LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –
Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –
Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –
Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –
Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 5283-2021 proposto da:
F.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLA PINETA SACCHETTI, 201, presso lo studio dell’avvocato GIANLUCA FONTANELLA, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
ROMA CAPITALE *****, COMUNE DI FIUMICINO, AGENZIA DELLE ENTRATE –
RISCOSSIONE *****;
– intimati –
avverso la sentenza n. 723/2021 del TRIBUNALE di ROMA, depositata il 14/01/2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27/01/2022 dal Consigliere Dott. VARRONE LUCA.
RILEVATO
CHE:
1. F.G. ha proposto ricorso avverso pronuncia del Tribunale di Roma di accoglimento di appello avverso sentenza del giudice di pace.
2. Le controparti sono rimaste intimate.
3. Su proposta del relatore, ai sensi dell’art. 391-bis c.p.c., comma 4, e art. 380-bis c.p.c., commi 1 e 2, che ha ravvisato la manifesta fondatezza del primo motive di ricorso e la manifesta infondatezza del secondo, il Presidente ha fissato con decreto l’adunanza della Corte per la trattazione della controversia in camera di consiglio nell’osservanza delle citate disposizioni.
CONSIDERATO
CHE:
1. Con i motivi di ricorso si deduce la violazione e la falsa applicazione del D.M. n. 55 del 2014, art. 4, art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e art. 118 disp. att. c.p.c., per aver il Tribunale liquidato le spese del doppio grado di giudizio in modo omnicomprensivo, anziché per fasi, e per aver liquidato i compensi in misura inferiore ai parametri medi ed anche minimi, senza in alcun modo motivare sulle ragioni di tale riduzione) e l’illegittima compensazione delle spese nei confronti degli altri enti citati.
2. Il Relatore ha avanzato la seguente proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c.: Il primo motivo di ricorso appare manifestamente fondato, in quanto: 1) il giudice nella liquidazione delle spese processuali deve sempre mettere le parti in condizione di verificare l’osservanza dei minimi tariffari; può, tuttavia, liquidare, sulla base degli attuali parametri, i compensi con unica cifra, atteso che la necessità di determinare il distinto ammontare degli onorari di avvocato si giustificava nell’ottica di distinguerli dalle competenze di procuratore, onde consentire alla parte interessata di effettuare, per esclusione, un controllo adeguato sul quantum delle voci residue (Cassazione civile, sez. II, 23/05/2002, n. 7527); 2) tuttavia è ammissibile censurare la liquidazione giudiziale ove sia stato specificamente comprovato che la liquidazione globale arrechi un pregiudizio alla parte vittoriosa, in quanto attributiva di una somma inferiore ai minimi inderogabili (Sez. 3, Sentenza n. 5318 del 08/03/2007; conf. Sez. 3, Sentenza n. 16390 del 14/07/2009); invero, il superamento, da parte del giudice, dei limiti minimi e massimi della tariffa forense nella liquidazione delle spese giudiziali configura un vizio in iudicando; in particolare, nessuna norma del citato D.M. n. 55 del 2014 impone al giudice di liquidare le spese indicando le percentuali di aumento o diminuzione in considerazione delle fasi di studio, introduttiva, istruttoria e decisoria; pertanto, la liquidazione delle spese da parte del giudice, in assenza di specifica indicazione delle aliquote applicate, non si presume avvenuta sulla base delle aliquote medie (dunque, dei valori medi), in quanto ciò che rileva è che la liquidazione sia contenuta entro i limiti massimo e minimo; nel caso di specie, tuttavia, anche a voler applicare i valori minimi le somme liquidate dal Tribunale di Roma, tenuto conto dello scaglione di riferimento, non rientrano nelle soglie della tabella allegata al D.M. n. 55 del 2014;
Il secondo motivo appare manifestamente infondato, essendo correttamente motivata la compensazione delle spese per gli altri enti perché la soccombenza virtuale era addebitabile solo all’agenzia entrate e riscossione.
3. Il Collegio condivide in parte la proposta del Relatore.
4. La memoria del ricorrente non aggiunge argomenti nuovi che possano determinare una decisione di accoglimento del secondo motivo di ricorso.
5. Quanto al primo motivo deve confermarsi la statuizione del primo giudice che ha liquidato le spese del primo grado restando nei limiti tariffari anche senza specificare quali siano le somme liquidate per ciascuna fase.
Deve darsi continuità al seguente principio di diritto: In tema di liquidazione delle spese processuali che la parte soccombente deve rimborsare a quella vittoriosa, la determinazione degli onorari di avvocato e degli onorari e diritti di procuratore costituisce esercizio di un potere discrezionale del giudice che, qualora sia contenuto tra il minimo ed il massimo della tariffa, non richiede una specifica motivazione e non può formare oggetto di sindacato in sede di legittimità (Sez. 1, Sent. n. 20289 del 2015).
