LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. STALLA Giacomo Maria – Presidente –
Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –
Dott. RUSSO Rita – rel. Consigliere –
Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –
Dott. D’ORIANO Milena – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso R.G. 7809/2016 proposto da:
PROVINCIA DI TORINO DELLA CONGREGAZIONE DEI FRATELLI DELLE SCUOLE CRISTIANE, ente ecclesiastico riconosciuto con sede in *****, in persona del suo procuratore speciale ed Economo provinciale, elettivamente domiciliata in Roma, via Germanico 172, presso lo studio dell’avv. Nicola Bultrini, rappresentata e difesa dall’avv. Enrico Marello e dall’avv. Lorenzo Nano;
– ricorrente –
contro
COMUNE DI ROMANO D’EZZELINO, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, viale Parioli 43, presso lo studio dell’avv. Francesco D’Ayala Valva, rappresentata e difesa dall’avv. Michele Tiengo;
– controricorrente ricorrente incidentale –
avverso la sentenza n. 1469/25/15 dalla COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DEL VENETO depositata il 30/09/2015;
udita la relazione della causa svolta all’udienza del 16/11/2021 dal consigliere Dott. RUSSO RITA;
uditi i difensori delle parti;
udito il Pubblico Ministero.
RILEVATO
che:
La Congregazione è proprietaria nel Comune di Romano d’Ezzelino di alcuni terreni (c.d. area *****), per i quali ha versato l’ICI considerandoli terreni agricoli. Il Comune di Romano d’Ezzelino ha notificato alla Congregazione l’avviso di accertamento n. ***** relativo all’ICI 2005, ritenendo la natura di area fabbricabile dei terreni, determinandone il valore in Euro 130,00 al mq ed escludendo il diritto alla esenzione di cui al D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, per i fabbricati. La contribuente ha opposto l’avviso.
Il giudice di primo grado pur ritenendo che l’area sia da considerarsi edificabile, ne ha ridotto il valore ad Euro 110,00 al mq. La Congregazione ha proposto appello. La Commissione Tributaria Regionale del Veneto ha disposto consulenza tecnica sul valore dell’area oggetto di accertamento e, all’esito, ha parzialmente riformato la sentenza di primo grado, determinandone il valore complessivo in Euro 14.500.000 (Euro 84,00 al mq) e accogliendo la domanda della contribuente di disapplicazione delle sanzioni. Ha tuttavia confermato che il terreno in questione deve considerarsi edificabile ai fini fiscali, in quanto la mancanza dello strumento urbanistico della convenzione incide sulle immediate utilizzabilità dell’area e quindi può avere effetto sul suo valore, ma non può escluderne la qualificazione come edificabile in conseguenza dell’approvazione dello strumento urbanistico generale.
Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso la Congregazione affidandosi a quattro motivi.
Il Comune ha resistito con controricorso, proponendo ricorso incidentale, affidandosi a tre motivi, cui la Congregazione ha risposto con controricorso. Le parti hanno discusso la causa alla udienza pubblica del 16 novembre 2021. Il Procuratore generale ha concluso per il rigetto del ricorso principale.
RITENUTO
che:
1.- Con il primo motivo del ricorso si lamenta ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti. Parte ricorrente espone che il giudice di secondo grado ha ritenuto il terreno edificabile pur in mancanza della apposita convenzione attuativa, prevista dal Programma integrato di riqualificazione urbanistica edilizia e ambientale (P.i.r.u.e.a). Lamenta che il giudice non abbia valutato a chi fosse ascrivibile la responsabilità della mancata stipula della convenzione; che la Congregazione ha prodotto documenti comprovanti che essa aveva invitato più volte il Comune a sottoscrivere detta convenzione e che il Comune ha sempre frapposto risposte dilatorie. La Congregazione deduce che si tratta di un fatto rilevante in quanto in questo caso l’applicazione del D.L. n. 223 del 2006, art. 36, deve essere mitigata in ragione del comportamento del Comune. Rileva che il Comune non si può ritenere estraneo al rischio del mancato perfezionamento dell’iter edificatorio, essendo al tempo stesso l’ente impositore, che fruisce delle maggiori entrate che derivano dalla qualificazione del terreno come edificabile in astratto, e il soggetto che ne condiziona l’edificabilità in concreto. Il D.L. n. 223 del 2006, art. 36, comma 2, deduce ancora la parte, dovrebbe essere interpretato secondo il principio di buona fede, che il Comune ha violato.
1.2.- Il motivo è inammissibile.
Il fatto dedotto dalla parte è irrilevante ai fini della decisione della questione tributaria.
