscimento del diritto all’indennizzo).
Il ricorso dell’INAIL va pertanto accolto. La sentenza impugnata va cassata e la causa va rinviata alla Corte d’appello di Cagliari in diversa composizione, che statuirà anche in ordine alle spese del presente giudizio.
In considerazione dell’esito del giudizio, si dà atto che non sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Cagliari in diversa composizione, che statuirà anche in ordine alle spese del presente giudizio.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificati, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.
Così deciso in Roma, alla Pubblica Udienza, il 3 novembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 10 gennaio 2022