LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –
Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –
Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –
Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –
Dott. D’ORIANO Milena – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso n. 3385/2014 proposto da:
Agenzia Delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma Via Dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale Dello Stato che lo rappresenta e difende
– ricorrente –
contro
M.C., elettivamente domiciliata in Roma Via Nizza n. 59, presso lo studio dell’avv. Patrizia Giannini che la rappresenta e difende unitamente all’avv. Luella Palatresi;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 46/2013 della COMM. TRIB. REG. TOSCANA depositata il 7/11/2013;
udita la relazione della causa svolta dal consigliere Dott.ssa D’ORIANO MILENA nella pubblica udienza del 06/10/2021, tenuta in camera di consiglio ai sensi del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art.
23, comma 8-bis, conv. con modif. dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, nonché del D.L. 23 luglio 2021, n. 105, art. 7, conv. con modif.
dalla L. 16 settembre 2021 n. 126;
lette le conclusioni scritte depositate dal P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Giacalone Giovanni, motivate nel senso del rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
1. con sentenza n. 46/21/13, depositata il 7 novembre 2013, non notificata, la Commissione Tributaria Regionale della Toscana accoglieva l’appello proposto dalla contribuente avverso la sentenza n. 147/11/11 della Commissione Tributaria Provinciale di Firenze, con compensazione delle spese di lite;
2. il giudizio aveva ad oggetto l’impugnazione dell’avviso di liquidazione con il quale l’Ufficio, previa revoca dell’aliquota agevolata del 4% prevista per l’acquisto di una casa di abitazione-non di lusso, di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, allegata Tabella A, parte seconda, n. 21, per la violazione del D.P.R. n. 131 del 1986, allegata Tariffa, parte prima, art. 1, nota II-bis aveva richiesto l’IVA in misura ordinaria, oltre interessi di mora e sanzioni, in relazione ad un atto di compravendita, registrato il 28/1/2010, con cui la M. aveva acquistato dalla società Nilor S.p.A., una villetta bifamiliare al rustico sita nel comune di *****; la revoca era stata disposta a seguito della valutazione complessiva di una pluralità di atti posti in essere dalla contribuente nel corso di un triennio, che sarebbero stati finalizzati al perseguimento di un indebito vantaggio fiscale mediante l’applicazione dell’aliquota ridotta;
3. la CTP aveva rigettato il ricorso, ritenendo corretto l’operato dell’Ufficio; la CTR aveva riformato la sentenza di primo grado, ed accolto l’appello, rilevando che le operazioni poste in essere dalla M. (donazione modale al coniuge, acquisto di un immobile in adempimento del contratto preliminare soggetto ad Iva del 4% e atto di risoluzione della donazione modale) non potevano farsi rientrare nella fattispecie del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis, comma 3, né nel D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, e che la contestazione mossa dall’Ufficio in merito alla finalità elusiva di tali atti non aveva trovato conferma nelle risultanze di causa, dal momento che le operazioni non erano state realizzate in un unico contesto né risultavano legate da un unico fine;
4. avverso la sentenza di appello l’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso per cassazione, consegnato per la notifica il 27 gennaio 2014, affidato a due motivi; la società contribuente resisteva con controricorso e depositava memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. con il primo motivo di ricorso l’Agenzia delle Entrate censurava la sentenza impugnata, denunciando violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis, e del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, e dei principi in materia di abuso del diritto desumibili dall’ordinamento interno, comunitario e dagli artt. 3 e 53 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, deducendo che il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis, era stato indicato nell’avviso di liquidazione unicamente a fini procedurali, per concedere alla contribuente la possibilità di fornire spiegazioni circa le ragioni economiche sottese all’attività negoziale posta in essere, mentre il recupero, contrariamente a quanto ritenuto dalla CTR, era stato fondato esclusivamente sul D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, norma che aveva consentito all’Ufficio di valutare la pluralità di negozi posti in essere al fine di verificare l’eventuale nesso funzionale tra i medesimi in senso elusivo della normativa tributaria;
2. con il secondo motivo denunciava l’insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo, oggetto di discussione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella parte in cui la CTR aveva escluso Inesistenza del nesso funzionale fra i vari atti posti in essere dalla contribuente, anziché valutarli come unica operazione di eliminazione degli impedimenti alla fruizione dell’agevolazione fiscale.