La ricorrente sovrappone la questione di stretto rilievo tributario con una vicenda diversa che ha ad oggetto il comportamento del Comune e la (eventuale) rilevanza della sua condotta omissiva, non influente in questa sede.
La questione tributaria è limitata, nel caso che ci occupa, alla verifica della natura edificabile o meno del terreno de quo con la conseguente determinazione del suo valore ai fini impositivi.
Il comportamento del Comune, nella adozione (o non adozione) degli strumenti urbanistici appropriati, potrebbe rilevare in sede amministrativa, ove la parte intenda reagire avverso i provvedimenti adottatati dall’ente, nonché eventualmente far valere la responsabilità per i danni cagionati alla Congregazione, ove ne sussistessero i presupposti. La questione tributaria è invece regolata dal D.L. n. 223 del 2006, art. 36, comma 2, norma che ha fornito una interpretazione autentica del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 2, comma 1, lett. b), chiarendo che la qualificazione di area fabbricabile ai fini delle imposte dirette ed indirette è subordinata alla sola adozione dello strumento urbanistico generale da parte del Comune, risultando invece irrilevanti sia la sua approvazione da parte della Regione sia l’adozione di strumenti attuativi dello stesso.
La costante giurisprudenza di questa Corte afferma che “l’inizio del procedimento di trasformazione urbanistica è infatti sufficiente a far lievitare il valore venale dell’immobile, le cui eventuali oscillazioni, in dipendenza dell’andamento del mercato, dello stato di attuazione delle procedure incidenti sullo “ius aedificandi” o di modifiche del piano regolatore che si traducano in una diversa classificazione del suolo, possono giustificare soltanto una variazione del prelievo nel periodo d’imposta” (Cass. sez. un 30 novembre 2006, n. 25506; Cass. n. 20137 del 16/11/2012; Cass. n. 11182 del 21/05/2014; Cass. n. 31048 del 28/12/2017; Cass. n. 6702 del 10/03/2020).
Pertanto, la maggiore o minore attualità delle potenzialità edificatorie del terreno, nonché la possibile incidenza degli ulteriori oneri di urbanizzazione, non incidono sulla sua qualificazione come area edificabile, anche se di questi fattori si dovrà tener conto nella determinazione della base imponibile. In applicazione di questi principi – segnati dall’autonomia della nozione di edificabilità in ambito tributario rispetto a quello urbanistico – le ragioni per le quali il Comune non procede alla adozione dello strumento attuativo devono ritenersi irrilevanti, poiché il terreno dovrà comunque essere classificato come edificabile se così previsto nel piano regolatore generale, potendo la attualità (o meno) del concreto sfruttamento edificatorio incidere soltanto sul quantum della base imponibile.
2.- Con il secondo motivo si lamenta la violazione del combinato disposto del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5 e dell’art. 11, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, avendo la CTR determinato il valore della base imponibile discostandosi dalla tabella allegata al regolamento ICI emanato dal Comune.
Il motivo è infondato.
Le tabelle di predeterminazione dei valori elaborate dal Comune non hanno natura imperativa e vincolante (Cass. n. 3757/2014; Cass. n. 5068/2015; Cass. n. 15312/2018; Cass. n. 10308/2019). Si tratta di presunzioni e cioè di un criterio recessivo ove l’amministrazione venga in possesso di informazioni specifiche idonee a contraddire quelle desunte dai valori delle aree circostanti aventi analoghe caratteristiche (Cass. n. 11643 del 03/05/2019); la stima operata tramite consulenza tecnica può quindi legittimamente considerarsi una informazione specifica e qualificata, come tale prevalente sui valori tabellari.
3.- Con il terzo motivo del ricorso si lamenta la violazione e falsa applicazione del combinato disposto del D.Lgs. n. 504 del 1992, artt. 1 e 2, e della L.R. Veneto n. 23 del 1999, artt. 1, 2, 4, 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
La parte lamenta che la CTR ha errato nel considerare edificabile la zona in esame in presenza della sola sussistenza del piano regolatore generale ed in assenza di ulteriori attività amministrative. Osserva che, sulla base della legislazione della Regione Veneto, l’adozione del piano non è sufficiente a far ritenere perfezionato lo strumento urbanistico generale, essendo necessaria la sottoscrizione della Convenzione tra privato ed ente locale; questa sottoscrizione è condizione di efficacia del piano.
Il motivo è infondato.
Si tratta sostanzialmente, come osserva anche il Procuratore Generale, della stessa censura di cui al primo motivo, integrata con il riferimento alla legislazione regionale. Tuttavia, come sopra si è detto, già la inclusione nel piano regolatore generale è sufficiente a qualificare l’area come edificabile ed a far lievitare il valore del bene, a prescindere dalla adozione degli strumenti attuativi.
