Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.465 del 10/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 20255/2020 R.G. proposto da:

A.N., elettivamente domiciliato in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’Avvocato Davide Ascari, giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in Roma, via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;

– resistente –

avverso la sentenza n. 2008/2020 della Corte d’appello di Bologna, depositata il 10/7/2020;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 10/12/2021 dal Cons. Dott. Alberto Pazzi.

RILEVATO

che:

1 Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Bologna respingeva il gravame proposto da A.N. avverso l’ordinanza dell’8 marzo 2018, con la quale il Tribunale di Bologna aveva rigettato il ricorso interposto dall’odierno ricorrente contro il provvedimento della competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, che aveva respinto l’istanza di protezione, internazionale ed umanitaria, dal medesimo avanzata.

2. Propone ricorso per la cassazione di detta decisione A.N., affidandosi a tre motivi.

Il Ministero dell’Interno, intimato, ha depositato atto di costituzione ai fini della partecipazione all’udienza.

CONSIDERATO

che:

3. Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 10, 13 e 27 e D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, perché la Corte d’appello ha – in tesi – erroneamente ritenuto non credibile la sua storia personale.

4. Il motivo è inammissibile.

La Corte d’appello, infatti, ha rilevato (a pag. 4) che nessuna censura era stata rivolta al capo dell’ordinanza del Tribunale che aveva giudicato le dichiarazioni del richiedente protezione contraddittorie e inverosimili.

La censura in esame non si cura di una simile constatazione e critica una valutazione di inattendibilità che, in realtà, i giudici distrettuali non hanno compiuto.

La doglianza risulta, quindi, inammissibile, tanto in virtù dell’art. 324 c.p.c., stante il giudicato interno formatosi sul punto, quanto per mancanza del carattere di riferibilità alla decisione impugnata.

5. Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b) e c), perché la Corte territoriale ha erroneamente escluso il riconoscimento della protezione sussidiaria.

6. Il motivo è inammissibile.

Rispetto alla protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. b), è sufficiente far rimando a quanto appena detto in merito alla mancata impugnazione del giudizio di inattendibilità, giudizio all’esito del quale la Corte di merito ha constatato l’impossibilità di riconoscere tale forma di protezione sulla base delle dichiarazioni rese dal migrante.

Anche sotto questo profilo l’impugnazione risulta inammissibile, per i medesimi motivi già illustrati.

Quanto alla protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), va osservato, invece, che la giurisprudenza di questa Corte è ferma nel ritenere che “ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C285/12), deve essere interpretata nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria; il grado di violenza indiscriminata deve aver pertanto raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia” (Cass. 18306/2019).

Non assumono perciò alcuna rilevanza situazioni (quali le limitazioni dei diritti umani, le restrizioni della libertà, gli episodi di violenza e l’esposizione a pericoli legati ad un’ampia e persistente corruzione addotti nel motivo in esame) che, per la loro intrinseca diversità dalla condizione tipizzata dalla norma, non sono ad essa riconducibili, dato che il rischio di danno grave cui si riferisce il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), è esclusivamente quello che deriva dalla violenza indiscriminata nella situazione di conflitto armato in corso nello Stato di provenienza (Cass. 14350/2020).

7. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, perché la Corte distrettuale ha erroneamente escluso anche il riconoscimento della tutela umanitaria, senza considerare il significativo percorso di integrazione sociale e lavorativa conseguito dal ricorrente durante la permanenza in Italia e il conseguente rischio di lesione del nucleo inalienabile dei suoi diritti fondamentali in caso di rimpatrio.

8. Il motivo è fondato.

La Corte di merito, pur registrando che il migrante aveva dimostrato di aver avviato un percorso lavorativo in Italia con un contratto di lavoro inizialmente a tempo determinato e divenuto poi (dal 1 luglio 2019) a tempo indeterminato, ha ritenuto che una simile condizione di occupazione non potesse, di per sé sola, giustificare il riconoscimento della protezione umanitaria, dato che non era possibile ritenere che lo straniero non potesse esercitare i suoi diritti fondamentali inviolabili in Gambia, sia in ragione della sua inattendibilità, sia in considerazione del contesto sociale, politico e ambientale presente nel paese di origine.

A fronte, tuttavia, di una condizione di riconosciuto inserimento lavorativo non occorreva, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, la verifica che il rimpatrio avrebbe potuto determinare una compromissione dei diritti fondamentali, essendo sufficiente a tal fine la constatazione che il ritorno nel paese di origine avrebbe probabilmente comportato un significativo scadimento delle condizioni del migrante, alla luce delle condizioni generali esistenti nel paese di origine.

Infatti, in base alla normativa del testo unico sull’immigrazione anteriore alle modifiche introdotte dal D.L. n. 113 del 2018, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria occorre operare una valutazione comparativa tra la situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine e la situazione d’integrazione raggiunta in Italia, attribuendo alla condizione del richiedente nel paese di provenienza un peso tanto minore quanto maggiore risulti il grado di integrazione che il richiedente dimostri di aver raggiunto nella società italiana.

Qualora poi si accerti che è stato raggiunto un apprezzabile livello di integrazione e che il ritorno nel paese d’origine renda probabile un significativo scadimento delle condizioni di vita privata e/o familiare tali da recare un vulnus al diritto riconosciuto dall’art. 8 della Convenzione EDU, sussiste un serio motivo di carattere umanitario, ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, per riconoscere il permesso di soggiorno (Cass., Sez. U., 24413/2021).

8. La sentenza impugnata andrà dunque cassata, con rinvio della causa alla Corte distrettuale, la quale, nel procedere al suo nuovo esame, si atterrà ai principi sopra illustrati, avendo cura anche di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso, dichiara inammissibili i primi due mezzi, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d’appello di Bologna in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 10 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 10 gennaio 2022

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