3. Il primo motivo di ricorso non merita accoglimento.
3.1 Secondo la prospettazione dell’Agenzia delle Entrate, che ne invoca esplicitamente applicazione, l’avviso di liquidazione oggetto di causa trova il suo fondamento esclusivo nel D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20; per motivare la revoca dell’applicazione dell’aliquota agevolata ad un atto di acquisto di una “prima casa”, l’Ufficio ha proceduto ad una valutazione complessiva di una pluralità di atti, posti in essere precedentemente a quello che aveva usufruito dell’agevolazione, ritenendo che gli stessi fossero finalizzati a realizzare la condizione dell’assenza di titolarità di altri immobili in capo alla M., al fine di consentirle di fruire del beneficio fiscale.
4. Il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, nella sua previgente formulazione prevedeva che:” l’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente”.
Questa Corte, rispetto a tale dato normativo, aveva più volte affermato, con orientamento prevalente, che il criterio di interpretazione degli atti, fissato dal suddetto art. 20, comportava che, nella qualificazione di un negozio, dovesse attribuirsi rilievo preminente alla sua causa reale e alla regolamentazione degli interessi effettivamente perseguita dai contraenti, anche se mediante una pluralità di pattuizioni non contestuali, o di singole operazioni, senza che in caso di negozi collegati, fosse decisiva la rispettiva differenza di oggetto (v. tra le più recenti Cass. n. 13610 del 2018; Cass. n. 11873, n. 6578 e n. 3562 del 2017; Cass. n. 10216 del 2016; Cass. n. 1955 del 2015; n. 6835, n. 9541, n. 14150 e n. 17965 del 2013).
Si riteneva dunque che tale norma esprimesse il principio di prevalenza della sostanza sulla forma, in aderenza all’evoluzione normativa che aveva caratterizzato la prestazione patrimoniale tributaria di registro, trasformatasi da tassa, avente come oggetto l’atto inteso nella sua forma documentale, e come contenuto una determinata quantità di denaro da riscuotere in corrispettivo del servizio di registrazione, ad imposta, avente come oggetto la manifestazione di capacità contributiva correlabile a una ben dimostrata forza economica.
In coerenza con il rilievo per cui tale principio sarebbe stato svilito da una concezione che non consentisse di ricercare la sostanza dell’atto, avvalendosi anche di elementi esterni al documento, si era così più volte affermato che detto principio non solo consentiva, ma addirittura imponesse di guardare non all’atto risultante dal documento singolarmente considerato ma all’effetto giuridico derivante dallo stesso, ricostruito anche sulla base di elementi extratestuali.
4.1. Il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, non era stata considerata soltanto una norma interpretativa degli atti registrati, ma una disposizione intesa a identificare l’elemento strutturale del rapporto giuridico tributario, dato dall’oggetto dell’atto ma anche dagli effetti giuridici indicativi della capacità contributiva dei soggetti che compiono gli atti (cfr. Cass. n. 2713 del 2002).
In simile contesto, la prevalenza della natura intrinseca degli atti registrati e dei loro effetti giuridici sul loro titolo e sulla loro forma apparente vincolava l’interprete a privilegiare, nell’individuazione della struttura del rapporto giuridico tributario, la sostanza sulla forma, cioè il dato giuridico reale conseguente alla natura intrinseca degli atti e ai loro effetti giuridici, rispetto a ciò che formalmente è enunciato, anche frazionatamente, in uno o più di questi atti, anche mediante una pluralità di pattuizioni non contestuali ma tra loro collegate, senza che assumesse rilevanza la sussistenza di una condotta abusiva, e quindi senza l’onere per l’Ufficio di provare la sussistenza di un disegno elusivo, delle modalità di manipolazione o che l’alterazione degli schemi negoziali classici fosse irragionevole in una normale logica di mercato e perseguita solo per pervenire ad un indebito risparmio fiscale.