4.- Con il quarto motivo del ricorso si lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio e cioè che l’avviso di accertamento ha ingiustamente operato una valutazione uniforme dell’intera area, comprensiva anche della parte che sarebbe oggetto di perequazione urbanistica e della parte che sarebbe stata adibita a verde pubblico ed a strade di pubblico interesse. La pare deduce che la sentenza di appello accogliendo la valutazione del consulente tecnico d’ufficio non esamina il fatto controverso limitandosi ad assumere come base imponibile la superficie totale.
Il motivo è infondato.
Il giudice d’appello ha operato una valutazione unitaria, spiegandone le ragioni, in particolare rilevando che “il valore da determinare è quello odierno di mercato dell’area globalmente intesa (che incorpora vantaggi e vincoli) indipendentemente dagli sviluppo conseguenti all’attività di impresa e al valore che le aree, aventi specifica destinazione, avranno al momento successivo alla loro urbanizzazione”.
Così facendo il giudice di merito ha applicato un principio già enunciato da questa Corte, secondo cui l’inclusione di un’area in una zona destinata dal piano regolatore generale a servizi pubblici o di interesse pubblico incide senz’altro nella determinazione del valore venale dell’immobile, da valutare in base alla maggiore o minore attualità delle sue potenzialità edificatorie, ma non ne esclude l’oggettivo carattere edificabile D.Lgs. n. 504 del 1992, ex art. 2, atteso che i vincoli d’inedificabilità assoluta, stabiliti in via generale e preventiva nel piano regolatore generale, vanno tenuti distinti dai vincoli di destinazione che non fanno venire meno l’originaria natura edificabile (Cass. n. 17764 del 06/07/2018; nonché, sullo specifico problema dell’incidenza ICI dell’inserimento dell’area in un programma di perequazione urbanistica: Cass. n. 27575/18).
5. Con il primo motivo di ricorso incidentale il Comune lamenta la violazione del D.Lgs. n. 540 del 1992, artt. 1 e 5, e dell’art. 2735 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Il Comune impugna la sentenza nella parte in cui la Commissione Regionale ha ridotto il valore dell’area ad Euro 84,00 al metro quadro. Il Comune deduce che il valore dell’area è stato determinato in base alla relazione finanziaria allegata al piano integrato presentato dalla stessa Congregazione e che detta valutazione assume natura di confessione stragiudiziale.
Il motivo è infondato.
La stima contenuta nella relazione finanziaria allegata al piano presentato dalla Congregazione non ha valore di confessione stragiudiziale ex art. 2735 c.c., poiché la confessione, ai sensi dell’art. 2730 c.c., è la dichiarazione che una parte fa della verità di fatti ad essa sfavorevoli e favorevoli ad altra parte. La stima di un terreno non è un fatto di cui si possa accertare la verità o falsità ma è una valutazione, e cioè il risultato di un procedimento tecnico attraverso il quale si calcola il valore di un bene, risultato variabile a seconda dei parametri utilizzati, che non sono veri o falsi, ma più o meno pertinenti a seconda del criterio di scelta che deve conformarsi ad una regola iuris.
Non si trattava, dunque, di dichiarazione avente effetto di prova legale, quanto di elemento valutativo sottoposto al libero apprezzamento del giudice di merito.
Il giudice d’appello ha del resto spiegato le ragioni per le quali ha ritenuto di diminuire il valore in concreto, riportandosi alla consulenza tecnica eseguita nel corso del giudizio non discostandosi dal principio di diritto affermato da questa Corte e cioè che, pur essendo il terreno da qualificarsi edificabile, la maggiore o minore attualità delle potenzialità edificatorie di esso incide nella determinazione della base imponibile (Cass. sez. un n. 25506/2006 cit.).
Quanto al resto, si tratta di un giudizio di fatto di cui in questa sede non può sollecitarsi la revisione, tanto più che il divario tra il valore assegnato nella relazione di stima e ritenuto congruo dal Comune e quello applicato dalla CTR non è di per sé tale da essere sintomatico di una violazione di legge.
Va qui aggiunto come neppure il divario di valore attribuito alla stessa area in diverse annualità ICI (fatte oggetto di altri analoghi ricorsi) sia di per sé rivelatore di una violazione di legge, dal momento che una contenuta oscillazione estimativa può trovare giustificazione, oltre che proprio nella diversità ed autonomia dei valori di mercato riscontrabili nelle varie annualità di riferimento, anche nella natura intrinsecamente delibativa e discrezionale (pur sempre, beninteso, entro i parametri legali) del giudizio sul punto demandato al giudice del merito, certamente non rivedibile, come detto, nella presente sede di legittimità.
