LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. STALLA Giacomo Maria – Presidente –
Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –
Dott. RUSSO Rita – rel. Consigliere –
Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –
Dott. D’ORIANO Milena – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso R.G. 14065/2016 proposto da:
PROVINCIA DI TORINO DELLA CONGREGAZIONE DEI FRATELLI DELLE SCUOLE CRISTIANE, ente ecclesiastico riconosciuto con sede in *****, in persona del suo procuratore speciale ed Economo provinciale, elettivamente domiciliata in Roma, via Germanico 172, presso lo studio dell’avv. Nicola Bultrini, rappresentata e difesa dall’avv. Enrico Marello e dall’avv. Lorenzo Nano;
– ricorrente –
contro
COMUNE DI ROMANO D’EZZELINO, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, piazzale Clodio 22, presso lo studio dell’avv. Deborah Fortinelli, rappresentata e difesa dall’avv. Michele Tiengo;
– controricorrente ricorrente incidentale –
avverso la sentenza n. 1829/1/15 dalla COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DEL VENETO depositata il 03/12/2015;
udita la relazione della causa svolta all’udienza del 16/11/2021 dal consigliere Dott. RUSSO RITA;
uditi i difensori delle parti;
udito il Pubblico Ministero.
RILEVATO
che:
La Congregazione è proprietaria nel Comune di Romano d’Ezzelino di alcuni terreni (c.d. area *****), per i quali ha versato l’ICI considerandoli terreni agricoli. In data 20.12.2012, il Comune di Romano d’Ezzelino ha notificato alla Congregazione l’avviso di accertamento n. *****, relativo all’ICI 2007, ritenendo la natura di area fabbricabile dei terreni, determinandone il valore in Euro 130,00 al mq ed escludendo il diritto alla esenzione di cui al D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, per i fabbricati. La contribuente ha opposto l’avviso.
Il giudice di primo grado pur ritenendo che l’area sia da considerarsi edificabile, ne ha ridotto il valore ad Euro 100,00 al mq. La Congregazione ha proposto appello e la Commissione Tributaria Regionale del Veneto richiamando una consulenza tecnica d’ufficio eseguita in analogo giudizio avente ad oggetto l’anno di imposta 2005, ha parzialmente riformato la sentenza di primo grado, determinando il valore del terreno in Euro 84,00 al mq. Il giudice di secondo grado ha ritenuto che il valore del terreno di cui si discute deve essere determinato con riferimento al valore medio dei terreni edificabili, anche in assenza di piano attuativo e che la mancata sottoscrizione della convenzione attuativa può incidere sulla valutazione, ma non in misura tale da poter attribuire all’area il valore di un terreno agricolo.
Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso la Congregazione affidandosi a sette motivi.
Il Comune ha resistito con controricorso, proponendo ricorso incidentale, affidandosi a due motivi, cui la Congregazione ha risposto con controricorso.
Le parti hanno discusso la causa alla udienza pubblica del 16 novembre 2021.
Il Procuratore generale ha concluso per il rigetto del ricorso principale.
RITENUTO
che:
1.- Con il primo motivo del ricorso si lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5.
La parte lamenta che il giudice d’appello abbia ritenuto edificabile il terreno, pur in mancanza della apposita convenzione attuativa, prevista dal Programma integrato di riqualificazione urbanistica edilizia e ambientale (P.i.r.u.e.a) e senza accertare a chi fosse attribuibile la responsabilità della mancata stipula della convenzione.
La parte ricorrente deduce che la mancata sottoscrizione della convenzione attuativa tra il Comune e la Congregazione deriva da una vicenda amministrativa piuttosto travagliata nel corso della quale la Congregazione ha più volte invitato il Comune a sottoscrivere la convenzione, che ha sempre frapposto risposte dilatorie. A causa del comportamento del Comune e della mancata sottoscrizione di questa convenzione, il terreno non è in concreto edificabile. Rileva che il Comune non si può ritenere estraneo al rischio del mancato perfezionamento dell’iter edificatorio, essendo al tempo stesso l’ente impositore, che fruisce delle maggiori entrate che derivano dalla qualificazione del terreno come edificabile in astratto, e il soggetto che ne condiziona l’edificabilità in concreto. Il D.L. n. 223 del 2006, art. 36, comma 2, deduce ancora la parte, dovrebbe essere interpretato secondo il principio di buona fede, che il Comune ha violato.
