LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –
Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –
Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –
Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –
Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 10528/2020 R.G. proposto da:
A.A., elettivamente domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’Avvocato Andrea Gori, giusta procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in Roma, via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;
– resistente –
avverso la sentenza n. 2734/2019 della Corte d’appello di Bologna depositata il 3/10/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 10/12/2021 dal Cons. Dott. Alberto Pazzi.
RILEVATO
che:
1. Il Tribunale di Bologna, con ordinanza ex art. 702-bis c.p.c., del 4 gennaio 2018, rigettava il ricorso proposto da A.A., cittadino del Marocco, avverso il provvedimento emesso dalla locale Commissione territoriale di diniego di riconoscimento del suo status di rifugiato nonché del suo diritto alla protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex artt. 2 e 14, o a quella umanitaria ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6.
L’ A., a suffragio della propria domanda, riferiva di aver lasciato il Marocco nel ***** e di aver avuto una figlia nel ***** con una donna italiana, con la quale aveva vissuto per tre anni; rappresentava inoltre che, pur essendo stato detenuto per tre anni, aveva trovato poi impieghi di carattere temporaneo, con i cui proventi riusciva a versare un contribuito per il mantenimento della bambina.
2. La Corte d’appello di Bologna, a seguito dell’impugnazione proposta dall’ A. unicamente sotto il profilo del mancato riconoscimento della protezione umanitaria, osservava che la situazione generale del paese di origine non valeva di per sé ad attribuire tale forma di protezione, dovendosi avere riguardo alla vicenda personale del migrante.
Riteneva ostativo all’accoglimento della domanda il fatto che non fosse nota la condizione dell’appellante nel paese di origine, che era stata solo genericamente allegata.
Reputava, infine, che la tutela della figlia minore non costituisse una circostanza rilevante ai fini della concessione all’ A. della protezione richiesta, dato che la controversia non aveva ad oggetto una domanda di ricongiunzione familiare o di tutela di minori ex art. 31 T.U.I., ma una richiesta di asilo.
3. Per la cassazione di questa decisione, pubblicata in data 3 ottobre 2019, ha proposto ricorso A.A. prospettando tre motivi di doglianza.
Il Ministero dell’Interno si è costituito al di fuori dei termini di cui all’art. 370 c.p.c., al fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa.
CONSIDERATO
che:
4. Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 5, comma 6, T.U.I. e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, in quanto la Corte d’appello ha escluso la concedibilità della protezione umanitaria senza considerare, da una parte, la situazione di grave instabilità politica e sociale e di povertà generalizzata attualmente esistente in Marocco, dall’altra la condizione di integrazione e occupazione conseguita dall’ A. in Italia.
5. Il motivo è inammissibile.
5.1 La Corte distrettuale ha inteso sottolineare che al fine del riconoscimento della protezione umanitaria non erano sufficienti le allegazioni sulla sola situazione generale esistente nel paese di origine, poiché tale misura, atipica e residuale, è il frutto della valutazione di una specifica condizione personale di particolare vulnerabilità del richiedente, “deve necessariamente correlarsi alla sua vicenda personale” e, dunque, richiede che all’allegazione delle condizioni generali del paese di origine si accompagni l’indicazione di come siffatta situazione influisca sulle condizioni personali del richiedente asilo provocando una particolare condizione di vulnerabilità.
A fronte di questi argomenti il ricorrente si è limitato a lamentare la mancata valutazione della situazione del paese di origine al fine del riconoscimento della protezione umanitaria, senza cogliere e criticare la ratio decidendi posta a base, su questo punto specifico, della decisione impugnata.
Il che comporta l’inammissibilità della critica, dato che il ricorso per cassazione deve necessariamente contestare in maniera specifica la ratio decidendi posta a fondamento della pronuncia impugnata (Cass. 19989/2017).
5.2 Il profilo di doglianza concernente l’integrazione e l’occupazione è del tutto generico (“il ricorrente si è perfettamente integrato in Italia ed ivi presta regolare attività lavorativa”), contrasta con le allegazioni fatte nell’originario ricorso (ove era stato precisato che l’ A. “ha trovato dei lavori temporanei”) e non consente di apprezzare la decisività della critica così sollevata.
6. Il secondo motivo lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 19, comma 1 e art. 5, commi 5 e 6, T.U.I., artt. 3 e 8 C.E.D.U. e art. 30 Cost.: la Corte di merito – osserva parte ricorrente – ha ritenuto che il rapporto del richiedente asilo con la figlia italiana sia tutelabile soltanto ai sensi dell’art. 31 T.U.I., senza considerare però il divieto di espulsione stabilito dall’art. 19, comma 1, T.U.I. nonché il diritto del migrante al mantenimento dell’unità familiare e alla conservazione dell’effettività dei vincoli familiari.
7. Il motivo è fondato, nei termini che si vanno a illustrare.
Non assume rilievo in questa sede il divieto previsto dall’art. 19, comma 2, lett. c), T.U.I., a mente del quale non è consentita l’espulsione, salvo che nei casi previsti dall’art. 13, comma 1, nei confronti degli stranieri conviventi con parenti entro il secondo grado o con il coniuge, di nazionalità italiana, dato che l’odierno ricorrente non ha neppure allegato il ricorrere di una situazione di effettiva convivenza con la figlia minore.
L’esistenza di una significativa relazione con la discendente, anche se non convivente, doveva però essere valutata in funzione dell’eventuale concessione della protezione umanitaria, venendo in rilievo, alla luce della tutela approntata dagli artt. 2 e 3 Cost., “il rischio di un danno attuale da perdita di relazioni affettive” (cfr. Cass., Sez. U. 24413/2021, par. 43).
Ne’ è possibile sostenere che la valutazione di un simile pregiudizio potesse avvenire soltanto in seno al giudizio di cui all’art. 31 T.U.I..
Questa norma, infatti, è funzionale alla tutela di un interesse non già del richiedente, bensì essenzialmente del minore (Cass. 22832/2020) e non preclude la valorizzazione, in una prospettiva che si focalizzi, invece, sulla condizione del genitore, del rischio di danno attuale da perdita di significative relazioni affettive con un minore presente sul territorio italiano ai fini del riconoscimento, nell’ambito di un giudizio promosso ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 e D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 19, del permesso di soggiorno per motivi umanitari, secondo la disciplina applicabile ratione temporis.
8. Il terzo motivo di ricorso si duole dell’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio e discusso fra le parti, costituito dalla grave situazione di povertà esistente nel paese di origine, che era stata la ragione che aveva giustificato l’espatrio.
9. Il motivo è inammissibile.
Esso, infatti, intende dolersi, più che di un omesso esame delle condizioni generali del Marocco, di una “valutazione frettolosa e priva di approfondimenti”, cioè erronea e non conforme alle aspettative del ricorrente, della situazione esistente nello Stato di provenienza e in questo modo si pone al di fuori dei limiti propri del canone di critica utilizzato, che riguarda il tralasciato esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio e non si estende all’esame inappagante per la parte di tale fatto, che rientra nei compiti istituzionali del giudice di merito.
10. La sentenza impugnata andrà dunque cassata, con rinvio della causa alla Corte distrettuale, la quale, nel procedere al suo nuovo esame, si atterrà ai principi sopra illustrati, avendo cura anche di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, dichiara inammissibili il primo e il terzo mezzo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte di Appello di Bologna in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 10 dicembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 10 gennaio 2022