4.2 La legge di bilancio previsionale per l’anno 2018, alla L. n. 205 del 2017, art. 1, comma 87, lett. a), è intervenuta su questa norma che nella sua attuale formulazione prevede: “L’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, sulla base degli elementi desumibili dall’atto medesi prescindendo da quelli extra testuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi”.
Fermo restando il principio basilare di prevalenza della sostanza sulla forma, l’intervento legislativo in questione ha inevitabilmente ristretto l’oggetto dell’interpretazione negoziale al solo atto presentato alla registrazione, ed agli elementi desumibili da quest’ultimo, senza che possano assumere più rilevanza gli elementi evincibili da atti eventualmente ad esso collegati, così come quelli riferibili ad indici esterni o fonti extra-testuali.
5. In merito all’efficacia temporale di quest’ultima disposizione, se dunque applicabile solo per il futuro, ovvero anche agli atti registrati prima della sua entrata in vigore ed ancora in corso di accertamento o sub iudice, questa Corte di legittimità aveva maturato altro consolidato orientamento che ne escludeva la natura interpretativa, evidenziandone la portata innovativa, in quanto volta ad introdurre limiti all’attività di riqualificazione della fattispecie precedentemente non previsti, da cui conseguiva la sua inapplicabilità retroattiva gli atti antecedenti alla data della sua entrata in vigore che dovevano ritenersi assoggettati all’imposta ancora secondo la disciplina contemplata dal D.P.R. n. 131 del 1986, detto art. 20, nella previgente formulazione (Vedi Cass. 2007/18 e nn. 4407/18; 5748/18; 7637/18; 8619/18; 13610/18 ed altre).
5.1 Ii legislatore, tuttavia, è nuovamente intervenuto e alla L. n. 145 del 2018, art. 1, comma 1084, la legge di bilancio previsionale per l’anno 2019, ha stabilito che: “La L. 27 dicembre 2017, n. 205, art. 1, comma 87, lett. a), costituisce interpretazione autentica del T.U. di cui al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 20, comma 1”, palesando la chiara volontà di attribuire portata retroattiva alla riformulazione dell’art. 20, quale effetto normalmente riconducibile alla norma di interpretazione autentica ed alla sua natura prettamente dichiarativa di un significato fin dall’inizio contenuto nella norma interpretata.
6. Ebbene, la nuova e più ristretta formulazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, applicabile retroattivamente anche ad avvisi emessi precedentemente, impone di procedere alla qualificazione giuridica dell’atto da sottoporre a registrazione limitando l’indagine alla disamina del solo atto presentato,, esclusa ogni considerazione di quegli eventuali elementi meta-testuali e di collegamento negoziale attraverso i quali sarebbe possibile ricostruire una diversa portata economica dell’operazione.
6.1 La legittimità costituzionale di tale riformulazione, messa in dubbio da questa Sezione con l’ordinanza n. 23549 del 2019 in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., è stata di recente confermata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 158 del 21 luglio 2020 che per la norma censurata ha escluso un contrasto sia con il principio di capacità contributiva, sia con quelli di ragionevolezza ed eguaglianza tributaria, con le motivazioni a cui integralmente si rinvia.
6.2 Ai fini del decidere rileva che in tale arresto la Consulta ha ritenuto che “il senso fatto palese dal significato proprio delle parole della disposizione denunciata (secondo la loro connessione), i correlativi lavori preparatori (in particolare la relazione illustrativa alla L. n. 205 del 2017, art. 1, comma 87) e tutti i comuni criteri ermeneutici (in particolare, quello sistematico) convergono univocamente nel far ritenere la disposizione oggetto delle questioni come intesa a imporre che, nell’interpretare l’atto presentato a registrazione, si debba prescindere dagli elementi “extratestuali e dagli atti ad essi collegati”, salvo quanto disposto dagli articoli successivi del medesimo D.P.R. n. 131 del 1986.”