1.2.- Il motivo è inammissibile.
Il fatto dedotto dalla parte è irrilevante ai fini della decisione della questione tributaria, come peraltro ritenuto dal giudice d’appello che nella sentenza ha operato un esplicito riferimento alla autonomia della questione tributaria rispetto a quella della (eventuale) responsabilità per danni.
La ricorrente sovrappone la questione di stretto rilievo tributario con una vicenda diversa che ha ad oggetto il comportamento del Comune e la (eventuale) rilevanza della sua condotta omissiva, non influente in questa sede.
La questione tributaria è limitata, nel caso che ci occupa, alla verifica della natura edificabile o meno del terreno de quo con la conseguente determinazione del suo valore ai fini impositivi.
Il comportamento del Comune, nella adozione (o non adozione) degli strumenti urbanistici appropriati, potrebbe rilevare in sede amministrativa, ove la parte intenda reagire avverso i provvedimenti adottatati dall’ente, nonché eventualmente far valere la responsabilità per i danni cagionati alla Congregazione, ove ne sussistessero i presupposti.
La questione tributaria è invece regolata dal D.L. n. 223 del 2006, art. 36, comma 2, norma che ha fornito una interpretazione autentica del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 2, comma 1, lett. b), chiarendo che la qualificazione di area fabbricabile ai fini delle imposte dirette ed indirette è subordinata alla sola adozione dello strumento urbanistico generale da parte del Comune, risultando invece irrilevanti sia la sua approvazione da parte della Regione sia l’adozione di strumenti attuativi dello stesso.
La costante giurisprudenza di questa Corte, come rileva anche il Procuratore generale, afferma che “l’inizio del procedimento di trasformazione urbanistica è infatti sufficiente a far lievitare il valore venale dell’immobile, le cui eventuali oscillazioni, in dipendenza dell’andamento del mercato, dello stato di attuazione delle procedure incidenti sullo “ius aedificandi” o di modifiche del piano regolatore che si traducano in una diversa classificazione del suolo, possono giustificare soltanto una variazione del prelievo nel periodo d’imposta” (Cass. sez. un 30 novembre 2006, n. 25506; Cass. n. 20137 del 16/11/2012; Cass. n. 11182 del 21/05/2014; Cass. n. 31048 del 28/12/2017; Cass. n. 6702 del 10/03/2020).
Pertanto, la maggiore o minore attualità delle potenzialità edificatorie del terreno, nonché la possibile incidenza degli ulteriori oneri di urbanizzazione, non incidono sulla sua qualificazione come area edificabile, anche se di questi fattori si dovrà tener conto nella determinazione della base imponibile.
In applicazione di questi principi – segnati dall’autonomia della nozione di edificabilità in ambito tributario rispetto a quello urbanistico – le ragioni per le quali il Comune non procede alla adozione dello strumento attuativo devono ritenersi irrilevanti, poiché il terreno dovrà comunque essere classificato come edificabile se così previsto nel piano regolatore generale, potendo la attualità (o meno) del concreto sfruttamento edificatorio incidere soltanto sul quantum della base imponibile.
2.- Con il secondo motivo del ricorso si lamenta la violazione del combinato disposto del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5 e dell’art. 11, nonché della L. n. 446 del 1997, art. 59, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, avendo la CTR determinato il valore della base imponibile discostandosi dalla tabella allegata al regolamento ICI emanato dal Comune.
Il motivo è infondato.
