Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.468 del 10/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 10007/2020 R.G. proposto da:

Q.M., elettivamente domiciliato in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’Avvocato Simona Maggiolini, giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in Roma, via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;

– resistente –

avverso la sentenza n. 2441/2019 della Corte d’appello di Bologna depositata il 5/9/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 10/12/2021 dal Cons. Dott. Alberto Pazzi.

RILEVATO

che:

1. Q.M., cittadino del Pakistan, presentava opposizione innanzi al Tribunale di Bologna al provvedimento della Commissione territoriale che gli aveva negato il riconoscimento della protezione internazionale, sussidiaria ed umanitaria.

Il Tribunale, con ordinanza del 6 novembre 2017, respingeva il ricorso, rilevando l’inattendibilità del ricorrente e l’insussistenza dei presupposti normativi dei provvedimenti richiesti.

2. Avverso questa ordinanza il Q. proponeva appello dolendosi dell’erroneità e della contraddittorietà della motivazione adottata.

La Corte d’appello, con sentenza pubblicata in data 5 settembre 2019, rigettava il gravame, osservando che la narrazione del ricorrente (il quale aveva dichiarato di essere stato costretto a ricevere un addestramento per farsi esplodere e di essere minacciato dai terroristi dopo la denuncia presentata dal padre, al quale aveva riferito la vicenda) delle vicende che lo avevano indotto a lasciare il Pakistan risultava inattendibile perché assolutamente priva di alcun puntuale elemento di riscontro, stereotipata, non circostanziata e implausibile.

Questa inattendibilità precludeva anche il riconoscimento della protezione umanitaria, non assumendo rilievo, al riguardo, l’attività lavorativa svolta in Italia.

3. Per la cassazione di questa decisione ha proposto ricorso Q.M. prospettando due motivi di doglianza.

Il Ministero dell’Interno si è costituito al di fuori dei termini di cui all’art. 370 c.p.c., al fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa.

Il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte sollecitando l’accoglimento del ricorso.

CONSIDERATO

che:

4.1 Il primo motivo denunzia la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, art. 112 c.p.c. e art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, L. n. 241 del 1990, art. 3 e art. 111 Cost., comma 6, nonché l’omesso esame di fatti decisivi, perché la Corte di merito non ha attribuito rilievo alla concomitante situazione di vulnerabilità nel paese di origine e di inserimento sociale e lavorativo, con contratto a tempo indeterminato, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria.

4.2 Il secondo motivo denunzia la violazione degli artt. 6 e 13 C.E.D.U., art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, art. 46 Direttiva 32/2013/UE e art. 111 Cost., nonché l’omesso esame di un fatto decisivo, perché la Corte territoriale, nel valutare il merito del ricorso, non ha attuato un esame completo ed ex nunc degli elementi di fatto e di diritto addotti, né ha dato corso ai propri doveri di cooperazione istruttoria, non assicurando così il diritto del ricorrente a un ricorso effettivo e a un giusto processo.

5. I motivi, da esaminarsi congiuntamente, sono fondati.

La sentenza impugnata esclude la possibilità di riconoscere la protezione umanitaria in forza di due argomenti, ambedue non corretti.

5.1 In primo luogo, l’inattendibilità delle dichiarazioni del richiedente asilo comportava – a parere dei giudici distrettuali – “la reiezione per motivi di merito della domanda di riconoscimento della protezione umanitaria”.

Una simile affermazione, in termini categorici e generali, non è coerente con la giurisprudenza di questa Corte, secondo cui il giudizio di scarsa credibilità della narrazione del richiedente, in relazione alla specifica situazione dedotta a sostegno della domanda di protezione internazionale, non può comunque precludere la valutazione da parte del giudice di merito, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, delle diverse circostanze che concretizzino una situazione di vulnerabilità, da effettuarsi su base oggettiva e, se necessario, previa integrazione anche officiosa delle allegazioni del ricorrente, in applicazione del principio di cooperazione istruttoria; ciò in quanto il riconoscimento del diritto al rilascio del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie deve essere frutto di valutazione autonoma, non potendo conseguire automaticamente al rigetto delle altre domande di protezione internazionale, attesa la strutturale diversità dei relativi presupposti (cfr. Cass. 10922/2019, Cass. 8020/2020, Cass. 24186/2020).

5.2 Inoltre, non poteva essere valorizzata – secondo la Corte distrettuale – l’attività lavorativa iniziata dal migrante nel paese ospitante, perché ai fini della protezione umanitaria non rilevano “le buone prospettive di integrazione in Italia, in mancanza del diritto di soggiornarvi”.

Anche questa affermazione non corrisponde ai più recenti approdi della giurisprudenza di legittimità.

In vero, qualora si accerti che è stato raggiunto da parte del richiedente asilo un apprezzabile livello di integrazione in Italia e che il ritorno nel paese d’origine renda probabile un significativo scadimento delle condizioni di vita privata e/o familiare, tale da recare un vulnus al diritto riconosciuto dall’art. 8 della Convenzione EDU, sussiste un serio motivo di carattere umanitario, ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, per riconoscere il permesso di soggiorno (Cass., Sez. U., 24413/2021).

6. La sentenza impugnata andrà dunque cassata, con rinvio della causa alla Corte distrettuale, la quale, nel procedere al suo nuovo esame, si atterrà ai principi sopra illustrati, avendo cura anche di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di Appello di Bologna in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 10 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 10 gennaio 2022

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