Di tale norma la Corte Cost. ne esclude ogni interpretazione adeguatrice che si proponga di limitarne il riferimento ai soli elementi “fuori contesto” o “extravaganti”, in quanto la lettera delle disposizioni censurate non distingue nell’àmbito degli elementi extratestuali, tra quelli “fuori contesto” o alrinterno del contesto e perché ogni diversa interpretazione “che comportasse la sostanziale conferma dell’originaria interpretazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, fornita dalla prevalente giurisprudenza della Corte di cassazione, si risolverebbe in un’arbitraria e illogica interpretatio abrogans delle disposizioni censurate.
6.3 L’intervento normativo, precisa la Corte, “appare finalizzato a ricondurre il citato art. 20 all’interno del suo alveo originario, dove l’interpretazione, in linea con le specificità del diritto tributario, risulta circoscritta agli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione (ovverossia al gestum, rilevante secondo la tipizzazione stabilita dalle voci indicate nella tariffa allegata al testo unico), senza che possano essere svolte indagini circa effetti ulteriori, salvo che ciò sia espressamente stabilito dalla stessa disciplina del testo unico”
Il legislatore ha dunque riaffermato la natura di “imposta d’atto” dell’imposta di registro, precisando che l’oggetto dell’imposizione deve essere coerente con la struttura di un prelievo sugli effetti giuridici dell’atto presentato per la registrazione, senza che assumano rilievo gli elementi extratestuali e gli atti collegati privi di qualsiasi nesso testuale con l’atto medesimo.
6.4 Con sentenza n. 39 del 16 marzo 2021, la Corte costituzionale ha poi rigettato anche la questione di legittimità costituzionale, in rapporto agli artt. 53 e 3 Cost., del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, come risultante dall’intervento apportato dalla L. n. 205 del 2017, art. 1, comma 87 (legge di bilancio 2018), sollevata dalla Commissione Tributaria Provinciale di Bologna, con ordinanza del 13 novembre 2019, in cui si censurava in particolare il profilo della retroattività della norma di interpretazione autentica.
La Corte ha escluso che potesse considerarsi irragionevole attribuire efficacia retroattiva a un intervento che, come quello descritto, aveva assunto un carattere di sistema; senza ritenere necessario stabilire se la presa di posizione del legislatore del 2017 avesse o meno esplicitato una delle possibili variabili di senso ascrivibili alla precedente formulazione dell’art. 20, ha rilevato “che tale intervento ha certamente fissato uno dei contenuti normativi riconducibili, più che all’ambito semantico di una singola disposizione, a quello dell’intero “impianto sistematico della disciplina sostanziale e procedimentale dell’imposta di registro”, dove la sua origine storica di “imposta d’atto” “non risulta superata dal legislatore positivo” (sentenza n. 158 del 2020)”
Ha infine escluso che alla suddetta conclusione potesse opporsi quanto dedotto dal rimettente in ordine alla “certezza del diritto” che, prima dell’intervento del 2017, “poteva dirsi raggiunta alla luce della uniforme applicazione dell’art. 20 T.U.R. (vecchio testo) da parte della giurisprudenza di legittimità”, innanzitutto in quanto tale interpretazione non era del tutto unanime nella stessa giurisprudenza di legittimità, come già rilevato nella sentenza n. 158 del 2020, e comunque era stata fortemente avversata dalla dottrina, e poi perché “la legittimità di un intervento che attribuisce forza retroattiva a una genuina norma di sistema non è contestabile nemmeno quando esso sia determinato dall’intento di rimediare a un’opzione interpretativa consolidata nella giurisprudenza (anche di legittimità) che si è sviluppata in senso divergente dalla linea di politica del diritto giudicata più opportuna dal legislatore (sentenza n. 402 del 1993)”
7. Tanto premesso, l’autorevole interpretazione offerta dal Giudice delle leggi, all’esito della riscrittura dell’art. 20 cit., impone una rimeditazione in senso conforme del precedente orientamento di legittimità, in continuità con quanto già ritenuto da questa Corte.