Le tabelle di predeterminazione dei valori elaborate dal Comune non hanno natura imperativa e vincolante (Cass. n. 3757/2014; Cass. n. 5068/2015; Cass. n. 15312/2018; Cass. n. 10308/2019). Si tratta di presunzioni e cioè di un criterio recessivo ove l’amministrazione venga in possesso di informazioni specifiche idonee a contraddire quelle desunte dai valori delle aree circostanti aventi analoghe caratteristiche (Cass. n. 11643 del 03/05/2019); la stima operata tramite consulenza tecnica d’ufficio può quindi legittimamente considerarsi una informazione specifica e qualificata, come tale prevalente sui valori tabellari.
3.- Con il terzo motivo del ricorso si lamenta la violazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, nonché del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 11, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.
Con il quarto motivo del ricorso si lamenta la violazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, nonché del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 11, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.
La parte deduce che il giudice di merito avrebbe compiuto un’errata interpretazione dell’art. 5 cit., omettendo di considerare che la mancanza dello strumento attuativo che garantisce l’edificabilità concreta del terreno influisce sulla valutazione del terreno stesso; lamenta inoltre che il giudice d’appello, pur enunciando che deve tenersi conto nella determinazione della base imponibile della maggiore o minore attualità delle sue potenzialità edificatorie, ha poi fatto proprie le risultanze di una consulenza tecnica che ha espressamente escluso l’incidenza di questi criteri.
La parte lamenta, inoltre, con il quarto motivo, che il giudice nel recepire detta consulenza tecnica ha fatto proprio un valore determinato per l’anno 2005, mantenendolo fermo nonostante fossero trascorsi due anni, mentre l’art. 5 cit., impone di misurare anno per anno i valori immobiliari.
I motivi possono esaminarsi congiuntamente e sono entrambi inammissibili.
La parte non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata poiché, come chiaramente in essa esposto, la riduzione del valore di stima del terreno si fonda proprio sulla valutazione della minore attualità delle possibilità edificatorie per difetto dello strumento attuativo, ferma restando la classificazione del terreno come edilizio.
Quanto all’aggiornamento della valutazione, la Disp. dell’art. 5, non impone di rinnovare la stima ogni anno, quanto di verificarne l’attualità, poiché i valori immobiliari possono restare stabili o anche in ipotesi aumentare (così determinandosi un effetto favorevole per il contribuente se la base imponibile resta immutata) così come, in punto di fatto, con giudizio non censurabile in questa sede, ha ritenuto la CTR al punto 17 della sentenza affermando che: “nel periodo compreso tra il 2005 e il 2007 il mercato immobiliare non aveva ancora risentito della crisi verificatasi successivamente e di valori erano in crescita, come confermato anche dalle rilevazioni della Borsa Immobiliare della Camera di Commercio Industria e Artigianato di *****”.
Ulteriori questioni sulla congruità della riduzione in ragione della non attualità dell’uso edificatorio, sono questioni di fatto incensurabili in questa sede, tanto più che il divario tra il valore assegnato nella relazione di stima e ritenuto congruo dal Comune (130 Euro al mq) e quello applicato dalla CTR (84 Euro al mq) non è tale da essere sintomatico di una violazione di legge.
4.- Con il quinto motivo del ricorso si lamenta la violazione e falsa applicazione del combinato disposto del D.Lgs. n. 504 del 1992, artt. 1 e 2, e della L.R. Veneto n. 23 del 1999, artt. 1, 2, 4, 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
La parte lamenta che la CTR ha errato nel considerare edificabile la zona in esame in presenza della sola sussistenza del piano regolatore generale ed in assenza di ulteriori attività amministrative. Osserva che, sulla base della legislazione della Regione Veneto, l’adozione del piano non è sufficiente a far ritenere perfezionato lo strumento urbanistico generale, essendo necessaria la sottoscrizione della Convenzione tra privato ed ente locale; questa sottoscrizione è condizione di efficacia del piano.
Il motivo è infondato.
Si tratta sostanzialmente, come osserva anche il Procuratore Generale, della stessa censura di cui al primo motivo, integrata con il riferimento alla legislazione regionale. Tuttavia, come sopra si è detto, già la inclusione nel piano regolatore generale è sufficiente a qualificare l’area come edificabile ed a far lievitare il valore del bene, a prescindere dalla adozione degli strumenti attuativi.