6. La censura relativa alla violazione dei minimi per il giudizio di appello è fondata secondo quanto indicato nella proposta.
7. Relativamente al secondo motivo, il Collegio ritiene di osservare quanto segue.
7.1. Innanzitutto, va rilevato che il ricorrente non ha allegato di non aver potuto riscuotere le spese dalla Agenzia delle Entrate-Riscossione e di avere, pertanto, interesse a riscuoterle dalle altre parti convenute con l’opposizione. Sotto tale profilo, il motivo risulta inammissibile anche per difetto di specificità in ordine alla sussistenza dell’interesse a ricorrere.
Poiché non vi è alcun interesse concreto della parte a far valere la solidarietà interna tra ente impositore e agente della riscossione ai fini del recupero delle spese di lite, l’impugnazione della statuizione di compensazione delle spese si configura come “abuso del processo”, comportando un ingiustificato aggravio anche a carico anche dell’agente della riscossione che deve sopportare la condanna alle spese di lite anche del grado di appello e di cassazione.
7.2. Quanto al merito della censura, ritiene il Collegio che esattamente il Tribunale ha attribuito la soccombenza sostanziale all’Agenzia Entrate-Riscossione, per avere quest’ultima, a causa della sua inerzia dopo la notifica delle cartelle di pagamento, determinato la prescrizione del credito; e del tutto legittimamente ha pronunciato condanna alle spese solo nei confronti dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione, compensando le spese nei confronti degli enti impositori (Prefettura di Roma e Roma Capitale).
Come questa Suprema Corte ha ripetutamente statuito, il principio della solidarietà nelle spese di lite tra ente impositore e Agente della riscossione (Sez. 6-5, Ord. n. 7371 del 2017) vale a condizione che sia proposta opposizione contro la cartella esattoriale e la connessa ingiunzione di pagamento e si contestino comportamenti asseritamente illegittimi posti in essere sia dall’ente titolare del potere sanzionatorio (nella specie il Comune) che dal concessionario della riscossione (da ultimo, Sez. 6 -2, Ord. n. 39757 del 2021; Sez. 6 – 2, Ord. n. 36273 del 2021; v. anche Sez. 6- 3, Ord. n. 3105 del 2017; Sez. 6-3, Ord. n. 3154 del 2017, non massimata; Sez. 2, Sent. n. 14125 del 2016, non massimata). Ciò avviene, ad es., quando la cartella di pagamento sia stata annullata o il credito si sia prescritto per omessa notifica dell’atto presupposti; in tal caso l’annullamento è addebitabile all’ente impositore che ne risponde anche nei rapporti interni con l’agente della riscossione.
Quando, invece, l’accoglimento dell’opposizione all’esecuzione dipenda dalla mancata notifica della cartella di pagamento o dalla prescrizione del credito dovuta all’inerzia – dopo la notifica della cartella – dell’agente della riscossione, il principio della solidarietà nelle spese della lite non trova applicazione.
In tali casi, infatti, essendo l’illegittimità dell’atto interamente addebitabile all’agente della riscossione, per il principio di causalità non ricorrono le condizioni che impongono la condanna in solido alle spese di lite e rientra nella facoltà del giudice compensare le spese nei confronti dell’ente impositore.
8. In definitiva, va accolto in parte il primo motivo di ricorso e va rigettato il secondo.
Nulla osta, giacché non si prospetta la necessità di ulteriori accertamenti di fatto, a che la causa sia decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, u.p., e quindi a che l’Agenzia Entrate e Riscossione sia condannata a rimborsare all’avvocato Gianluca Fontanella che si dichiara antistatario ex art. 93 c.p.c., le spese del giudizio di appello nella misura di cui in dispositivo.
In dipendenza dell’accoglimento solo parziale del ricorso si giustifica la declaratoria di integrale irripetibilità delle spese del presente giudizio di legittimità, sì che restino in toto a carico della ricorrente.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione accoglie in parte il primo motivo di ricorso, rigetta il secondo e, decidendo la causa nel merito, ridetermina le spese del giudizio di appello in Euro 811,00 per compensi ed Euro 147,50 per esborsi, oltre accessori come per legge, compresa la maggiorazione forfettaria nella misura del 15%” spese poste a carico di Agenzia delle Entrate-Riscossione e distratte nei confronti del procuratore dichiaratosi antistatario; rigetta il secondo motivo di ricorso e conferma nel resto l’impugnata sentenza; dichiara irripetibili le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della VI-2 Sezione Civile, il 27 gennaio 2022.
Depositato in Cancelleria il 14 febbraio 2022