7.1 Sez. 5 n. 9065 del 01/04/2021 ha da ultimo affermato che “In tema di imposta di registro, il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, nella formulazione successiva alla L. n. 205 del 2017, cui, ai sensi della L. n. 145 del 2018, art. 1, comma 1084, va riconosciuta efficacia retroattiva (norme ritenute esenti da profili di illegittimità dalla Corte costituzionale, rispettivamente, con sentenze n. 158 del 21 luglio 2020 e n. 39 del 16 marzo 2021), deve essere inteso nel senso che l’Amministrazione finanziaria nell’attività di qualificazione degli atti negoziali, deve attenersi alla natura intrinseca ed agli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione, senza che assumano rilievo gli elementi extra-testuali e gli atti, pur collegati, ma privi di qualsiasi nesso testuale con l’atto medesimo”
Nello stesso senso Sez. 5 n. 10688 del 22/04/2021 ha ribadito che “In tema di imposta di registro, ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20 – nella formulazione successiva alla L. n. 205 del 2017 che, secondo l’art. 1, comma 1084, della L. n. 145 del 2018, ne ha fornito l’interpretazione autentica e alla luce delle sentenze della Corte costituzionale n. 158 del 2020 e n. 39 del 2021 – è legittima l’attività di riqualificazione dell’atto da registrare da parte dell’Amministrazione soltanto se operata “ab intriseco”, cioè senza alcun riferimento agli atti ad esso collegati e agli elementi extra-testuali, non potendosi essa fondare sull’individuazione di contenuti diversi da quelli ricavabili dalle clausole negoziali e dagli elementi comunque desumibili dall’atto”.
7.2 Ne consegue l’affermazione del seguente principio di diritto: “In tema di imposte di registro, ipotecaria e catastale, il criterio interpretativo fissato dal D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, nella formulazione successiva alla L. n. 205 del 2017, a cui L. n. 145 del 2018, ex art. 1, comma 1084, va riconosciuta efficacia retroattiva, deve essere inteso nel senso che l’Amministrazione finanziaria nell’attività di qualificazione degli atti negoziali, pur non essendo tenuta a conformarsi alla qualificazione attribuita dalle parti, deve attenersi alla natura intrinseca ed agli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione, senza che assumano rilievo gli elementi extra-testuali e gli atti, pur collegati, ma privi di qualsiasi nesso testuale con l’atto medesimo, fatte salve le diverse ipotesi espressamente regolate.”
8. Nella specie l’Agenzia delle Entrate, ponendo a fondamento della revoca dell’agevolazione una riqualificazione dell’atto all’esito di un collegamento tra più atti distinti e preesistenti, non ha fatto corretta applicazione di tale criterio interpretativo, con conseguente illegittimità dell’avviso di liquidazione impugnato.
8.1 Pur rimanendo fermo che in materia tributaria il divieto di abuso del diritto costituisce principio generale antielusivo, volto a sanzionare ogni operazione economica che mira al conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l’uso distorto, ancorché non contrastante con alcuna disposizione normativa, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio d’imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, la cui ricorrenza deve essere provata dal contribuente, si richiede che tali pratiche elusive vengano correttamente contestate e perseguite dall’amministrazione finanziaria, attraverso gli strumenti all’uopo previsti dall’ordinamento (ad. es. il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis, poi sostituito dalla L. n. 212 del 2000, art. 10-bis), che tuttavia nella specie è la stessa Agenzia ad escludere di aver applicato.
9. La disamina del secondo motivo, volto a contestare la motivazione nella parte in cui ha escluso in fatto la sussistenza del contestato collegamento funzionale, resta assorbita nei motivi di rigetto del primo.
10. Da quanto esposto consegue il rigetto del ricorso.
10.1 In ordine alle spese, tenuto conto che le questioni giuridiche oggetto di causa hanno trovato soluzione alla luce di interventi legislativi e giurisprudenziali complessi, va disposta la compensazione delle spese processuali del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte:
rigetta il ricorso;
compensa le spese.
Così deciso in Roma, il 6 ottobre 2021.
Depositato in Cancelleria il 11 gennaio 2022