5.- Con il sesto motivo del ricorso si lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5. La parte deduce di avere sottoposto ai giudici di merito la doglianza relativa alla avvenuta valutazione uniforme dell’intera area, comprensiva anche della parte che sarebbe oggetto di perequazione urbanistica e della parte che sarebbe stata adibita a verde pubblico ed a strade di pubblico interesse. Deduce altresì che l’esame di questo fatto è stato omesso in appello.
Il motivo è infondato.
Il giudice d’appello ha operato una valutazione unitaria, spiegandone le ragioni, poiché nel richiamare le conclusioni della consulenza ha dato atto che in esse il consulente valuta che la destinazione d’uso oltre che residenziale è anche commerciale, terziario, tempo libero, interessi comuni.
Così facendo il giudice di merito ha applicato un principio già enunciato da questa Corte, secondo cui l’inclusione di un’area in una zona destinata dal piano regolatore generale a servizi pubblici o di interesse pubblico incide senz’altro nella determinazione del valore venale dell’immobile, da valutare in base alla maggiore o minore attualità delle sue potenzialità edificatorie, ma non ne esclude l’oggettivo carattere edificabile D.Lgs. n. 504 del 1992, ex art. 2, atteso che i vincoli d’inedificabilità assoluta, stabiliti in via generale e preventiva nel piano regolatore generale, vanno tenuti distinti dai vincoli di destinazione che non fanno venire meno l’originaria natura edificabile (Cass. n. 17764 del 06/07/2018; nonché, sullo specifico problema dell’incidenza ICI dell’inserimento dell’area in un programma di perequazione urbanistica: Cass. n. 27575/18).
7.- Con il settimo motivo si lamenta la violazione del combinato disposto del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 5 e art. 6, comma 2, del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 8, e della L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, avendo la CTR rigettato il motivo relativo all’inapplicabilità delle sanzioni. La parte insiste nella richiesta di disapplicazione delle sanzioni fondata su due ragioni, e cioè la carenza dell’elemento soggettivo ai fini della punibilità e le obiettive condizioni di incertezza nella qualificazione del terreno.
Il motivo è infondato.
Il giudice d’appello ha affermato che la Congregazione era ben consapevole di violare i principi enunciati dalla legislazione applicabile in materia come interpretati dalla Corte di legittimità ritenendo palesemente infondata la richiesta.
L’inclusione del terreno del piano regolatore come edificabile non poteva dare luogo ad incertezza sulla sua natura, considerando che lo stesso contribuente ha stimato l’area come edificabile, promuovendo le iniziative utili a consentirne la edificazione anche in concreto.
Deve qui richiamarsi il principio secondo il quale “In tema di sanzioni per violazioni delle norme tributarie, l’incertezza normativa oggettiva tributaria” è caratterizzata dall’impossibilità d’individuare in modo univoco, al termine di un procedimento interpretativo metodicamente corretto, la norma giuridica nel cui ambito il caso di specie è sussumibile (Cass. n. 10313 del 12/04/2019).
Nel caso di specie il quadro normativo era chiaro anche in ragione della vigenza del D.L. n. 223 del 2006, art. 36, comma 2, norma che ha fornito una interpretazione autentica del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 2, comma 1, lett. b), chiarendo che la qualificazione di area fabbricabile ai fini delle imposte dirette ed indirette è subordinata alla sola adozione dello strumento urbanistico generale da parte del Comune, risultando invece irrilevanti sia la sua approvazione da parte della Regione sia l’adozione di strumenti attuativi dello stesso. Nello stesso senso la giurisprudenza di questa Corte a sezioni unite, sopra citata (Cass. sez. un 30 novembre 2006, n. 25506).
8. Con il primo motivo di ricorso incidentale il Comune lamenta la violazione del D.Lgs. n. 540 del 1992, artt. 1 e 5, e dell’art. 2735 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Il Comune impugna la sentenza nella parte in cui la Commissione Regionale ha ridotto il valore del terreno da Euro 130 ad Euro 84,00 al metro quadro. Il Comune deduce che il valore dell’area è stato determinato in base alla relazione finanziaria allegata al piano integrato presentato dalla stessa Congregazione e che detta valutazione assume natura di confessione stragiudiziale.