6.- Con il secondo motivo di ricorso incidentale si lamenta la violazione al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 8, della L. n. 212 del 2000, art. 10, del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, e del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 59. Il Comune lamenta la disapplicazione delle sanzioni in ragione di quella che è stata erroneamente ritenuta una carenza dell’ente, per non avere valutato l’aerea nelle tabelle di cui all’art. 59 cit., così lasciando spazio ad autonome valutazioni del contribuente proprietario dell’area. Deduce che nel caso di specie la Congregazione, in quanto promotrice del programma di riqualificazione urbanistica, non poteva avere alcuna incertezza circa la natura edificabile dell’area in questione, tanto da avere ripetutamente chiesto il perfezionamento della convenzione urbanistica. Ciononostante ha preteso che l’area venisse tassata come agricola provvedendo al versamento dell’ICI in misura ridotta.
Il motivo è fondato.
L’inclusione del terreno del piano regolatore come edificabile non poteva dare luogo ad incertezza sulla sua natura, considerando che lo stesso contribuente ha stimato l’area come edificabile, promuovendo le iniziative utili a consentirne la edificazione anche in concreto. La mancata stima nelle tabelle, di cui parla il giudice d’appello, non integra quella obiettiva incertezza sulla portata e sull’ambito applicativo della norma, idonea a giustificare la disapplicazione delle sanzioni, posto che il D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 2, considera le aree edificabili “in base agli strumenti urbanistici generali”.
Deve qui richiamarsi il principio secondo il quale “In tema di sanzioni per violazioni delle norme tributarie, l’incertezza normativa oggettiva tributaria” è caratterizzata dall’impossibilità d’individuare in modo univoco, al termine di un procedimento interpretativo metodicamente corretto, la norma giuridica nel cui ambito il caso di specie è sussumibile (Cass. n. 10313 del 12/04/2019).
Peraltro le tabelle dei valori elaborate dal Comune, come sopra si è detto, non hanno natura imperativa e vincolante, costituendo soltanto fonte di presunzioni (Cass. n. 11643 del 03/05/2019).
7.- Con il terzo motivo di ricorso incidentale il Comune lamenta la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 15, e art. 92 c.p.c., quanto alla compensazione delle spese.
L’ente deduce l’errore del giudice d’appello che ha compensato le spese processuali di entrambi i gradi in ragione della complessità e particolarità della questione trattata, mentre l’art. 92 c.p.c., comma 2, ratione temporis applicabile, consente la compensazione solo in presenza di gravi ed eccezionali ragioni.
Il motivo è infondato.
Il giudice d’appello ha ritenuto la sussistenza di una particolare complessità della questione e pertanto di gravi ed eccezionali ragioni, secondo la previsione dell’art. 92 c.p.c., ratione temporis applicabile; previsione costituita da norma elastica, che il legislatore ha previsto per adeguarla ad un dato contesto storico-sociale o a speciali situazioni, non esattamente ed efficacemente determinabili “a priori”, ma da specificare in via interpretativa da parte del giudice del merito, con un giudizio censurabile in sede di legittimità, qualora esse si rivelino illogiche o erronee (Cass. 27/07/2020; Cass. n. 2206 del 25/01/2019), vizio che nella specie non ricorre.
Ne consegue il rigetto del ricorso principale, l’accoglimento del secondo motivo del ricorso incidentale, rigettati gli altri, la cassazione sul punto della sentenza impugnata e non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto può decidersi nel merito, rigettando l’originario ricorso della contribuente in ordine alla richiesta di disapplicazione delle sanzioni. In ragione della parziale reciproca soccombenza le spese del giudizio di legittimità si compensano per la metà ponendo la restante frazione a carico della Congregazione, liquidando come da dispositivo.
PQM
Rigetta il ricorso principale.
Accoglie il secondo motivo di ricorso incidentale, rigettati il primo e il terzo, cassa sul punto la sentenza impugnata e decidendo nel merito rigetta l’originario ricorso del contribuente in ordine alla richiesta di disapplicazione delle sanzioni. Compensa in ragione della metà le spese del giudizio di legittimità che liquida nell’intero ammontare in Euro 3.700,00 per compensi oltre Euro 200,00 per spese non documentabili e pone il 50% delle spese così liquidate carico della parte ricorrente e in favore del Comune.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 16 novembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 10 gennaio 2022