Il motivo è infondato.
La stima contenuta nella relazione finanziaria allegata al piano presentato dalla Congregazione non ha valore di confessione stragiudiziale ex art. 2735 c.c., poiché la confessione, ai sensi dell’art. 2730 c.c., è la dichiarazione che una parte fa della verità di fatti ad essa sfavorevoli e favorevoli ad altra parte. La stima di un terreno non è un fatto di cui si possa accertare la verità o falsità ma è una valutazione, e cioè il risultato di un procedimento tecnico attraverso il quale si calcola il valore di un bene, risultato variabile a seconda dei parametri utilizzati, che non sono veri o falsi, ma più o meno pertinenti a seconda del criterio di scelta che deve conformarsi ad una regola iuris.
Non si trattava, dunque, di dichiarazione avente effetto di prova legale, quanto di elemento valutativo sottoposto al libero apprezzamento del giudice di merito.
Il giudice d’appello ha del resto spiegato le ragioni per le quali ha poi ritenuto di diminuire il valore in concreto, in applicazione di un principio giuridico corretto, e cioè che, pur essendo il terreno da qualificarsi edificabile, la maggiore o minore attualità delle potenzialità edificatorie di esso incide nella determinazione della base imponibile (Cass. sez. un n. 25506/2006 cit.).
Quanto al resto, si tratta di un giudizio di fatto di cui in questa sede non può sollecitarsi la revisione, tanto più che – come già osservato – il divario tra il valore assegnato nella relazione di stima e ritenuto congruo dal Comune e quello applicato dalla CTR non è di per sé tale da essere sintomatico di una violazione di legge.
Va qui aggiunto come neppure il divario di valore attribuito alla stessa area in diverse annualità ICI (fatte oggetto di altri analoghi ricorsi) sia di per sé rivelatore di una violazione di legge, dal momento che una contenuta oscillazione estimativa può trovare giustificazione, oltre che proprio nella diversità ed autonomia dei valori di mercato riscontrabili nelle varie annualità di riferimento, anche nella natura intrinsecamente delibativa e discrezionale (pur sempre, beninteso, entro i parametri legali) del giudizio sul punto demandato al giudice del merito, certamente non rivedibile, come detto, nella presente sede di legittimità.
10.- Con il secondo motivo di ricorso incidentale il Comune lamenta la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 15, e art. 92 c.p.c., quanto alla compensazione delle spese.
L’ente deduce l’errore del giudice d’appello che ha compensato le spese processuali di entrambi i gradi in ragione della complessità e particolarità della questione trattata, mentre l’art. 92 c.p.c., comma 2, ratione temporis applicabile, consente la compensazione solo in presenza di gravi ed eccezionali ragioni.
Il motivo è infondato.
Il giudice d’appello ha ritenuto la sussistenza di una particolare complessità della questione e pertanto di gravi ed eccezionali ragioni, secondo la previsione dell’art. 92 c.p.c., ratione temporis applicabile; previsione costituita da norma elastica, che il legislatore ha previsto per adeguarla ad un dato contesto storico-sociale o a speciali situazioni, non esattamente ed efficacemente determinabili “a priori”, ma da specificare in via interpretativa da parte del giudice del merito, con un giudizio censurabile in sede di legittimità, qualora esse si rivelino illogiche o erronee (Cass. 27/07/2020; Cass. n. 2206 del 25/01/2019), vizio che nella specie non ricorre.
Ne consegue il rigetto tanto del ricorso principale che del ricorso incidentale, con la conseguente compensazione delle spese in ragione della reciproca soccombenza.
PQM
Rigetta il ricorso principale.
Rigetta il ricorso incidentale.
Compensa le spese.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, e per il versamento da parte del ricorrente incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso incidentale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuti.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 16 novembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 10 gennaio 2022